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Intervista esclusiva a Giovanni Frangi per la sua “Lotteria Farnese” a Napoli

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Lotteria Farnese di Giovanni Frangi

Una sala meravigliosa: la Sala della Meridiana, “uno dei più importanti e grandi spazi coperti d’Europa”. Un artista che non ha alcun bisogno di presentazioni: Giovanni Frangi. Si sono trovati. Ed ecco nascere “Lotteria Farnese” al Museo Archeologico di Napoli, primo piano: la sala geometricamente tagliata dalla Meridiana da cui prende il nome, contenitore ideale di quel pezzo-icona della storia dell’arte classica che è l’Atlante Farnese, disseminata di teleri-arazzi, disposti in maniera disarticolata, solcati dagli automatismi del pastello ad olio di Frangi da cui affiorano paesaggi, lasciati liberamente riemergere dalla sua memoria visiva. Geografie visive e mentali che si riflettono tra loro. Risultato: un gioco imprevedibile di sguardi, una lotteria di rimandi.

Lotteria Farnese” di Giovanni Frangi alla Sala della Meridiana, dal 14 novembre 2014 all’11 gennaio 2015. Un connubio perfetto. O meglio, ‘nu babbà.

Giovanni Frangi
Giovanni Frangi

Tutto il lavoro nasce dalla Sala della Meridiana.

Tutto nasce da lì. La mostra nasce espressamente per questo salone al primo piano del Museo Archeologico. Sala assolutamente straordinaria, anche per le dimensioni, che ti pone subito dei “problemi” dovuti alla grandezza: lunga quasi 60 metri, larga 20 metri: 1200 metri quadrati di area. E in più è alta 20 metri.

“Uno dei più grandi spazi coperti d’Europa”. Con che elementi ti sei confrontato nella Sala?

Nella Sala l’unica opera presente, a parte le decorazioni e i quadri appese alle pareti, è l’Atlante Farnese del II secolo, scultura di marmo meravigliosa in fondo alla sala. L’altro elemento con cui era necessario confrontarsi è stato proprio la meridiana, un listello di ottone disposto sul pavimento tra riquadri di marmo lungo quasi 30 metri (opera di Pompeo Schiantarelli a fine 700 ndr). La mia idea di riflettere intorno a questo spazio è partito dal fatto di fare un intervento che non andasse in competizione con la potenza dello spazio ma lavorasse in una dimensione di leggerezza. Non andare in antagonismo con la “storia” che lo spazio porta.

Senza fare un intervento invasivo. Rispettando quel concentrato di storia che la Sala si porta dietro anche negli arazzi che erano appesi fino a metà degli anni Cinquanta.

Fino al 1957, infatti, nella Sala c’erano esposti questi arazzi fiamminghi del celebre ciclo D’Avalos realizzati probabilmente tra il 1528 e il 1531 e ora conservati al Museo di Capodimonte. Erano arazzi dedicati alla battaglia di Pavia del 1525 tra l’imperatore Carlo I d’Asburgo e Francesco I di Valois, re di Francia. Il fatto che ci fossero degli arazzi in questa sala probabilmente ha fatto scattare in me l’idea di creare un dialogo con un passato che non c’è più. Ho fatto degli stendardi che sono in qualche modo una specie di arazzi.

Arazzi come grandi teleri che variano dai 3 ai 6 metri di base, ottenuti cucendo verticalmente pezzi di stoffa di differenti colori. Raccontaci dell’allestimento. Come sono collocate le opere e come sono fissati i teleri?

Ho fatto costruire delle strutture autoportanti in ferro come fossero delle porte di un campo di calcio. Su queste strutture – alte 3 metri e lunghe 6, quindi come i lavori – vengono appesi sia da una parte che dall’altra questi stendardi. In realtà all’inizio avevo pensato di fare un allestimento molto regolare, poi appunto la linea obliqua della meridiana mi ha fatto cambiare idea.

Impossibile da “sfidare” l’orologio solare.

Non potevo sovrapporre il mio lavoro alla meridiana. Per cui la linea obliqua ha condizionato la collocazione delle opere che sono disposte in maniera assai disorganica, un po’ casuale, in modo da creare una situazione di spaesamento. Per cui non ci sarà un punto di vista preciso che comanda sugli altri ma a seconda di dove uno si colloca dovrebbe trovare dei punti e delle visioni diverse.

Non esiste un punto di osservazione che comandi sugli altri. Non a caso la mostra si intitola “Lotteria Farnese”, una lotteria di sguardi.

