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“Non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno dalle dita” (Alda Merini)

Natale
John Lennon e Yoko Ono. Loro si sono scritti tra le più belle lettere d’amore

La lettera perduta era sul marciapiede vicino alla fermata dell’autobus di via Accademia Albertina, nel centro di Torino: «Caro Vla, se stai leggendo queste righe…».

Due pagine di un amore incerto e smarrito, piegate con cura e vergate con una grafia nitida e precisa. Le aveva firmate Vale che forse sta per Valentina.

Ma che senso hanno delle parole scritte su un foglio in questi giorni di Natale 2014, ai tempi del web e dei telefonini che parlano da soli, della vita che viaggia nell’etere senza più distanze e senza più attese, che senso ha questa magia così lontana?

Katherine Mansfield si sedeva accanto alla scrivania e cominciava così: «Ho voglia di scriverti una lettera d’amore questa sera…». Ma era un secolo fa.

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Oggi queste paginette perdute danno una emozione diversa, è come se avessimo ritrovato un tesoro dimenticato, qualcosa che non ricordavamo più, come se ci avessero cambiato questa sera, la sera dei cani che parlano tra di loro e della luna che sta per cadere, come in quella canzone di Lucio Dalla, “la sera dei miracoli”, così dolce che si potrebbe bere, «così strana e profonda che lo dice anche la radio».

Il fatto è che quella lettera d’amore è davvero un piccolo miracolo, anche se Vale lascia qualche melanconia: quando la leggerai, dice, ci saremo già parlati e tu avrai già deciso. «Ora ho due possibilità: o sono di nuovo parte della tua vita oppure (purtroppo) hai scelto che era meglio non provarci un’altra volta. Ovviamente mentre sto scrivendo sto sperando che ci sia un futuro per noi e che tu abbia fatto la tua scelta con il cuore e non con la testa come ti ho sempre detto di fare».

Ai tempi delle distanze cancellate dall’etere, è più difficile scrivere le parole Wolfgang Amadeus Mozart mandava alla sua donna: «Sono sei giorni che sono lontano e mi sembra già un anno».

Oggi le lontananze per gli innamorati possono essere solo fisiche, perché basta schiacciare un tasto per essere raggiunti da chiunque, e possiamo sentire subito la voce che amiamo nel nostro cellulare.

Nelle spire dei tempi andati, invece, anche Beethoven si disperava su una lettera per la sua solitudine: «I miei pensieri corrono da te, mia amata immortale, poi di nuovo tristi, in attesa di sapere se il destino ci esaudirà. Per affrontare la vita io debbo vivere esclusivamente con te…  Sii calma, soltanto considerando con calma la nostra esistenza possiamo raggiungere il nostro scopo che è di vivere assieme».

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Katherine Mansfield e John Middleton Murry a casa – 1913

E Paul Eluard si doleva perché senza la sua Gala «non ho i miei bicchieri di smeraldo e di fuoco, e non ho ricavato da tutto questo che un disincanto incredibile, e tanta voglia di morire. Senza amore tutto il resto è perduto, perduto, perduto…». «Credo proprio di aver scritto delle stupidaggini, per gli altri almeno», diceva Mozart. «Ma per noi che ci amiamo tanto non è affatto stupido».

‘Vale’ non ha lo stesso struggimento, ma ci sono delle lacrime nelle sue pagine: «Volevo dirti che con te ho imparato davvero tante cose. La prima, la più importante, è che mi hai insegnato ad amare. Sì, posso dirlo, nel periodo in cui siamo stati insieme sento di essere maturata e spero di averti lasciato cose che in precedenza altri hanno lasciato a me, cose non superficiali, ma che ti insegnano a vivere e a guardare la realtà con occhio diverso…».

Se ci pensiamo, è bello leggere queste parole che la carta ha conservato per sempre. Non ci sentiamo degli intrusi. Quello che cerchiamo in una lettera d’amore è un riflesso dei nostri bisogni e delle nostre passioni. Non ce ne rendiamo conto, ma in quelle parole raccontiamo il costume di un’epoca, le sue sofferenze e i suoi sogni, disegnamo un pezzo della nostra storia.

Ma che cosa leggeranno di noi e dei nostri amori quelli che verranno se tutti i messaggi che noi mandiamo viaggiano sull’etere e rimangono scritti solo sulla memoria di un cellulare o di un computer? Non avremmo mai conosciuto questa piccola storia se non avessimo trovato queste righe smarrite per terra: Vale ha lasciato il suo ragazzo e poi s’è pentita, ha capito di amarlo più di qualsiasi cosa e sta cercando di tornarci assieme.

Non so perché, ma questa lettera perduta sul marciapiede di via Accademia Albertina, è come un miracolo di Natale.

Speriamo che sia andata bene per Vale e Vla: «nel caso in cui la tua scelta sia stata positiva e cioé che hai deciso di riprovarci, ti posso dire che questo mi ha reso la ragazza più felice del mondo. Imparerò a viverti con tutto il cuore, e ci metterò tutta me stessa per fare funzionare al meglio questa storia. Voglio riprovare emozioni che non provavo da tempo. Non con chiunque, le voglio provare esclusivamente con te… l’unica cosa che voglio fare in questo momento è abbracciarti, sentire il mio corpo accanto al tuo e la tua voce che mi bisbiglia in un orecchio. Un bacio. Spero di poterti stringere tra le braccia presto».

Comunque sia andata sarà andata bene, in questa sera dei miracoli che mi confonde, così dolce che si potrebbe bere, in questa sera che vola, come cantava Lucio Dalla, con lontano una luce che diventa sempre più grande. «Nella notte che sta per finire è la nave che fa ritorno, per portarci a dormire…».

Buon Natale.

 

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