A vederli così, sono solo dei giochi per bambini, presentati in una mostra all’Università di Pavia, dei triangoli e delle sfere colorate, dei cubi strani o degli insetti da playstation che corrono in un labirinto inseguendo una musichetta.
E’ che li hanno inventati loro, pure tutti quei complicati disegni al computer, con le strade da attraversare cercando di evitare i camion e le auto che sfrecciano, o i cassonetti da riempire secondo le regole della raccolta differenziata, li hanno creati loro, dei bambini un po’ speciali, che hanno anche 5 anni.
Li chiamano plusdotati, e sono molti di più di quelli che potete pensare, il 5 per cento della popolazione, piccoli geni che non riconosciamo quasi mai, disperdendo il loro talento e rinunciando alla loro intelligenza.
I nostri figli sono molto diversi da quello che pensiamo. A volte, completamente diversi.
Come il figlio di quella mamma di Rimini che aveva scritto disperata perché lui, che faceva la quarta elementare, stava gridando aiuto: «Tutti gli insegnanti si lamentano del suo comportamento. Lui si sente triste, solo, ed è sempre molto arrabbiato».
Gli fecero i test. Aveva il quoziente d’intelligenza molto alto: non si adattava agli altri, era quello il suo grido d’aiuto. Detto così, sembra un problema loro. Invece, è un problema nostro.
In Italia c‘è un solo laboratorio scolastico per questi piccoli geni, uno dei primi in Europa, all’Università di Pavia, voluto e fondato sei anni fa, da Maria Assunta Zanetti, docente di psicologia dello sviluppo, che assieme al suo collega Eliano Pessa va a cercarli in giro per l’Italia, da Palermo ad Aosta.
Il Labtalento – si chiama così – ne ha scovati 128, dal Nord al Sud del Paese, che sono tanti ma ancora pochi. Hanno il quoziente d’intelligenza pari a 137, età media 9 anni, 19 ancora all’asilo.
Tra di loro 116 maschi e 12 femmine, ma le femmine hanno un QI molto più alto, 141 contro 137, e un’età inferiore, sugli 8 anni. «Sono di meno», spiega Zanetti, «perché hanno molta più capacità di adattamento».Non è sempre un bene: la capacità di adattamento in questo caso può significare doversi «abbassare al livello degli altri per essere accettati».
E’ quello che fanno in molte, rinunciando al loro talento. Perché l’intelligenza varia negli anni: può difficilmente alzarsi, più facilmente abbassarsi. Fra le qualità e le caratteristiche dei piccoli geni ce ne sono di scontate e pure di inattese: l’ottima memoria, un’abilità verbale molto sviluppata, grande creatività e grande immaginazione, ma anche uno spiccato senso dell’umorismo, una forte sensibilità e la preoccupazione e l’interesse per problemi, sociali ed ecologici.
Come a dire che le persone aride potranno anche essere simpatiche, ma non saranno mai molto intelligenti. Sono 6 i profili dei piccoli geni, quello di successo (molti di loro lo raggiungono a prescindere), il creativo, il sotterraneo, l’autonomo, e pure quello a rischio antisociale (devianza, bullismo, tossicodipendenza) e il tipo 5 AP definito «doppiamente eccezionale» che può soffrire di di dislessia, autismo, disturbo bipolare.
Anche l’abilità motoria può appartenere a un genio. A conoscere la vita di Messi, che da bambino, a 4 anni, veniva fatto giocare con i più grandicelli, perché dicono che «si muoveva come una macchinetta», con scatti improvvisi e rapidi, e non poteva divertirsi con quelli della sua età, vien da pensare a un genio. E’ solitario, silenzioso e testardo. Ha letto un solo libro nella sua vita, la Bibbia, e neanche tutta, ma è come se avesse concentrato tutta la sua intelligenza nel pallone.
La velocità del pensiero e anche certi suoi atteggiamenti (solitario, scontroso, ma incredibilmente pronto alla battuta, e «arrabbiatissimo con il mondo», come racconta il suo compagno di squadra Gerardi Piquet, «se non riesce a fare la cosa giusta nella maniera perfetta») sono quelli che i medici riscontrano molto spesso nei geni.
Al di là di questo, la cosa strana è che i bambini plusdotati possono essere tanto di aiuto agli altri (un medico racconta che «se vedono un coetaneo piangere è facile che siano i primi ad andargli accanto per cercare di capirlo e confortarlo»), quanto polemici e contrari. Possono doventare vittime del bullismo o bulli loro stessi. Sono, come tutta la vita, il bianco e il nero, una cosa e il suo opposto.
In ogni caso, come spiega Maria Assunta Zanetti, non riconoscendoli rischiamo di perderli, di farne dei disadattati, di rinunciare alla loro intelligenza. Nel suo laboratorio i bambini non vengono isolati, ma restano nelle scuole di appartenenza, e i loro docenti sono istruiti a seguire un percorso diverso per loro. Neanche un euro arriva dai fondi pubblici. Ed è un peccato, aggiunge Zanetti, «perché invece bisognerebbe investirci: possono diventare un patrimonio del Paese».
Molti si ritirano, disperdono le loro qualità. Non tutti sono come Daniele Doronzo, che aveva 15 anni e al liceo di Barletta gli dettero solo 7 in fisica. Aveva preso quel voto per punizione, due o tre punti in meno, perché aveva fatto un bagno non permesso durante la gita scolastica. Lui pianse tutte le lacrime del mondo perché così non avrebbe potuto vincere la borsa di studio e andare in America, che era il suo sogno.
Allora prese penna e carta e scrisse al Cern per spiegare quello che voleva fare. Al Cern se lo ricordano perché quel ragazzino aveva mandato queste lettere in tutte le lingue del mondo, dall’inglese al tedesco, al francese, allo spagnolo. Per questo lo vollero conoscere. Adesso Daniele vive in America, a San Francisco.