Se c’è qualcosa che identifica il lavoro di Fabio Donato, è la circolarità del tempo e il senso della soglia. Il prima e il dopo, l’intimo e il pubblico, il dentro e il fuori. Questo pensare alla rappresentazione del tempo e del passare attraverso, non può essere intuito senza guardare le sue fotografie.
Donato, fotografo che ha lavorato con il teatro, con registi e artisti famosi, guarda il mondo come fosse nel centro di un palcoscenico: vi sale, si posiziona in fondo e lì piazza la sua macchina fotografica – pellicola o digitale che sia perché come lui stesso dice “la tecnica è strumentale” – e scatta, osserva, attende. Scatta, osserva, attende. Scatta ancora.
Le sue fotografie sono sequenze cinematografiche a scenografia fissa e con soggetti o oggetti che la attraversano. E’ in questa modalità che l’immagine, che a primo sguardo può apparire documentaria, si apre come un canovaccio e svela le sue ambizioni.
“La fotografia serve a produrre pensiero” spiega Fabio Donato. “Attraverso il mio linguaggio soggettivo instillo il dubbio. Il dubbio è la base della vita. Sperimento il mio linguaggio col disorientare il pubblico. Il fine è produrre pensieri”.
Le sequenze di una fermata dell’autobus in una Napoli degli anni Settanta, introducono e intraprendono quello che persegue Fabio Donato e che lui stesso definisce “la mia ricerca del segno. Quel segno che ricontestualizzando oggetti di uso quotidiano, permette a chi guarda di usare la sua creatività e il suo pensiero. La mia è progettazione di atti artistici dalla nascita fino all’esibizione”.
Il viaggio in India, come lo si faceva negli anni Settanta, apre uno spiraglio su questo aspetto dell’utilizzo della fotografia. Apre una finestra sull’analisi del linguaggio che il fotografo comincia da quel momento a perseguire.
Fabio Donato, prima di quel viaggio in India, non è ancora un fotografo di professione. E’ studente alla facoltà di Architettura. Gli piace certo fotografare. Si diverte a scattare con la Comet Bencini e a regalare le fotografie agli amici che gliele chiedono. In quel momento il suo approccio alla fotografia è identico a quello che ha con la poesia, con la musica, con la pittura.
Ma il viaggio in India, o meglio il rientro da quel viaggio, segna una svolta che gli è dettata, come nella totalità delle sue azioni, dall’intuito che lo guida verso scelte a volte ponderate e poi maturate nel tempo o verso decisioni che lo portano a cogliere un punto di vista differente.
Differente perché contiene in sé i semi della sintesi tra cultura personale e sociale che agiscono in contemporanea nel momento stesso in cui l’atto artistico di Fabio Donato agisce e perché mette insieme la complessa formazione del fotografo e il mondo con ciò che lo movimenta.
Nasce da queste pulsioni la mostra dedicata all’India, dove una serie di scatti a polpacci e piedi, in bianco e nero, ad altezza naturale, vengono distribuiti sulla lunghezza delle pareti di Guida a Portalba, libreria e circolo culturale che ospita le fotografie di Donato negli anni Settanta. La mostra poi passa alla galleria Diaframma di Milano e vince la targa d’argento alla Biennale di Reportage di Fermo.
Dalle stesse intuizioni nascono gli scatti, conosciuti poi in tutto il mondo, realizzati al Teatro Mediterraneo durante la performance del Leaving Theater quando Fabio Donato ribalta il punto di vista e scatta appunto dal palcoscenico. Cogliendo in un gesto il senso stesso del Leaving Theater che mette in scena il pubblico, cambiando quindi la prospettiva.
Intuizioni e punti di vista che sono sensazione e movimento costante del fotografo, che incita attraverso le sue immagini al ruolo attivo di chi ne usufruisce.
Parte un percorso lungo quarantanni che verrà riproposto dal 15 al 18 maggio 2015 alla Nuova Fiera a Roma, all’interno della prima edizione della Biennale Internazionale di Arte e Cultura.
“Mi sono sempre considerato un operaio della fotografia” chiosa Fabio Donato. “Ho lavorato con registi, architetti, attori, editori per finanziare la mia ricerca artistica. Non mi sono lasciato coinvolgere dalle esigenze del mercato”.
E’ così, nel procedere autonomo del suo modo di fare fotografia che evolvono pensieri e azioni artistiche e vengono coniati progetti come “La Città” che espone a Milano insieme ai lavori di Luigi Ghirri, Franco Fontana, Luigi Albertini ed altri, messi insieme dal gallerista Lanfranco Colombo.
Continua nel tempo a raccogliere ritratti di personaggi famosi, Mimmo Paladino, Lucio Amelio, Hermann Nitsch, Sting, Eduardo De Filippo, Chet Baker, Helmut Newton, Mapplethorpe. E a sperimentare.
“I progetti di ricerca che produco – dice Donato – mi sono necessari. Ciò che produco è in sintonia con ciò che sono. E per la mia evoluzione culturale, ciò che produco è provocazione, è storia, è politica, è stimolo al pensiero”.
La sperimentazione del linguaggio fotografico di Fabio Donato racconta ancora oggi la circolarità del divenire, le soglie, il prima e il dopo. Come negli scatti di Madrid del 2007 dove in un’unica immagine rende viva e presente la circolarità stessa della vita. Ma la sua è una fotografia fatta anche di emozioni trasmesse e di astrazione del pensiero. Negli ultimi anni la riflessione e sperimentazione sulla fotografia è divenuta più costante. Donato partendo dalle “Verifiche” di Ugo Mulas, che ha esaurito gli aspetti tecnici della base della fotografia, si inerpica su terreni più arditi e consoni alla sua natura: quelli della percezione. E li sviluppa.
Secondo Vincenzo Trione “La fotografia di Fabio Donato non è un’arte narrativa, ma un linguaggio intimamente poetico dotato di un’intensa carica evocatrice”.
Fabio Donato è nato nel 1947. Insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli. Ha all’attivo numerose esposizioni fra cui quelle presso la Galleria Diaframma di Milano (1971), da Lucio Amelio a Napoli (1979), al Museo de Arte di San Paolo in Brasile (1981), alla Biennale di Venezia nel 1982, al Lincoln Center di New York nel 1985, allo Studio Morra di Napoli nel 1998, e alla La Habana nel 1999. Alcune delle sue opere sono conservate in Messico, Francia, Brasile e Cina. Sul suo lavoro hanno scritto, tra gli altri: Alberto Abruzzese, Piero Berengo Gardin, Luciano D’Alessandro, Luciana Libero, Angelo Schwarz, Georges Vallet.