Tra il 25 aprile e il 4 maggio la casa d’aste di Vercelli Meeting Art propone sei sessioni di vendita dedicate agli arredi e ai dipinti antichi.
Ecco il calendario nel dettaglio:
Prima Sessione: Venerdi 25 Aprile 2014 ore 15:00 – Lotti dal 1 al 110
Seconda Sessione: Sabato 26 Aprile 2014 ore 15:00 – Lotti dal 111 al 220
Terza Sessione: Domenica 27 Aprile 2014 ore 13:00 – Lotti dal 221 al 360
Quarta Sessione: Giovedi 1 Maggio 2014 ore 15:00 – Lotti dal 361 al 470
Quinta Sessione: Sabato 3 Maggio 2014 ore 15:00 – Lotti dal 471 al 580
Sesta Sessione: Domenica 4 Maggio 2014 ore 13:00 – Lotti dal 581 al 720
Tra i top lot si segnala una scrivania a ribalta a tre cassetti (1735/40) in catalogo con una base d’asta di 140.000 €. Lo stato di conservazione è molto buono, è attribuita a Luigi Prinotto (1685-1780), ebanista e intarsiatore specializzato nella produzione di mobili riccamente adorni di tarsie. Come in questo caso, dove è presente un cospicuo apparato ornamentale con rappresentazioni di scene di caccia in avorio inciso e madreperla.
La scheda in catalogo della scrivania:
ECCEZIONALE SCRIVANIA A RIBALTA A TRE CASSETTI, TORINO, 1735-1740
LUIGI PRINOTTO (Cissone delle Langhe 1685-Torino 1780)
Cm 108×56,5 alt. 102,5.
Provenienza: collezione privata, Torino.
La struttura in pioppo è interamente rivestita di marqueterie in essenze varie (noce d’India, violetto, bosso, ebano, radica di olmo), con apparato ornamentale a nastri intrecciati, palmette, tralci e griglie in legni vari, avorio inciso e madreperla, e istoriato con figure e momenti di caccia in avorio inciso. Le scenette figurate sono cinque entro cartelle distribuite sul coperchio e sui fianchi, una nel grande cartiglio sull’abattant, e tre a sviluppo continuo sulla fronte dei cassetti (il primo dei quali è un finto tiretto, e nasconde un vano al quale si accede dall’interno). Interno con semplice struttura a cassettini, in noce naturale. Gambe alte a doppia “C” contrapposta terminanti in ricciolo.
Stato di conservazione: molto buono. Una delle gambe posteriori rifatta.
L’attribuzione a Prinotto appare fuori di ogni dubbio, sulla base della concezione generale del rivestimento intarsiato, del disegno dell’insieme e delle sue parti. Soprattutto, fanno fede della paternità prinottiana le scenette istoriate nell’avorio, per le quali l’ebanista si avvalse -come in buona parte della sua produzione – di disegni di Pietro Domenico Olivero, trasposti nel prezioso materiale e incisi con bulino estremamente abile, che conserva il gustoso realismo pittorico e la fluidità degli atteggiamenti e dei movimenti propri degli originali. Per quanto non garantita da prove documentali, la derivazione da Olivero delle “storie” che rendono affascinanti i mobili di Prinotto è lampante (si veda per esempio con l’album dei disegni del pittore conservato a Palazzo Madama), e sorretta dal valido indizio che tra i due intercorreva un rapporto di amicizia, tanto che Olivero fu padrino di battesimo del secondo figlio di Prinotto, nel 1718.
Nelle sue opere, soprattutto in quelle di committenza privata, l’ebanista – la cui grandezza è seconda soltanto a quella di Piffetti – sottoponeva i disegni del pittore ad un gioco di scomposizione e ricomposizione, variando e riaccostando figure, gruppi e squarci di paesaggi in maniera nuova di mobile in mobile. Il confronto fra le opere uscite dalla bottega di Prinotto permette di ritrovare lo stesso elemento figurativo (figura, scenetta, animale o paesaggio) più volte in contesti diversi, il che costituisce non solo motivo di curiosità, ma offre un riscontro attributivo, quando l’elemento comune presenti anche qualità di disegno e di incisione comparabili. Applicata alle scenette in avorio del presente mobile, la ricerca ha dato una pluralità di riscontri, al di là dell’evidente comunanza generale di “mano”. Se ne citano alcune, ma molte altre sono possibili, in maniera più o meno stretta eppure indubitabile. La narrazione “pittorica” distribuita in continuità sui cassetti è tratta all’80% dalla superba mazzarina della Collezione Giuseppe Rossi passata nell’asta Sotheby’s del 10 marzo 1999, una delle più belle fra quante sono note di Prinotto, realizzata con ogni probabilità una decina d’anni prima del nostro mobile. Precisamente: il gruppo dei tre cavalieri in corsa, l’ultimo dei quali disarcionato dal cavallo, che appare sul primo cassetto, è lo stesso del secondo cassetto della colonna di destra della mazzarina (da notare che il cavaliere disarcionato si ritrova identico anche se tratteggiato con minore cura in un cassettone sicuramente di Prinotto appartenente a collezione privata e pubblicato alle pp. 125-127 del mio recente volume “Il mobile piemontese nel Settecento” (fig. 10). L’elegante piccola carrozza con due dame a bordo seguita da un battitore a piedi con cappello piumato e da un cavaliere (cassetto centrale della ribalta), ripete la scena raffigurata nel terzo cassetto della colonna di destra della mazzarina, ma in quest’ultima battitore e cavaliere precedono la carrozza.
