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Tradizione e mutamento, Le Meraviglie di Alice Rohrwacher

In uscita il 22 maggio nelle sale italiane il nuovo film di Alice Rohrwacher: Le Meraviglie, unico film italiano in concorso quest’anno per la Palma d’Oro a Cannes; secondo film della regista toscana che ha debuttato proprio a Cannes nel 2011 con Corpo celeste e che vede come protagonista la sorella della regista, Alba Rohrwacher, insieme a Monica Bellucci. Lunghi applausi e lacrime in sala a Cannes al termine della proiezione del film: discordanti i pareri di pubblico e critica.

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Il film racconta l’estate di quattro sorelle capeggiate da Gelsomina, la primogenita. La sua famiglia funziona grazie a regole speciali: suo padre è uno straniero, Wolfgang, e vede in lei la principessa ereditaria del suo strano e improbabile regno. Certo, un maschio sarebbe meglio, ma Gelsomina è abbastanza forte e determinata e in più ha un talento speciale per il lavoro con le api e con il miele. È lei che cattura gli sciami sugli alberi, è lei che organizza la smielatura e sposta gli alveari.

Mentre intorno il paesaggio brucia sotto l’effetto dei diserbanti dalla città arriva un concorso televisivo che promette soldi e crociere alla famiglia e ai prodotti più tipici. Il programma è condotto dalla fata bianca Milly Catena (Monica Bellucci), e si chiama “Il paese delle Meraviglie”.

Gelsomina vorrebbe partecipare ma Wolfgang non prende neanche in considerazione questa proposta. Un altro problema lo tormenta: le nuove normative europee per la produzione alimentare. Se non sistemano il laboratorio del miele con pareti lavabili e spazi ben delimitati, dovranno chiudere l’attività…

Un po’ Pasolini 2.0, un po’ Ermanno Olmi – il film ritrae un mondo mondo bizzarro e spesso surreale, liminale: un rifugio rurale al riparo dal disfacimento del mondo. T’appartengo di Ambra, un cammello, un letto in mezzo al campo e il ronzio delle api fanno da contorno a un non-luogo in bilico tra il riparo e la gabbia.

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Critiche negative da Premiere: «Alice Rohrwacher offre una cronaca poetica, ma monotona della campagna italiana. […] Jane Campion (presidente di Giuria) può essere sensibile a questo ritratto di una giovane ragazza introversa che fa eco a Sweetie, il film che l’ha lanciata. L’unica differenza è che l’attenzione per l’adolescenza non ha né la follia inquietante del suo stile né il suo fascino intrigante. Alice Rorhwacher esita tra la cronaca terrena, il dramma familiare, il processo al reality senza realmente trovare il tono giusto» e  Variety: «puntando a catturare il senso di appartenenza di una giovane adolescente a una famiglia decisa a guidare il suo corso, il film ha momenti riusciti a intermittenza e non è abbastanza intenso fa giustificare la sua presenza in competizione a Cannes».

Positivo invece, ad esempio, The Guardian: «Alice Rohrwacher, regista del tanto ammirato Corpo Celeste, è venuta a Cannes con una racconto di formazione gentile, ricco di humor e dall’indole dolce. Si tratta di un lavoro leggero e divertente immerso nella campagna dell’Italia del Nord».

Il film in effetti risente di un ritmo un po’ pedante e dalla mancanza di un respiro più ampio, che vada oltre alla narrazione tiepidamente cadenzata, senza mai raggiungere un climax emotivo davvero efficace. C’è un distacco e una frigidità di fondo che sembrano quasi in contrasto verso quello che vorrebbe essere uno sguardo dolce e indulgente nei confronti di un passato duro, ma dall’aspetto ormai “mitico”.

