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Prada. Serial e Portable, collezione primavera estate

Prada-mostra

Fondazione Prada  Milano – Venezia

Sei anni fa circa il Prof. Salvatore Settis strepitava scompostamente contro la nomina del blasonato manager Mario Resca alla Direzione generale dei Musei da parte dell’allora ministro Bondi.

Reo, il povero Resca, di tentare un riordino dei beni culturali con metodi aziendali e, sopratutto, di provenire dalla malefica Mcdonald’s, la stessa che sponsorizza l’EXPO 2015, tanto per intenderci.

Oggi ce lo ritroviamo, l’illustre Professore, come curatore della mostra della Fondazione Prada nelle due sedi di Milano e Venezia. Fa un certo effetto vedere il defensor fidei della Cultura Pubblica innanzitutto, avulsa da qualsivoglia commistione mondana, embedded di un committente privato, per quanto di prestigio, come Prada.

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Vabbè, siamo uomini di mondo, pecunia non olet. E poi pure Virgilio aveva il suo Augusto. Ma fa ancora più effetto vedere il prestigioso antichista gettarsi così nella mischia del contemporary e affrontare il delicato rapporto antico-moderno e originale-copia con piglio pop e postmoderno e organizzare una mostra dal sapore hollywoodiano, dove le antiche vestigia fanno la figura degli Dei dell’Olimpo nei filmoni a tema mitologico della Marvel.
Infatti hanno ucciso l’Uomo Ragno.

Due le mostre, la prima, “Serial Classic”, a Milano nella nuova location di Largo Isarco 2, la seconda, “Portable Classic”, nella sede lagunare della Fondazione, a Ca’ Corner della Regina. Come per le borsette, la linea Classic e la più pratica e disimpegnata Portable.

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Tutto questo per dire che il Professor Settis , aderendo come un francobollo alle tesi postmoderne di linearità temporale e di società liquida, ci narra che il concetto di “originale” è una fissa del romanticismo, che il mondo antico, greco, se ne fotteva, replicava le opere, le moltiplicava financo in diverse misure, sic!

E di tutta la tensione epistemologico-linguistica del logos verso l’archetipo, sai cosa ti dico Pina, chi se ne frega! Chi se ne frega, poi, se tutta la raffigurazione classica è parte integrante di tutto quel magnifico sistema di pensiero.

Prassitele, Lisippo, Scopas moltiplicati… Per quel che concerne Roma, non parlatemene, tutti copioni, anzi, copioni al cubo avendo, i Romani, come riferimento soprattutto le repliche e quasi mai i modelli greci. Insomma in Parte-none e in Parte-sine…

Per non parlare poi del Rinascimento, signora mia, un’altra banda di copioni da far paura, tutti a rifare l’Antico, a mettersi in casa gli ercolini e le venerine. Guardi tutto il mondo è paese, anzi Farnese, non si inventa niente, Ghiberti, Donatello, Desiderio da Settignano, nun li reggo chiù.

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Dunque nell’iperspazio liquido sono tutti Warhol, moltiplicatori seriali, tanto da far dire a quel Discobolo del Prof, nel suo quarto d’ora, “è solo in assenza dell’originale che la rappresentazione può avere luogo”. Dunque, per sillogismo aristotelico, possiamo tranquillamente affermare che una borsetta da vu cumprà vale quanto e forse più dell’originale griffato, Portable.

La disputa tra Antichi e Moderni viene da lontano, già Jonathan Swift nel suo “la battaglia dei libri” a proposito scriveva che i primi sono come l’ape, che trae dalla natura il miele che fabbrica; e i secondi, alla maniera del ragno, attingono ai loro stessi escrementi per filare la propria scienza. L’uomo ragno, appunto!

Il tentativo di ridare vita a quello zombie del contemporary attraverso trasfusioni e innesti di Antico la trovo pura pornografia culturale, vera mistificazione, genderismo estetico. Non è pruderie, ma se si devono accostare passato e presente non è certo banalizzando il primo che si può elevare il secondo.