La sequenza dei tre cavalli trattenuti da un palafreniere e delle quattro figurette appiedate (terzo cassetto, parte centrale, della ribalta) è la stessa che troviamo nella mazzarina sul primo cassetto della colonna di sinistra. Infine la scenetta conclusiva sulla destra del terzo cassetto della ribalta, con il cacciatore “in posa” che esibisce le corna del cervo abbattuto e i cani trattenuti al guinzaglio mentre tentano di avventarsi sulla vittima, si ritrova nel terzo cassetto della colonna sinistra della mazzarina.
Il cervo inseguito dai tre cani che apre il ciclo dei cassetti della ribalta, sulla sinistra del primo (fig.7), è una variante dello stesso momento raffigurato nel secondo cassetto della mazzarina Rossi. Lo si ritrova spesso nelle opere di Prinotto. Per esempio è presente due volte, con i cani che corrono in senso inverso, nella scrivania anch’essa a ribalta del Museo Civico d’Arte Antica di Torino in Palazzo Madama (Inv.1404/L), pubblicata ne Il mobile piemontese, cit., Vol. I, pp. 98-99 (figg.8 e 9). La figura femminile con le braccia alzate che nel primo cassetto della ribalta assiste sgomenta alla caduta del cavaliere (fig.10) non ha riscontro nella mazzarina della collezione Rossi, ma a sua volta compare in altri due esemplari di Prinotto: nella mazzarina del Museo dell’Arredamento e dell’Ammobiliamento nella Palazzina di Caccia di Stupinigi pubblicata ne Il mobile piemontese cit., Vol. I, p. 102 (fig.11), e in un’altra in collezione privata resa nota nella stessa pubblicazione, pp.102-104 (fig.12). I due cavalieri e il cane sul lato sinistro del cassetto intermedio della nostra scrivania (fig.13) sono gli stessi della scrivania di Palazzo Madama ricordata sopra (fig.14). Resta da dire dei paesini che appaiono nella nostra ribalta sul secondo e terzo cassetto. Anch’essi sono una “firma” indiretta di Prinotto. Si confrontino i due che appaiono nella ribalta di cui ci stiamo occupando (figg.15 e 16) con quelli tratti dal già ricordato cassettone di pp.125-127 Vol.I de Il mobile piemontese nel Settecento, cit.(fig.17) e da un altro bellissimo comò di Prinotto, pubblicato nella stessa opera alle pp.120-122 (fig.18). Sul coperchio della ribalta in esame (rivedi fig.3), i confronti sono altrettanto decisivi. Il cavaliere con il braccio destro alzato e l’inserviente che trattiene al guinzaglio due cani (fig.19) sono gli stessi che appaiono sul primo cassetto di un comò proveniente dalla Certosa di Pesio, firmato e datato “Louigij Prinoto ebanista feccit Anno 1736 Torino” (fig.20). Il cassettone, da me reperito e pubblicato nel 1985 e di nuovo più ampiamente nel 2010, è una delle pochissime opere firmate da Prinotto, il cui cognome varia, anche nei documenti scritti, da Prinotto a Perinotto a Perinoto. Il cacciatore che punta il fucile in direzione del cervo fuggente sul coperchio della nostra scrivania (fig.21) riappare diverse volte in mobili di Prinotto come di altri autori, in questi ultimi però di realizzazione assai inferiore. Il riferimento probante è quello di fig.22, dove il cacciatore appare intarsiato in legni policromi anziché inciso in avorio: il mobile cui appartiene la scenetta è firmato e datato da Prinotto. Si tratta di una scrivania ad abattant pubblicata di recente da Nicola Fontana su Internet (http://www.arteantiquaria), di fattura non precisamente bella ma sbalorditiva in quanto realizzata da un vecchio di 94 anni! Prinotto la firmò a penna sul dorso di una cassetto: “Luiggi Perinoto d’ettà 94 a.24 marzo 1779”. L’ebanista sarebbe morto un anno dopo, il 22 aprile 1780
Per i dipinti si segnala la tela di medio formato (74 x 95 cm) “La visita dei Magi” di Giulio Carpioni (Baste d’asta 60.000 € ).