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Arriva sempre il momento in cui qualcuno ti chiede da dove vieni. Vorrei tanto rispondere con una sola parola, come “Roma!”, “Milano!”, ma invece mi ritrovo a spiegare che vengo da una zona di confine tra Umbria-Lazio e Toscana, là dove le identità sono tutte sfaldate, in campagna. Forse il mio interlocutore conosce quei luoghi? Ma certo, mi dice, certo: sono stato a Civita la scorsa domenica e mi è sembrato di vivere nel medioevo per una giornata.

Ecco, questo è stato il primo istinto che mi ha spinto a lavorare sulle Meraviglie: il disagio che si pensi alla campagna, o ai piccoli paesi che la costellano, come luoghi “puri”, fuori dal tempo, e quindi fruibili, perché non possono mai mutare. […]

In Italia oggi si parla della campagna solo per raccontarne la distruzione e l’imminente rovina, o per usarla come sfondo romantico e innocente di storie che poco la riguardano. Eppure quello che sta avvenendo nel paesaggio italiano è un cambiamento molto più profondo e doloroso. […]

Vivere nel medioevo per una giornata: ecco la politica territoriale che è stata portata avanti negli ultimi vent’anni, con metodo. 

Prima si è cercato di distruggere tutto ciò che era cultura […] per poi trasformare in cultura tutto quello che restava, tutto quello che era innocuo: il mangiare (a bocca piena si parla meno) e il passato remoto (che pericolo ci può essere nel teatro etrusco?).

All’improvviso tutti si sono ricordati di avere UNA tradizione, e si sono dedicati a quella con tutte le loro forze. Ma la tradizione non si può estrapolare, è fatta di strati, e spesso è solo l’ultima manifestazione di un processo di mutamento. Non è piatta, è come un pozzo. Non si può salvare e proteggere solo uno strato.

Insomma, ho iniziato a girare nella mia regione, a incontrare contadini, imprenditori agricoli, paesani. Ho iniziato a chiedermi: se venissero gli extraterrestri, cosa capirebbero di questo posto? Può essere la sagra l’unica cosa che resta di un paese quasi completamente agricolo? Cosa significa abitare in questo paesaggio, esserne parte, arginare la commercializzazione da un lato e le difficoltà ambientali dall’altro? Esiste un’immagine che può sintetizzare tutto questo?

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Per poter trovare un’immagine pura, abbiamo bisogno di un punto di vista, che deve necessariamente essere ibrido. E di una casa, naturalmente. E di una famiglia che ci è andata ad abitare.  

La casa che abbiamo scelto per il film c’era da prima, c’è sempre stata. È una casa dove ci sono delle parti antichissime e delle parti più recenti […]. Fino a poco tempo fa vivere così era normale: si entrava a fare parte di una storia che ci precedeva, che non si poteva controllare fino in fondo. […] 

Non è stato semplice trovare la casa in cui girare il film: tutti i luoghi che vedevamo erano o distrutti dalle intemperie, o troppo ristrutturati. […] 

La famiglia delle Meraviglie è formata da Wolfgang, il padre che viene da un paese del nord, forse dal Belgio o dalla Germania, e Angelica, la madre italiana. Hanno quattro bambine: Gelsomina, la primogenita, Marinella, Caterina e Luna. Hanno un orto, un’ospite fissa, Cocò, pecore e api. Cosa ci fanno lì?

La risposta è quasi imbarazzante ma è vera: vogliono proteggere le bambine. Da qualcosa che sanno, che hanno visto, perché tutto è sfacelo e distruzione e corruzione, e solo la campagna ti può salvare. Solo restando uniti. Le loro intenzioni sono sincere, anche se a volte si esprimono in maniera rabbiosa. Ma come spiegarlo a Gelsomina, la primogenita, la principessa ereditaria, l’amore del babbo? Lei vorrebbe una vita più semplice, più abbinata e serena, una famiglia con meno ideali e più saggezza come quella delle sue amiche. Wolfgang sente che la figlia in cui ripone tutto, quella figlia che è più brava di lui a lavorare con le api, che è solida e responsabile, gli sta sfuggendo. […]

Il paese delle meraviglie

In questo film ci sono piccole meraviglie, fatte di luci, ombre, animali e segreti di bambine, e poi ci sono le grandi meraviglie, quelle legate all’apparizione di Milly Catena, la presentatrice di un concorso a premi che promette di fare rivivere come c’era una volta. 