Sì, gioca un po’ su questo fatto, sull’imprevisto.

Farnese, poi, come l’Atlante che sorregge il globo in cui sono raffigurate le costellazioni. Sembra quasi che i segni grafici che operi nelle tele siano esse stesse costellazioni. Come se in qualche modo i disegni sui teleri si richiamassero alle stelle di marmo dell’Atlante Farnese. Come se da quel globo sorretto sulle spalle dal titano si emanassero stelle che si tracciano sui tuoi stendardi come costellazioni. Le tue, certo, legate al mondo della Natura. 

Se così fosse sarebbe perfetto. Infatti ad un certo punto anch’io, essendoci questo Atlante Farnese, avevo pensato di fare (anche) quadri con le stelle, ma mi son sentito fuori luogo. Mi piace sempre darmi dei confini precisi che sono i miei, all’interno dei quali elaborare e cercare delle forme espressive diverse. Desidero mantenere un mio campo. Mi sento sicuro sul mio territorio, lavoro sul mio territorio. Anche se effettivamente in alcune immagini, come quella che si intitola “Costiera“, che dà l’impressione di essere un paesaggio visto dall’alto, ci son dei punti che sembrano quasi delle stelle riflesse nell’acqua. C’è un margine di lettura, di interpretazione che è un po’ il bello dell’opera.

Il tuo territorio, infatti, che è la Natura, da sempre il tuo campo d’azione privilegiato.

Sì, è dove mi sento a mio agio. Ad un certo punto ho pensato che quello fosse il mio campo d’azione in cui più mi muovevo con maggiore libertà. Se quando ho iniziato ero più legato a delle visioni del paesaggio in qualche modo più descrittivo, il lavorare all’interno della Natura – quindi la rappresentazione di situazione naturali – mi permetteva di agire con una scioltezza che non riuscivo a trovare da nessuna altra parte. Questo è l’elemento fondamentale. In genere tutti i lavori che ho fatto son sempre legati a cose che io ho visto, ho frequentato, a fotografie che ho fatto io personalmente. Per cui il legame con il luogo è un altro elemento che, anche se non è immediatamente percepibile per me stesso, alla lunga è un fatto fondamentale.

C’è un momento, una fase, un principio in cui nasce e si sviluppa il pensiero e la realizzazione di “Lotteria Farnese”?

Qualche mese fa son stato invitato da Giovanna Melandri per fare un intervento al MAXXI in concomitanza con un convegno organizzato da Massimo Recalcati. La sala che mi avevano dato a disposizione era uno spazio piuttosto grande, la Sala Corner, formata da due grandi colonne di ferro che sostengono il soffitto.  Mi era venuta l’idea di fare una cosa nuova, spesso penso di lavorare su cose che ho già fatto ma poi mi diverto di più a sperimentare qualcosa di nuovo. Allora ho steso una vela stendardo grande 6 metri per 3 – infatti la mostra si chiamava “Mollate le vele” –  tra le due colonne. In quel caso l’opera prevedeva anche l’utilizzo di alcune sculture in gommapiuma raffiguranti scogli, sassi e tronchi galleggianti che nel corso dell’anno avevo fatto. Per cui diciamo che il pensiero successivo a questa operazione mi portava verso il problema di risolvere il problema della Sala della Meridiana. Ho pensato che quella poteva essere una chiave interessante anche perché è un lavoro che lì avevo appena iniziato e sentivo che aveva dentro una possibilità di continuare.

Un passo in avanti rispetto anche ad “Alles ist Blatt” (“Tutto è foglia”), ora esposto all’Orto botanico di Padova, in cui il lavoro è polarizzato tra il bianco e il nero? Lo sfondo di alcune delle tele dal bianco lasciano posto al colore, doppio colore anzi.

Diciamo che “Alles ist Blatt” l’ho realizzata espressamente per l’Orto botanico. Nasceva dal fatto che la prima volta che sono andato a visitare l’orto, ancora in fase di realizzazione, mi son reso conto che l’invasività del cromatismo delle piante, sia all’interno che all’esterno, era molto forte. Non volevo entrare in competizione col colore e ho detto: cerco di essere sintetico, più minimale.

Giocando con le trasparenze della luce che si riflette dentro la nuova Sala delle Esposizioni dell’Orto. Il bianco in quel contesto era fondamentale.

