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Non fate piangere Alfonso Signorini. Lui sì che ci sa fare

Signorini

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Non riusciremo mai a capire quanti signorini davvero ci siano, quanti professorini di lettere un po’ sfigati possano beneficiare della nuova società dell’apparenza, di questo senso di estetica fatua come forse poteva essere solo quella dei cicisbei del Settecento.

Ma certo il più famoso di tutti i nostri signorini – che non sono soltanto un modo di essere, ma anche una forma del pensiero e un concetto dell’esistenza -, il direttore Alfonso Signorini, nomen omen, è molto più di una persona unica.

Se qualcuno lo disprezza, e chissà perché, Gad Lerner arriva a definirlo «un grande intellettuale (sic!) organico alla nuova egemonia culturale del Paese», architetto dell’estetica del regime berlusconiano, con una centralità capace di compiacere il suo capo in ciò che ha di più caro, quella che un raffinato politologo come Massimiliano Panarari ha definito «l’esteriorità invidiabile del benessere».

Cioè, se abbiamo capito bene, lui sarebbe addirittura il teorico di questa moderna filosofia del vuoto e del piacere, così ben rappresentata dalle tv e da tutta una serie di trasmissioni che gravitano attorno a Lele Mora e ai suoi pupilli. Noi credevamo che ne fosse solo lo strumento.

Ma è il suo modo di porsi che ci inganna, come il suo hobby preferito, che è ovviamente quello di sparlare male in tv, se possibile, di tutti coloro che non gli servono con le sue compagne di merenda preferite, fra le quali un tempo eccelleva un’altra famosa signorina, Barbara d’Urso.

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Questa sua capacità di assecondare gli altri disprezzando tutti, che noi non abbiamo ancora capito come faccia, ci ha tratti in errore. Pensavamo che lo facesse perché obbligato.

Però, prendete l’ultima polemica che l’ha visto ingiustamente deriso sul web. Sul suo giornale, «Chi», aveva messo la foto del ministro Marianna Madia che mangiava tranquillamente un gelato in macchina con suo marito, accompagnata da un titolo, pensato e meditato a lungo, dove alla fine c’era tutta la sua profondità culturale: «Ci sa fare con il gelato».

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L’altra sera, da Fazio e Gramellini, a «Che tempo che fa», aveva uno sguardo contrito che ci faceva tenerezza pensando anche a certi insulti indecorosi che aveva ricevuto sul web («meglio leccare il gelato che leccare il c… del padrone», navecorsara.it).

Aveva persino gli occhi lucidi mentre diceva che «bisogna avere l’onestà intellettuale di riconoscere un errore e io lo riconosco. Il linguaggio del gossip è fatto di irriverenze, ma non si doveva offendere». E poi era quasi scoppiato in lacrime: «Era lontano dalle mie intenzioni fare del sessismo. Il crinale fra informazione e violazione della privacy è difficile da percorrere e io ci sono cascato».

Abbiamo pensato quanto fosse stato ingiusto trattarlo così, e quanto fosse esagerato. Apriamo l’hashtag «#non fate piangere Signorini». Anche perchè in quelle parole c’era qualcosa di incomprensibile.

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Appena due giorni prima, in un’altra tv, stava parlando con Belpietro, e la sua voce squittiva come sa fare solo lui, tipo quei maglioncini colorati a righe e a scacchi che gli ha cucito addosso una sarta che non sente, non parla ma soprattutto non vede quello che fa. E lì la sua voce si alzava di due toni, sembrava una soprano eccitata.

Belpietro: Sei pentito di quel titolo? E lui, l’autentico Signorini dei nostri tempi: «Guarda, per niente». Agitar d’occhi. «Trovo scandaloso che nell’Italia che sprofonda, l’intera classe politica di sinistra si sia occupata del gelato». Ah, ci pareva. E Belpietro: Ma tu ci hai marciato? «Ma certo che ci ho marciato! Ovviamente che ci ho marciato!». Eccolo l’intellettuale, il teorico intravisto per primo da Gad Lerner: «Io rivendico il mio diritto al divertimento. Quello è un servizio divertente». Belpietro, che sembrava più cattivo di Fazio, gli ha tirato fuori la Pascale: «Oggi lei ha definito quella battuta volgare». Signorini: «Non si può stare un giorno sul pero, e uno sul melo» (sono questi i concetti che mancano a molti nostri cosiddetti intellettuali). «Ieri la Pascale mi aveva chiamato e mi aveva riempito di complimenti: fantastico, bravo!». Belpietro: continuerai a pubblicare servizi irriverenti? «Milioni di italiani si divertono assieme a me, e continueremo a farlo insieme».

E’ una promessa. O una minaccia?

Il fatto è che le due versioni sono praticamente inconciliabili. Molti come noi hanno pensato subito a cose assai spiacevoli, tipo una tortura, o un ricatto. Ci salva solo l’idea che in realtà i signorini siano sempre un po’ più di uno, e che non basta stupirsi della sua apparenza, di quel suo modo di volersi ingraziare gli uni distruggendo gli altri, non basta descrivere il motteggio e la sua mimica facciale, «persino l’abilità da giullare con cui ormai piega alla bisogna la propria sessualità dichiarata», come lo tratteggia Gad Lerner, per coglierne il senso più profondo.

E’ vero che sul web il sito Nonciclopedia l’ha definito «un inquietante personaggio senza senso della tv italiana che salta da un programma televisivo a un altro senza una meta e uno scopo ben preciso», annotando subito dopo che passa il 95 per cento del suo tempo a sparlare degli altri.

Ma se non lavora, è il miglior servitore che esista sulla faccia della terra, perché forse è disposto a tutto. Solo che se uno ci pensa meglio, magari è questo il suo vero lavoro, non lo spettegolamento.

La verità con Signorini è impossibile. A Kalispera, una trasmissione che faceva su Canale 5, una volta invitò Flavio Insinna. Gli fece leggere una poesia, «il passero solitario» del Leopardi, rimembranza dei suoi trascorsi di professorino di lettere, e Insinna si incespicò un poco, quasi a disagio.

Con la classe che lo contraddistingue, ammiccando come sa fare lui, sorridendo e cinguettando, Signorini trovò la chiosa giusta a quell’episiodio culturale: «dedichiamo questa poesia a tutti i passeri solitari», dove il doppio senso da dopolavoro ferroviario era evocato dalla parola e dai suoi motteggi.

Signorini

Ecco, questo è Signorini.
Solo che per quanti Signorini esistano, saranno sempre troppi, visto che non ne esiste mai uno unico.

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