Preoccupazione altissima in tutto il mondo per Palmira, la città siriana, patrimonio mondiale dell’Unesco, caduta in mano all’Isis la scorsa settimana. Irina Bokova, direttrice generale dell’Unesco aveva già dato notizia di alcuni crolli all’interno del sito archeologico.
Ma ora ad esprimere tutta la sua angoscia è anche Maria Teresa Grassi, l’ultima archeologa italiana ad aver lavorato a Palmira. Tramite l’Università di Milano infatti la docente è stata nella città fino al 2010 per portare avanti alcune ricerche.
Tra i reperti di maggiore importanza, racconta, vi sono i rilievi funerari, queli che chiudevano i singoli loculi nelle grandi tombe collettive di Palmira. Gli stucchi, il grande mosaico con il mito di Cassiopea scoperto in una missione archeologica di inizio Novecento in un’abitazione locale, la statua in marmo di Atena Allath, una collezione di vetri. E ancora sarcofagi, cippi conservati nel giardino, il grande leone che azzanna la gazzella.
La docente è affranta e fortemente in ansia per le sorti non solo dei beni archeologici, ma anche del personale del museo che qualche giorno fa è stato occupato dai jihadisti. L’ultimo contatto, spiega, è stato un messaggio whatsapp qualche giorno fa.
“Ho scritto spiegando che ero preoccupata perché sentivo cattive notizie su Palmira, la risposta mi ha gelata, il messaggio diceva solo ‘molto cattive'”. E quindi in queste ore, confessa, l’angoscia è tanta, per le persone e per le cose. Certo, i reperti più piccoli e mobili del museo dovrebbero essere stati già rimossi da tempo e portati in luogo sicuro, “io però mi auguro che un posto sicuro esista ancora in Siria”, sottolinea la studiosa, “non credo proprio sia facile”.
Inaugurato nel 1961, il museo di Palmira, racconta l’archeologa, è per i suoi contenuti un piccolo gioiello, “una costruzione in cemento, a forma di cubo, forse di 30 metri per 15, allestito vicino alle mura”, spiega, al cui interno facevano bella mostra di sé molti reperti raccolti nel grande sito archeologico a cielo aperto, che occupa un’area vastissima e non recintata in quella che era un tempo la confluenza delle grandi carovane.
“I rilievi funerari, in particolare, erano moltissimi – racconta Maria Teresa Grassi – alcuni addirittura murati nel museo, e quindi è difficile che possano essere stati messi in salvo. Bellissimi erano poi gli stucchi decorati a rilievo, recuperati vicino alla fonte Esqa e che sono stati esposti in tante mostre in giro per il mondo”. Ma anche la statua in marmo di Atena, una grande rarità perché a Palmira le statue sono tutte in pietra calcarea. Poi c’è la ricca collezione di vetri. E i grandi reperti appoggiati all’esterno del fabbricato, “in particolare sarcofagi”.
“Ho paura che tanto verrà distrutto e tanti saccheggiato e messo sul mercato per autofinanziare l’Isis”, continua Grassi. Il grande sito di Palmira, dalla parte con gli edifici monumentali alla strepitosa valle delle tombe, era in tempi migliori “molto ben custodito” ma comunque non recintato “perché di fatto è impossibile”, spiega ancora l’archeologa. Un tesoro quindi completamente aperto , e oggi alla mercé dell’Isis.
“Ho paura, perché Palmira fa notizia, oggi era sulle prime pagine di tutti i giornali, da quello della parrocchia al New York Times… spero di sbagliarmi, ma temo tanto che altre cattive notizie arrivino ancora”.