La natura in qualche modo sempre presente, come archetipo della mutabilità continua. Lavori fotografici differenti che si sviluppano in parallelo, l’uno intrecciato all’altro. L’esperienza corporea insita in tutti i suoi progetti. L’incertezza, la precarietà, l’instabilità come forma di ricerca e di vita “perché tutto muta, continuamente. Come il mare – sottolinea Aniello Barone – che trasforma ogni giorno la spiaggia in qualcosa di nuovo e diverso”.
E il mare diventa metodologia di espressione fotografica. Ogni volta che approccia ad un nuovo progetto, Aniello Barone si misura con tecniche differenti ed usa, con volontà precisa, macchine fotografiche differenti “perché – spiega – vuole rimettere ancora una volta in discussione tutto ciò che fino a quel momento ha appreso per imparare il nuovo. E cominciare daccapo”.
Ma la sua, è una ricerca che parte anche dalla reazione a ciò che non gli piace ed arriva ad elaborare un invito al dialogo del tutto singolare dove l’esperto tanto quanto la persona comune si ritrova. E’ in questa molteplicità che ha preso corpo il progetto { }casa le cui immagini sono state raccolte in un catalogo di sole 500 copie numerate e firmate edito da “punctum” nel 2012, con un testo di A. C. Quintavalle, e curato da Antonello Scotti che lo ha progettato utilizzando materiali, merletto e domopak, presenti negli ambienti fotografati.
Il catalogo tradotto in inglese è stato pubblicato e messo in vendita a partire da marzo 2015 sempre da “punctum” di Marco Delogu, Roma in tiratura limitata a 300 copie numerate e firmate con un testo di Leo Rubinfien. Un lavoro, atipicamente per Barone, breve in quanto elaborato in 4 mesi. Un corto circuito dovuto a due fatti di cronaca interconnessi: l’abbandono delle abitazioni da parte di Rom nella periferia di Napoli a causa di un inesistente tentativo di rapimento a loro attribuito e l’incendio degli stessi campi Rom.
Dunque il soggetto delle fotografie contenute in { }casa sono le abitazioni dei nomadi della periferia di Napoli, ma mai lavoro è stato più lontano dalla mera cronaca. Quello di Aniello Barone risulta infatti essere un attività documentaristica opposta all’uso sensazionalista dell’immagine.
La casa rappresenta la precarietà come condizione del nomade, che si assuefa all’assenza di una dimora stabile, al pari delle persone residenti in quanto la precarietà, l’instabilità, è condizione di vita. Una vita sempre in evoluzione, sempre in continuo movimento.
Un luogo, le abitazioni dei Rom, dove confluiscono, come un filo sottile che lega il nomade al residente, la cultura nomade alla cultura stanziale, le memorie. Quelle abitazioni diventano confluenza di memorie che passano dallo scarto al riciclo: le case abbandonate dai Rom sono il prodotto riusato e reinventato di ciò che il residente ha reso spazzatura.
“Un aspetto di convergenza di memorie – esplica Barone – che rappresenta una sorta di azzeramento culturale, cultura stanziale e cultura nomade si annullano, da cui nasce, si costruisce qualcosa di nuovo”.
Gli interni delle abitazioni svuotate dai Rom, nonostante strutturate da beni di recupero, sono messi insieme, arredati, a rappresentanza di un desiderio di rendere stabile quella condizione. Alcune tracce lasciate durante la fuga dal campo, lasciano intendere gesti usuali simili a quelli di una casa qualunque. Un abito appeso, due piatti abbandonati davanti alla finestra sono capaci di rendere l’affetto appartenuto a quei luoghi, ancora vivi nonostante l’assenza umana.
E il colore rosso che attraversa gli scatti in { }casa di Aniello Barone ne accentua l’entità.
Rosso filtrato dalla luce che entra da una finestra, rosso nelle righe di una coperta o rosso in un’etichetta di materasso. Il colore rosso è il colore del focolare domestico, del calore affettivo di una casa densa di memoria, del fuoco distruttore che riduce a rovina la convivialità naturale.
Un progetto tra l’etnografia e l’antropologia, quello di Aniello Barone che nasce dalla sua formazione. E’ laureato in Sociologia all’Università Federico II di Napoli con un piano di studi orientato alla ricerca sul campo. Inizia così a scattare mettendo in campo la fotografia attraverso una documentazione che va oltre la mera suddivisione in generi ed ambiti.
Per Aniello Barone “l’immagine è strumento di relazione e di indagine che procede – come lui stesso dice – per progetti aperti ed incasellabili”.
Intrise dalla sua formazione antropologica, le fotografie di Aniello Barane si discostano però dall’antropologia visiva classica inserendo elementi cari all’idea di descrizione di un paesaggio nuovo dove la rivelazione della bellezza investe aspetti laterali, o elementi cari al racconto per immagini affidandolo ai luoghi vissuti, agli oggetti, invece che alla presenza umana donando così soggettività di narratore a ciò che è esterno alle persone.
O ancora inserendo elementi di corporeità, che forgia lo stile del fotografo, e “dell’imprevedibilità che – conclude Barone – mi è stata insegnata dal mare. Ho vissuto dove il mare lo vedevo ogni giorno. Lo frequentavo il mare e ne conoscevo l’odore. Il mare ha forgiato il mio pensiero, è stato il mio maestro. Ne conosco la voce e l’immanenza. Nulla è sempre uguale vicino al mare. Tutto è in movimento e muta. Il mare, che lambiva la sabbia vulcanica delle spiagge della mia infanzia. Quella sabbia, mi ha donato il senso della Storia”.
Si toccano in { }casa le memorie, le storie, a volte sotto forma di strappo, che forse appartiene all’esperienza stessa di questo etnografo che con la fotografia mostra la nostra responsabilità verso il mondo e gli uomini.
Aniello Barone è nato a Napoli nel 1965. Dopo la laurea in Sociologia, si è dedicato allo studio della fotografia, in particolare allo studio del paesaggio urbano delle periferie e al tema dell’immigrazione ad esso connesso. La sua ricerca parte sempre da un forte interesse sui temi storici e antropologici, per assumere poi una connotazione personale ed emotiva di attenzione verso l’uomo. I suoi scatti raccontano storie, che non sono mai mera cronaca o documentario, ma trasformano gli oggetti, i luoghi, le persone con uno sguardo lirico, attento alla valenza simbolica dei temi rappresentati. Frutto di questi anni di ricerca sono i libri: Sahrawi, la terra sospesa, Electa Napoli, Napoli(2001); La comunità accanto, Federico Motta, Milano(2001), fotografie in cui viene presa in esame la condizione degli immigrati asiatici, africani, sudamericani e dell’est europeo in Campania; Detta Innominata, Peliti Associati, Roma(2006), un viaggio nella periferia postindustriale napoletana; Igboland, Five Continents, Milano(2011), un lavoro di 12 anni di ricerche sui riti animisti degli Igbo in Italia; { }casa , Punctum, Roma (2012), una serie di fotografie scattate dopo la cacciata della comunità Rom dalle loro case, a Ponticelli, un quartiere ad Est di Napoli; Aniello Barone, fotografie 1995/2013, Skira, Milano(2013). Da alcuni anni Barone insegna Fotografia all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
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