Perché una mostra legata all’arrampicare e ai suoi oggetti in un museo che testimonia gli usi e costumi di un territorio?
La domanda, legittima come tutte le domande, trova risposta nell’essere, quello lecchese, un popolo “nato e cresciuto in salita”, abituato a mettersi in relazione con la pendenza.Qui il territorio di montagna comincia un metro dietro le sponde del lago. Perché non è l’altezza sul livello della acque a fare la montagna, ma la pendenza del versante che implica un modo particolare di porsi davanti agli oggetti e al lavoro. La pendenza rende tiepidi anche in inverno i versanti sopra i piccoli borghi che guardano il lago. Si sviluppa in tal modo un’agricoltura di montagna che determina la capacità, non solo di sapersi muovere sui ripidi pendii, ma di reggersi in equilibrio per lavorare. Si tratti di tagliare fieno magro, abbattere con la fólc’ alberi cresciuti in posizioni impossibili, catturare nidiate di passeri solitari.
Qui si forma quella categoria elitaria di proto-alpinisti noti come rampacorni. Gente che, pur digiuna di tecnica d’arrampicata, tiene distinta la corda (di canapa) con cui assicurarsi da quella per far scendere le fascine e che non teme di calarsi nel vuoto per raggiungere un carpino cresciuto su una cengia.
L’acqua, sempre in virtù della pendenza, diventa forza motrice e permette lo sviluppo di un’industria da cui deriva l’abilità di forgiatori, messa subito a profitto nel costruirsi i chiodi da roccia. Senza contare il costante allenamento fisico e l’evolversi di una raffinata manualità, vera “abilità di artefice”, maturate inconsapevolmente negli stabilimenti che si assiepano lungo la valàda del Gerenzone.
Quella medesima la valàda che, risalita nei giorni festivi, consente l’accesso ai Piani Resinelli, vera antiporta della Grignetta meta, ormai da una trentina d’anni, delle scalate dei milanesi e di qualche occasionale, temerario lecchese.Il doppio registro operaio-contadino, già attestato nei Promessi Sposi con le cure prodigate dall’operaio setaiolo Renzo alla sua vigna o all’orto dell’amico, presso cui trova ricovero in attesa del ritorno di Lucia, consente, con un lieve ampliamento dell’ambito di applicazione, il passaggio dal lavoro sui pendii del San Martino, del Resegone e sulle ripide balze che a Mandello fanno da piedistallo al Sasso Cavallo, alla vera arrampicata su roccia. Così che, quasi senza soluzione di continuità, ci si possa muovere da questi terreni alle vie tracciate dei pionieri con confidente sicurezza e giungere presto a superare pareti che questi non avevano osato affrontare.
Questa mostra è anche un modo per far uscire dalle mura della Torre Viscontea, l’incredibile potenziale di un Museo dell’alpinismo che fin qui, malgrado gli sforzi di molti, non ha ancora avuto l’occasione per decollare. E l’incredibile lavoro che un gruppo di volontari del C.A.I. Lecco è riuscito a portare comunque avanti, raccogliendo e catalogando pezzi sovente unici, che raccontano, quasi animandosi, una storia antica che è una delle grandi testimonianza del nostro passato, ma che deve essere pronta a spalancarsi sul futuro di un territorio che mai come oggi si interroga sul suo destino.
Ed è anche l’occasione per ridare visibilità e rilanciare il progetto MoDiSca (Montagne di Scatti), ideato da Daniele Chiappa e da un gruppo di collaboratori e lanciato dalla Comunità Montana Lario Orientale Valle San Martino, che costituisce il primo tentativo organico condotto in Italia di raccogliere gli archivi alpinistici di singoli e associazioni, riversandolo in una grande base dati informatica a disposizione di studiosi e appassionati. Il sodalizio con il Museo Etnografico dell’Alta Brianza non viene dunque per caso, ma si è realizzato in ragione di un lavoro ultradecennale che questo istituto ha avviato e prosegue nei campi della storia sociale e della ricerca antropologica, interessate alla cultura materiale e quella immateriale di coloro che sono vissuti e di coloro che vivono nel nostro territorio. Per questo una mostra come Arrampicare ieri e oggi viene proposta in quello che si riconosce come museo delle voci e dei gesti, che offre ai suoi visitatori una nuova occasione di conoscenza attraverso la documentazione audiovisiva, oltre che oggettuale.
Tornando al tema di questa esposizione temporanea, la storia dell’arrampicata lecchese è stata integrata con immagini e materiali del periodo del free climbing, la meravigliosa, breve stagione in cui scalatori visionari, ritornando a calzare le “scarpette” come i loro predecessori (anche se con la suola in gomma), hanno girato pagina guardando con occhi nuovi le pareti senza vetta pressoché ignorate nei decenni precedenti. Infine, immagini e materiali che raccontano dell’avvento del fenomeno che, per vastità di pubblico e di progresso tecnico su pura roccia, ha determinato una rivoluzione mai vista nel mondo verticale: l’arrampicata sportiva. Proprio intorno all’arrampicata sportiva, tema del convegno indetto a Lecco dalla Comunità Montana Lario Orientale Valle San Martino nello scorso dicembre, il territorio lecchese, ricchissimo di falesie attrezzate da pochi scalatori volontari, sta riflettendo sulla concreta possibilità di utilizzare il suo patrimonio naturale e paesaggistico per lo sviluppo delle attività “outdoor”, in chiave di concreta possibilità di sviluppo sostenibile.
INFORMAZIONI UTILI
Arrampicare ieri e oggi. Gesti, materiali, storie di alpinisti lecchesi
A cura di Alberto Benini, Pietro Corti, Ruggero Meles
Museo Etnografico dell’Alta Brianza – Località Camporeso – Galbiate (Lecco)
dal 21 settembre all’1 marzo 2015
promossa dal MEAB, dal Parco Monte Barro e dall’Associazione Culturale Alpinistica Lecchese, in collaborazione con la sezione “Riccardo Cassin”del CAI di Lecco, Fondazione Cassin e Comunità Montana del Lario Orientale Valle San Martino, con il patrocinio di Regione Lombardia
Il museo è aperto: martedì, mercoledì, venerdì : 9-12,30 sabato e domenica: 9-12,30 14-18
Info: MEAB tel. 0341.240193 Parco Monte Barro tel. 0341.542266