Esatto. L’utilizzo del bianco lì era dovuto proprio al contesto. Poi in realtà avevo già cominciato prima a fare dei collage di carta incollando dei piccoli fogli (di carta) e disegnandoci sopra, unendo delle carte con dei colori diversi col segno nero. Per cui è una cosa che è andata avanti in un binario parallelo. A Napoli ci sono alcuni lavori realizzati con il segno nero su tele cucite totalmente bianche, altri invece hanno tele di gialli diversi, altri ancora di rosa, rosso e così via.

La componente del colore resta un fattore imprescindibile dei tuoi lavori. In questo caso il colore è la tela di supporto. Come mai ora quel doppio colore di sfondo?

Perché mi piaceva questa geometria. La differenza del cromatismo dava un quid in più al segno.

“Segno” per cui mi sembra tu abbia trovato quella “fonte primigenia” che si riflette in tutto il tuo lavoro, collegandomi a Goethe che ha ispirato il tuo lavoro all’Orto botanico di Padova “Alles ist Blatt” (“Tutto è foglia”). Cioè, quel modello, quella forma base a cui tutto è ricondotto. Come Goethe vede nella foglia (Urpflanze) il concentrarsi dell’intera potenza della pianta, tu hai trovato in questi ultimi lavori (“Alles ist Blatt”, “Mollate le vele” e “Lotteria Farnese”) l’essenza della tua opera in quel segno specifico. Esagerando un po’: la Foglia di Goethe, il Segno di Frangi.

Probabilmente è vero. Nel senso che io ho bisogno che questo “segno” acquisisca una meccanicità naturale, per cui nel seguire delle forme, che in qualche modo sono note, mi permette di muovermi in una maniera molto fluida. Ecco, a me interessa che questo segno sia fluido. Infatti in realtà è una strana sensazione, ma quando faccio questi lavori – e c’è un margine di errore perché sono lavori in cui la velocità di esposizione è necessaria – in genere mi rendo conto immediatamente se ci sono o non ci sono, cosa che una volta non mi succedeva. Capisco quasi subito se questo movimento ha una sua fluidità per cui è una sua necessità. C’è questo automatismo interessante.

Non potevi scegliere tecnica migliore del pastello.

Quando ho cominciato a fare quel tipo di lavoro pensavo di farlo con altre tecniche, poi dopo però il pastello era più fluido e congeniale.

Sintesi, fluidità e “automatismo” del disegno.

In occasione sempre di quel convegno sulla creatività a Roma, Recalcati mi ha chiesto di fare un intervento. Avevo appena finito di leggere “A bigger message” di David Hockney in cui ad un certo punto lui riflette sui disegni di Van Gogh che inviava per lettere al fratello: una specie di sintesi dell’opera già prodotta. C’è una capacità di sintetizzare un’immagine in quei piccoli disegni che è straordinaria. A me è sempre interessata questa capacità di sintetizzare senza perdere la capacità di creare una profondità. Come se la mano diventasse intelligente.

Le opere in mostra

Giovanni Frangi Sul bordo del fiume, 2014, 300x460cm, Pastelli grassi su tela
Giovanni Frangi – Sul bordo del fiume, 2014
Giovanni Frangi - Lotteria Farnese
Giovanni Frangi – Lotteria Farnese
Giovanni Frangi Russeau, 2014, 300x460cm, Pastelli grassi su tela
Giovanni Frangi – Russeau, 2014
Giovanni Frangi - Lotteria Farnese
Giovanni Frangi – Lotteria Farnese
Giovanni Frangi Rosso Adige, 2014, 300x460cm, Pastelli grassi su tela
Giovanni Frangi – Rosso Adige, 2014
Giovanni Frangi - Lotteria Farnese
Giovanni Frangi – Lotteria Farnese
Giovanni Frangi Delta, 2014, 300x420cm, Pastelli grassi su tela
Giovanni Frangi – Delta, 2014
Giovanni Frangi Delta, 2014, 300x420cm, Pastelli grassi su tela
Giovanni Frangi – Delta, 2014
Giovanni Frangi Ansedonia, 2014, 300x600cm, Pastelli grassi su tela
Giovanni Frangi Ansedonia, 2014

Luca Zuccala

INFORMAZIONI UTILI

Giovanni Frangi. “Lotteria Farnese”

Museo Archeologico Nazionale
Piazza Museo Nazionale, 19, 80135 – Napoli

a cura di Michele Bonuomo e Aurelio Picca
dal 14 novembre 2014 all’11 gennaio 2015
Aperto dalle 9 alle 19,30
Chiusura settimanale martedì

Tel. 039.081.4422149

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