Abbiamo provato a raccontare una televisione al tempo stesso reale e fiabesca, innocente, una televisione pre-analitica. Abbiamo deciso di ignorare tutta la storia degli ultimi vent’anni, tutto quello che abbiamo visto, letto, e cercato di raccontare la trasmissione televisiva come se fosse un’astronave senza passato che arriva nelle campagne dell’Etruria. Perché violento è il mezzo televisivo quasi più della sua storia. 

C’è una presentatrice donna, una dea bianca, e una troupe di uomini vestiti di nero. Li incontriamo nel bosco, e Gelsomina ne è incantata. 

Appena si entra nella scatola televisiva, la lente trasforma le persone, le abbrutisce e le esalta: vero è ciò che è efficace, ciò che può essere sintetizzato in uno slogan di poche battute. Il contadino Portarena che partecipa al concorso televisivo dice poche frasi, che abbiamo già sentito milioni di volte, ma funziona. Wolfgang invece vorrebbe dire troppo, e si confonde. Non c’è contenitore per lui, lui non funziona. Ma forse non funzionare vuol dire anche essere liberi, non poter essere chiusi in quella scatola dove le prime vittime sono quelli che l’hanno inventata. 

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Le meraviglie camminano su questo filo, tra un paesaggio che cambia, un concorso televisivo e una famiglia senza luogo. È un film che racconta probabilmente un grande fallimento. Le persone non cambiano, non migliorano, se non hanno posto all’inizio non lo troveranno alla fine. Non ci sono buoni e cattivi.  Ci sono solo persone più esposte e persone che scavano tane. Spesso quelli che si espongono, falliscono. 

Ma riuscire a provare tenerezza per se stessi e per il proprio fallimento è una via di felicità.

un film

Ancora un film? E perché? Ma ne abbiamo davvero bisogno?   “Ci sono cose che esistono ma si trasformano in nulla se si studiano, se vengono estrapolate dalla loro materia, le meduse, i sogni.” In un’epoca dove tutto è analizzabile, dove i brutti sogni diventano malattie, dove le molecole si dividono all’infinito e la politica si trasforma in una specie di psicoterapia di massa, io credo ci sia bisogno di sintesi, di meduse. E i film possono esserlo.

Possono, ma è un percorso difficile perché è pieno di trabocchetti –  come per esempio perdersi alla ricerca di una storia che funzioni meglio di altre, o ricattare il pubblico cavalcando le sue sciagure, o rincitrullirlo tempestandolo di forti emozioni – e c’è bisogno di tanta attenzione. 

Nella nostra storia la famiglia di Gelsomina fa il miele, e siamo sicuri che sia un miele buonissimo, ma il loro laboratorio, il modo in cui lavorano è completamente illegale: le mura non sono disinfettabili, manca un tombino sifonato, il bagno con l’antibagno. E che dire poi della manodopera minorile? Insomma, quello che loro fanno è buono, ma se andiamo a vedere da vicino non rispettano nessuna legge e potremmo davvero sbatterli in prigione.  

Una cosa simile accade anche nel nostro lavoro, e spesso i buoni film non possono rispettare tutte le leggi narrative e produttive. Certo, c’è il rischio  che gli spettatori, un po’ come i NAS, ti facciano chiudere. Ma io credo che prima di pensare a quanto miele vendere, bisogna chiedersi se è buono, soprattutto se lo possiamo dare da mangiare ai nostri bambini”.

Alice Rohrwacher

Tratto da LO STRANIERO n.167

[youtube]https://www.youtube.com/watch?v=-AIHVBjHP_Y[/youtube]

 

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