5 marzo – 21 giugno 2015, Roma, Scuderie del Quirinale
Grande attesa per la mostra “Matisse. Arabesque” dedicata al pittore francese, forse anche per la tentazione di confrontarla con la precedente romana ai Musei Capitolini del 1997-98: Matisse “La révélation m’est venue de l’Orient” (così il pittore scriveva al critico Gaston Diehl).
Nonostante la riproposta di qualche olio (La palma, i dipinti con Zorah e il Rifano) questa mostra alle Scuderie del Quirinale (curata da Ester Coen) si differenzia per le sue numerose contaminazioni culturali, antropologiche, etniche, artistiche e spazio-temporali. Le opere dell’artista sono un centinaio e a queste sono affrontati lavori e oggetti provenienti da varie epoche e terre lontane (molti sono conservati al Museo Nazionale Preistorico ed Etnografico “Luigi Pigorini”): kimono, maioliche, tappeti, costumi, maschere africane etc. Ovvero l’orizzonte visuale di Matisse (allievo di Gustave Moreau). Gli arabeschi, i disegni dei tessuti, sono i suoi archetipi. Discende da una famiglia di tessitori e i suoi più importanti collezionisti sono imprenditori-mercanti tessili della Russia imperiale.
Oltre a frequentare il Louvre (dove entra in contatto con l’arte islamica) Matisse cita anche le collezioni del Museo Etnografico dell’antico Trocadéro (dei tre musei almeno due possedevano opere orientali) che alimentano, come le stampe giapponesi, il suo gusto per l’esotico.
Nel 1906 fa il primo viaggio ad Algeri, da cui torna con stoffe, ceramiche tappetini, che saranno protagonisti delle sue nature morte. “… perché l’ispirazione, i colori, la semplicità vanno cercati nell’arte primitiva”. La visita alla grande esposizione di arte musulmana a Monaco di Baviera nel 1910 e il soggiorno a Mosca nel 1911, dove può apprezzare le icone bizantine, lo distanzieranno sempre di più dall’arte occidentale, tesa a dissimulare la bidimensionalità della superficie pittorica.
Il 29 gennaio 1912 parte alla volta di Tangeri. La modella di Zorah in piedi del 1912, che secondo le prescrizioni islamiche non poteva mostrare il volto, disertò l’atelier coartata dal fratello. Il pittore la ritrovò in occasione del suo secondo viaggio in Marocco in un postribolo. Il divieto coranico non includeva le prostitute e per questo il pittore riuscì a ritrarne liberamente il volto, così come nel dipinto Zorah sulla terrazza (1912-13), intriso dei colori azzurri e verdi delle maioliche mediorientali.
Il protagonista del Rifano in piedi (1912) è un rappresentante dei coraggiosi guerrieri marocchini “splendido e selvaggio come uno sciacallo”. Matisse ne fa il ritratto, con il solo colore, dopo averlo conosciuto. Il non-finito del pittore è evidente in La palma (eseguito a Tangeri nel 1912), dipinta rapidamente in poche sedute, che lascia intravedere il fondo della tela, illuminata da saette di colore. Uno degli ultimi dipinti eseguiti in Marocco è Calle, iris e mimose (1913). Attraverso i colori, distesi in campiture piatte, Matisse riconduce lo spazio del dipinto alla pura superficie bidimensionale, prendendo le distanze dallo spazio prospettico rinascimentale.
I soggetti nei suoi quadri diventano spesso pretesti per il suo ornamentalismo fortemente cromatico come ne Il paravento moresco (1921), dove i personaggi sono stati inseriti dopo aver predisposto l’ambiente decorativo. Tessuti e ornamenti emergono dallo sfondo e diventano temi.
Una parte della mostra è dedicata alla danza, peraltro raffigurata nei dipinti più famosi dell’artista. Nel 1920 progetta i costumi (alcuni in mostra) e le scene per Le Chant du rossignol con musichedi Stravinskij (basato su una fiaba di Hans Christian Andersen), con la coreografia di Léonide Massine. Matisse lavora a stretto contatto con Diaghilev e Massine partecipando all’armonia della danza e della musica con le sue linee, i colori e il rapporto tra vuoti e pieni: “…i colori, che possono così danzare insieme senza demolire l’armonia del tutto”. Non è casuale che in una intervista del 1952 Matisse dichiari: “l’arabesco si organizza come una musica”. Con gli anni la sua pittura si semplifica e diventa segno. Nei suoi disegni semplici ed espressivi (per es. Due donne, penna e inchiostro, 1938) i volti o i nudi femminili diventano arabesco, ornamento.
Interiorizzando i suoi viaggi e le sue esperienze dichiarò: “Io sono fatto di tutto ciò che ho visto”. Il video del 1946, in mostra, ci fa vedere Matisse mentre dipinge negli ultimi anni: la mano ondeggia davanti alla tela in un momento di riflessione e poi con gesto determinato e mano ferma traccia i suoi segni flessuosi e testimonia: “Il requisito essenziale per un artista è il lavoro assiduo”. Ricco è il programma di approfondimenti che la mostra propone per il pubblico di tutte le età ed esigenze.
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INFORMAZIONI UTILI:
Matisse. Arabesque
Scuderie del Quirinale
Via XXIV Maggio 16, Roma
Orari: domenica – giovedì dalle 10.00 alle 20.00 venerdì e sabato dalle 10.00 alle 22.30
biglietteria chiude un’ora prima
Biglietto: € 12 intero –
€ 9,50 ridotto
telefono: 06 39967500
www.scuderiequirinale.it
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