E’ terminato il restauro della la chiesa di San Maurizio al monastero maggiore, in corso Magenta, nota anche come la ‘Cappella Sistina’ di Milano. Torna a splendere con i suoi 4 mila metri quadri di affreschi dopo trenta anni di lavoro e una sponsorizzazione da circa 4 milioni di euro.
La prima donazione arrivò nel 1985 ma solo dal 1997, grazie alla Banca popolare di Milano, il restauro ha avuto una programmazione organica, partendo dalle cappelle del coro per arrivare alla facciata.
La costruzione della chiesa attualmente esistente ebbe inizio nel 1503, come è inciso su una pietra ritrovata nell’abside. L’imponente decorazione ad affresco, lodata da Ruskin e da Stendhal, fu iniziata nel secondo decennio del cinquecento da autori della scuola di Leonardo da Vinci.
L’impresa maggiore fu finanziata dalla potente famiglia dei Bentivoglio. La commissione fu affidata all’artista maggiormente apprezzato dall’aristocrazia milanese del tempo, Bernardino Luini, che raffigurò i membri del casato Bentivoglio e la badessa Alessandra in vari affreschi a fianco dei santi patroni del convento.
Gli affreschi delle cappelle laterali, quasi tutte in patronato a personaggi legati ai Bentivoglio, furono realizzati nel corso del Cinquecento. La maggior parte, insieme all’organo, si devono ad un intervento del 1555, probabilmente in adeguamento ai dettati del concilio di Trento.
Il convento, fra i più vasti e ricchi della città, fu soppresso per decreto della Repubblica Cisalpina nel 1798. Fu successivamente adibito a caserma, scuola femminile, ospedale militare nel corso dell’Ottocento, quando fu abbattuto il chiostro maggiore e gli edifici connessi per l’apertura delle vie Luini e Ansperto. A seguito dei bombardamenti della II guerra mondiale, fu abbattuto anche il secondo chiostro, e il complesso fu adibito a sede del Civico museo archeologico di Milano.
Paola Zanolini, che ha guidato il restauro, ha raccontato: “Nel 1985, quando iniziammo i lavori, la chiesa era in uno stato di degrado assoluto. L’operazione di pulitura è stata di gran lunga la più difficile, perché le croste nere che coprivano i colori brillanti caratteristici della pittura lombarda del Cinquecento poggiavano su una pittura molto fragile. Altrettanto impegnativa è stata la bonifica dai sali dovuti alle infiltrazioni di acqua”.