La scheda in catalogo del dipinto:
GIULIO CARPIONI Venezia 1613 – Vicenza 1679
La Visita dei Magi
Olio su tela, cm 74×95.
L’importante dipinto raffigurante l'”Adorazione dei Magi” è stato reso noto e pubblicato come “smagliante” composizione dell’artista veneziano (M.Binotto, 2000), da collegarsi all’acquaforte con il medesimo soggetto edita dallo Zani nella monumentale “Enciclopedia metodica-ragionata delle Belle Arti” (1819-1824). La critica ha giustamente sottolineato lo straordinario cromatismo dell’opera precisandone la cronologia tra il 1648 e il 1651 per raffronti con il “Martirio di Santa Caterina” (1648) dell’omonima chiesa vicentina e la grande tela eseguita per il Santuario della Madonna di Monte Berico (1651).
Collocabile in questo stretto giro di anni, il quadro costituisce un raro documento della fase di passaggio dal Carpioni giovane a un Carpioni maturo e conferma la bravura dell’artista nel genere dei soggetti sacri di piccolo e medio formato, da lui prediletto, e richiestissimo dalla committenza del tempo anche per il modulo compositivo delle “mezze figure”, uno schema derivante dal naturalismo post-caravaggesco.
Versatile interprete di un’ampia produzione mitologico-allegorica, famoso per i ritratti e le opere celebrative, Carpioni si dedicò con successo anche all’esecuzione di pale d’altare e di dipinti sacri per chiese soprattutto di Vicenza – città in cui si stabilì definitivamente nel 1657 pur abitandovi dagli anni Trenta del secolo – molte delle quali disperse o distrutte.
Il dipinto in esame, certamente non preparatorio per una pala di maggiori dimensioni, si qualifica come opera autonoma, esempio di una scrittura pittorica ormai libera e sciolta nell’efficace trascrizione volumetrica delle figure, plasticamente tornite, e nella resa di una luce tersa e adamantina, nient’affatto drammatica, rivelatrice dei diversi piani in sequenza, pur nello spazio ristretto della scena sacra.
Assiepati sul proscenio, i protagonisti dell'”Adorazione” mostrano sigle espressive e modelli fisionomici caratteristici della produzione carpionesca: la notevole qualità del dipinto, avvalorata dall’eccellente stato di conservazione, si enuclea nella disinvolta stesura pittorica e nell’intatta orchestrazione cromatica, di straordinaria lucentezza, con tonalità accese e preziose, dal blu profondo del manto della Madonna, alle variazioni brillanti di rossi, di gialli e di aranci delle vesti regali dei Magi, di una ricchezza materica data, più che dai dettagli, dal disinvolto uso del colore in appropriati passaggi disegnativi e affondi chiaroscurali. Tracce significative della frequentazione dell’artista, a Venezia, dell’atelier di Pietro Vecchia si colgono in certa carica espressionistica nel volto smagrito dagli occhi incassati dell’anziano re inginocchiato in primo piano, realisticamente descritto nelle vene sporgenti del capo, mentre assai insolito appare il dettaglio realistico del Bambino in braccio alla Madre, giocosamente sorpreso alla vista del cofanetto con le gioie offertogli da uno dei Magi.
Quest’ultimo aspetto indica una ricerca di naturalezza, spesso ricorrente nella produzione del Carpioni, derivante anche dalla conoscenza della cultura lombarda avvenuta all’epoca di un accertato soggiorno dell’artista a Bergamo, al seguito del Padovanino, suo maestro. Una più debole variante dell’esemplare è costituita da un dipinto in collezione privata a Treviso, pubblicato come autografo (Morello, 2002), ma quasi certamente una derivazione, che appare decurtato sulla destra della figura di San Giuseppe e dall’inquadramento architettonico e mostra una esecuzione più debole e corsiva, con un gioco insistente di ombreggiature molto più nette sui volti e un cromatismo meno vivace.
Bibliografia:
M.Binotto “Vicenza”, in “La Pittura nel Veneto. Il Seicento”, vol.I, MI, 2000, pp.279-281;
F.Morello “Giulio Carpione e la Vicenza del Settecento”, Urbana (PD) 2002, p.16.
Si prega di notare che questo lotto è stato notificato dalla Stato Italiano e dichiarato di particolare interesse artistico, pertanto non può essere esportato dall’Italia