Tutta questa mortifera ansia decostruttiva e atrofia della memoria sottrae l’individuo ad ogni appartenenza culturale e lo consegna ad un vuoto siderale il cui unico riferimento è una sterile autoreferenzialità.

Lo stesso concetto di “naturale” -nonostante se ne faccia un gran parlare- è mutato radicalmente. L’homo novus è traghettato nell’era della tabula rasa dove desiderio e tecnologia, disancorati da qualsiasi metafisica e limite, gli dischiudono un’infinita prateria per dispiegare la sua funerea hubris.

Se l’uomo è solamente un prodotto culturale tutto diviene relativo e dipende dal contesto. Financo il genere non è più un fatto cromosomico, ma il risultato di una scelta individuale a cui la tecnologia offre straordinarie possibilità di realizzare il proprio menù à la carte.

“Bello è il brutto, e brutto è il bello. Voliamo nella nebbia e nell’aria sozza”, ammoniscono le streghe nel Macbeth.

In punta di pennino
il Vostro LdR

Fondazione Prada:
www.fondazioneprada.org

  • “Portable Classic”
    9 maggio – 13 settembre 2015
    Ca’ Corner della Regina
    Calle de Ca’ Corner,
    Santa Croce 2215
    30135 Venezia
  • “Serial Classic”
    9 maggio – 24 agosto 2015
    Fondazione Prada
    Largo Isarco 2
    20139 Milano

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  • Posso capire lo sconcerto per il “passaggio al nemico” di Salvatore Settis, anche se – per come la penso io – è sempre un bene che un calibro del genere sia arrivato a considerare coloro che potevano sembrare antagonisti dei partners (ci guadagneremo tutti). Ma, francamente, sono stanca di questa forma di snobismo/disfattismo per cui ogni nuova proposta è sempre da bocciare. Per quanto mi riguarda sono ancora perplessa davanti al prestito di opere che non si dovrebbero mai spostare dalle sedi museali di appartenenza (in particolare proprio le statue in marmo e specialmente in bronzo dall’Antico), ma devo dire che – mentre la mostre di Settis di per sé sono piuttosto godibili con qualche ingenuità che però sembra più dettata da un’intenzione per così dire iperdidattica – vedere oggi a Milano in Viale Isarco centinaia di persone, famiglie, coppie anziane e giovanissime, studenti e pensionati, italiani e stranieri, godere sinceramente di uno spazio davvero straordinario (e con fee di accesso alla portata di tutti), di piccole mostre ben fatte e calibrate, sole e spazi eleganti e ampi, mi fa ricredere persino sull’opportunità di negare un prestito di una copia di Prassitele. Basti andare con il pensiero alle sale purtroppo deserte del Museo Archeologico Nazionale di Napoli o a quelle dei Musei Capitolini o a quelle (neglettissime) del povero Archeologico di Milano o di Venezia (che è sublime) per cedere alla tentazione di dare ragione a Settis.
    Infine, un Museo è un Museo: non vedo alcuno scandaloso innesto di Antico nel Contemporary. Qui si tratta – a Milano, soprattutto – di un piccolo polo museale, mentre a Venezia il contemporaneo per la verità si è visto ben poco, basti osservare la storia delle manifestazioni by Prada ospitate in Ca’ Corner tutte dedite alla (ri)scoperta dei principali movimenti del ‘900. Non ho visto disdicevoli commistioni di generi, non ho visto alcunché che possa inficiare il valore di ciò che ha di fianco. Ho solo un visto uno spazio magnifico recuperato (sia a Milano sia a Venezia) con rarissima attenzione e rispetto per i cittadini tutti, tutti i giorni (dico, tutti i giorni della settimana, festività comprese) dalle 10 alle 21. Per me è solo un bel regalo.

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