Blackhat, è in sala il nuovo film di Micheal Mann: una corsa tra i castelli dell’informatica, una sfida all’ultimo codice per sventare un piano criminale.
Ad Hong Kong, la centrale nucleare di Chai Wan è stata violata. Un piccolo malware si è insinuato nell’ accesso remoto, aprendo una backdoor ad una più grande payload di malware che manomette e distrugge il sistema di raffreddamento della centrale, causando una violazione che ha fatto saltare in aria un reattore a Chai Wan, provocando un disastro di proporzioni gigantesche. Il movente è un mistero.
Un gruppo di alti ufficiali dell’Esercito Popolare di Liberazione ha reclutato un team per la difesa dalle incursioni cibernetiche, capitanato da Chen Dalai, per dare la caccia all’autore dell’attacco.
Contemporaneamente a Chicago un altro attacco informatico colpisce il Mercantile Trade Exchange (MTE) in grado di mandare alle stelle le quotazioni della soia entro le 24 ore.
Questo il preambolo di Blackhat che vede come protagonista Nicholas Hathaway (Chris Hemsworth), un hacker pregiudicato in licenza dal carcere federale, che assieme a una task force ha il compito di identificare e sventare un piano criminale tutto giocato sul potere dell’informatica: da Los Angeles a Hong Kong , passando per Perak, Malesia e Giacarta.
Micheal Mann si conferma anche stavolta registra di innata bravura e grande tecnica, capace di rimanere sempre in perfetto equilibrio tra il virtuosismo e meccanismo della narrazione, nel grande solco della tradizione cinematografica americana.
C’è in questo nuovo capitolo della sua filmografia una malinconia urbana, un umore scuro illuminato dalle insegne al neon delle metropoli sovraffollate, che rimanda subito a Manhunter – Frammenti di un omicidio, film di Mann del 1986 in cui per la prima volta fa la sua apparizione sul grande schermo Hannibal Lecter.
Manhunter rivisto oggi può essere considerato un caposaldo della moderna estetica hipster (Sofia Coppola, non a caso, per la colonna sonora di The Bling Ring è andata a ripescare uno dei temi musicali del film).
C’è anche il grande tema della sfida, la corsa contro il tempo per la vita e la morte, come in Collateral, il grande capolavoro di Micheal Mann.
Blackhat però, nonostante sia guidato dalla mano ferma e decisa del maestro, è costruito su un castello di cliché che ne fa un film involuto. Il cast inoltre non è d’aiuto: Chris Hemsworth (The Avengers, Thor) non ha il carisma necessario per riempire lo schermo con il dramma palpitante necessario a fare di un semplice belloccio un vero eroe drammatico, il paragone con Tom Cruise -gigante protagonista di Collateral– purtroppo è immediato.
Nel cast anche Viola Davis (The Help) nelle vesti di Carol Barrett, un’agente speciale dell’FBI incaricata guidare la task force alla caccia del criminale informatico.
La Davis ha dato proprio quest’anno un nuovo significato alla sua carriera grazie al ruolo di Annalise Keating, protagonista del serial TV How To Get Away With Murder: puro istrionismo al servizio di un legal thriller impastato nel trash e nell’improbabile.
Già cult le scene che la vedono davanti allo specchio struccarsi, levarsi le parrucche e trasformarsi da avvocato d’acciaio a fragile donna della psiche distrutta e disturbata. In Blackhat la Davis sfoggia una nuova parrucca, che le sta male, e si contiene al servizio di un personaggio di contorno che sembra essere proprio il calco, slavato, di Annalise.
Blackhat parla di quell’infrastruttura di architettura digitale che ha già creato una membrana di interconnessione mai vista prima, arrivando un po’ in ritardo rispetto agli esiti di Ghost In The Shell, perdendosi tra i labirinti informatici a discapito dell’umanità dei personaggi.