Filippo Nogarin, sindaco di Livorno, Movimento 5 stelle: «Querelo quella vignetta perché racconta una menzogna. L’ironia si può fare su questioni reali, ma questo è un modo di infangare la mia figura e quella dell’amministrazione». Che strano.
Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia, aveva usato gli stessi concetti per querelare un altro vignettista: «C’è un limite a tutto, e la satira non c’entra con il razzismo, la diffamazione e l’attacco vergognoso alla dignità e all’onore delle persone. Ho dato mandato al mio avvocato affinché questa indecenza di Vauro nei miei confronti, che dura ormai da anni, abbia termine».
Almeno su questo, il “Palazzo” è tutto uguale. Ma non solo. Diffidate delle diversità.
Nel nostro infinito Paese delle meraviglie, non c’è neanche da stupirsi se i grillini, che discendono da un comico e da una costola della satira, querelano subito chi osa far satira su di loro.
Dovrebbe stupire un po’ di più se quelli eletti per far piazza pulita dei ladri e dei sanguisuga della politica, una delle prime cose che fanno è proprio quella di aumentarsi i rimborsi.
E la satira che limite ha? Non stanno nel tratto e nell’esagerazione le sue arme, nell’iperbole, persino nella deformazione? Che cosa ci resta da fare per difenderci alle sentinelle del Palazzo?
Il caso di Livorno, in questo senso, è abbastanza emblematico. Sull’onda del rinnovamento, della nuova politica, della sinistra uguale agli altri, delle immancabili, durissime parole d’ordine del tipo «sono tutti ladri e solo noi li cacceremo», i Cinquestelle, alle ultime elezioni comunali, questa primavera, si prendono Livorno, roccaforte storica di PCI prima e PD dopo. E’ un trionfo inaspettato.
Lui si presenta così sul blog di Beppe Grillo: «Sono Filippo Nogarin, sono una persona prestata alla città per un tempo breve, per portare a compimento quella che in questo momento sento come una missione».
Segue la solita filippica contro il clientelismo e le vecchie abitudini. Per carità, tutto vero e ha ragione da vendere. A parole. Poi per prima cosa si riduce lo stipendio del 10 per cento. Benissimo. Anche perché le casse del Comune stanno messe veramente male.
Solo che subito dopo, fa sapere l’Associazione Livorno Democratica, approva una delibera per aumentare i rimborsi spese agli assessori che abitano fuori comune (pure il sindaco non è di Livorno): 23mila euro per il 2014, e 38mila per il 2015 e 2016.
Scrivono ai giornali: «E’ un provvedimento che ha molte probabilità di entrare nel raggio di attenzione della Corte dei Conti, data la sua evidente anomalia». E La Nazione e Il Tirreno pubblicano tutto, assieme a una vignetta che ritrae il sindaco e l’assessore Nicola Perullo mascherati con in mano una pistola giocattolo puntata contro un dipendente del Municipio che sotto di lui tiene un cartello con la scritta «Cassa del Comune vuota». Il titolo non lascia dubbi: «Rimborsi agli assessori».
Querela immediata: a tutela, come si dice nella delibera 464 del 21 novembre, del prestigio (?) e della reputazione dell’Amministrazione Comunale.
Tutte queste parole sull’onore lasciano un po’ spiazzati, ma che ci volete fare. Si fa così. E l’onore dev’essere una cosa sacra, molto più della satira.
Giorgio Forattini, il principe dei vignettisti, fu addirittura querelato e condannato per una vignetta relativamente bonaria su Bettino Craxi, nella quale il leader socialista veniva raffigurato mentre leggeva laRepubblica e commentava «Quanto mi piace questo giornale quando c’è Portfolio» (che era un concorso allegato al giornale).
Secondo i giudici, l’implicazione era chiaramente falsa. Altra condanna per Occhetto, disegnato assieme a D’Alema, mentre vestiti da prostitute ricevono dei soldi da Gorbaciov. Per il magistrato la vignetta aveva un intento informativo. D’Alema arrivò a chiedergli 3 miliardi di danni per essere stato ritratto mentre con un bianchetto cancella la lista Mitrokhin e risponde a uno che gli chiede se «arriva sta lista?»: «Un momento! Non s’è ancora asciugato il bianchetto!».
Come si vede bene, ci vuole niente a offendere l’onore. In fondo, quelle di Vauro su Brunetta, vanno più sul personale.
In una, il capogruppo di Forza Italia è il cane Brù Brù che gioca assieme a Dudù. In un’altra, c’è scritto «Brunetta pronto ad allearsi con il diavolo», mentre una delle sentinelle di Satana gli dice: «Ehi capo, mi sa che ci hanno mandato il nano sbagliato!». E ancora: «incarichi in Forza Italia, solo Brunetta resta in piedi». Berlusconi sta sorridendo: «E’ l’unico che riesce a leccarmi il sedere senza bisogno di chinarsi».
Alla fine, che sia per Mitrokhin o per Gorbaciov o per Dudù, le parole sono sempre le stesse, perché l’onore e la dignità non si toccano. Non importa che uno non mantenga le promesse, o che forse possa persino prendere in giro gli elettori, che prosciughi le casse mentre gli altri devono perdere il lavoro o chiudere le aziende perché non hanno più soldi per pagare.
Il fatto è che quelli del Palazzo hanno un prestigio enorme, anche quando lo contestano o lo disprezzano. In Italia si fa così.
E mica da oggi, se il primo grande della lista, Giovanni Guareschi, direttore del giornale satirico, fu già condannato per una vignetta in cui si raffigurava il presidente della Repubblica Luigi Einaudi mentre sfilava fra due ali di bottiglie di vino: «Nebiolo – Poderi del senatore Luigi Einaudi».
Da allora cos’è cambiato? Forse niente, o forse è peggio di prima. Siamo il Paese delle Meraviglie. Giorgio Forattini adesso abita a Parigi e dice che «là sono allibiti.
I vignettisti francesi che frequento, non si spiegano la nostra situazione. e io capisco questo tono di derisione che spesso c’è, se non di disprezzo, da parte degli stranieri nei riguardi dell’Italia».
Ricorda di aver fatto Andreotti in tutte le maniere, «specialmente al tempo del divorzio, quando gli ho dato veramente giù. Non mi ha mai querelato. Anzi, una volta l’ho incontrato ed è stato molto carino. Ma allora io non avevo paura».