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C’era una volta il sindacato. Dalla difesa dei lavoratori a quella dei propri privilegi

compagni

 

C’era una volta il sindacato. Mi ricordo un film di Monicelli con Marcello Mastroianni che dormiva in freddi scantinati preparando i primi scioperi della storia, fra le assemblee urlanti del primo Novecento e davanti alle mura incombenti e tetre delle grandi fabbriche.

Beh, dimenticatelo.
Il tempo è passato per tutti, anche per i sindacati, che hanno svolto un ruolo storico fondamentale per l’emancipazione e lo sviluppo della «classe lavoratrice», come si diceva negli Anni Settanta.

Solo che adesso sono completamente un’altra cosa, un mostro burocratico che difende i peggiori privilegi e le sacche più arretrate del Paese con strumenti antiquati e inadatti a una democrazia moderna.

Che facciano scandalo, con i loro megastipendi e le pensioni d’oro è persino scontato: cosa ci si può aspettare da un apparato così mastodontico eretto a baluardo di tutta quella congerie di sistemi e ingranaggi ormai vetusti e superati, completamente indifferente – quando non avverso – alle sorti delle nuove vittime della nostra società, e cioé i precari, i giovani, gli emarginati o tutti quei poveri pensionati che non sono riusciti a gonfiare i loro emolumenti come molti dirigenti sindacali?

cgil

Per tacitare alcune polemiche e altri servizi giornalistici, la Cgil ha provveduto subito a rendere pubblici gli stipendi dei suoi dirigenti. Atto encomiabile, almeno questo. Nino Baseotto, responsabile delle politiche organizzative, ci ha fatto sapere che «il segretario generale della Cgil guadagna 3.850 euro netti al mese e un componente della segreteria nazionale poco meno di 2.800», che «le donne e gli uomini che lavorano nella Cgil percepiscono solo ed esclusivamente la retribuzione prevista dal nostro regolamento», e che infine «dal 2008 la segreteria e il direttivo Cgil hanno deciso di non procedere ad adeguamenti salariali da allora a oggi per rispetto delle migliaia di lavoratrici e lavoratori duramente colpiti dalla crisi».
Bravi. Complimenti alla Cgil, almeno a loro.

cisl

Della Cisl e dei suoi dirigenti con cumuli da più di 300mila euro, superiori a quelli di Barack Obama e persino del nostro presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, è invece meglio sottacere. E pure di Carmelo Barbagallo, segretario Uil, che invece di mostrare la busta paga ha preferito attaccare duramente la dirigenza Inps, lasciando vagamente intendere l’immancabile, solita lezione di Cetto Laqualunque: fatti li cazzi tua.

Ma visto che alla Cgil hanno iniziato l’operazione trasparenza, perché non possiamo sapere i nomi dei 17.139 sindacalisti – secondo le cifre fornite dal ministro Poletti in risposta a una interrogazione parlamentare – che hanno beneficiato della scandalosa norma contenuta nel decreto 564 del 1996, che ha permesso a dirigenti e dipendenti sindacali, molti dei quali proprio della Cgil, di avere una pensione integrativa attraverso il pagamento anche di un solo mese di contributi da parte delle organizzazioni sindacali?

E perché nessuno ci dice qualcosa su una denuncia presentata un paio di anni fa dalla quale risulterebbe che sarebbe stata prassi comune far ricoprire fittiziamente a parenti e amici dei ruoli nelle organizzazioni sindacali così da far godere anche loro della legge 564? Lo sanno i lorsignori che i precari e molti dei giovani che non sono loro parenti non avranno nemmeno più diritto alla pensione? E’ possibile sapere in che modo gestiscono tutti gli immobili e i beni di loro proprietà?

La verità è che oggi i sindacati si sono di fatto trasformati in veri e propri centri di potere che rappresentano una istituzione antiquata, circondata dalla privacy e dal silenzio, alla faccia delle varie operazioni trasparenza.

Al contrario, bisognerebbe che il governo facesse una legge proprio per obbligare il sindacato a una vera trasparenza verso gli iscritti. Non è possibile che Raffaele Bonanni sia andato a casa e sparito nel silenzio generale dei suoi colleghi dopo che come scrive Bechis su “Libero”- dai 118 mila euro del 2006 era passato vertiginosamente ai 336 mila dell’ultimo anno a guida Cisl, facendo media piena ai fini previdenziali degli ultimi 5 anni di maxi salari perché non soggetto alla riforma Dini né tantomeno a quella Fornero.

Senza parlare di Fausto Scandola, iscritto alla Cisl dal 1968 e espulso in fretta e furia dopo che aveva reso pubblici gli emolumenti dei suoi dirigenti (Antonino Sorgi 256mila nel 2014; Valeriano Canepari 192mila più 97mila, 170 di pensione; Ermenegildo Bonfanti 225mila; Pierangelo Raineri 237mila più moglie e figlio assunti in enti collegati alla Cisl) e scritto una infervorata lettera di protesta:

«I nostri rappresentanti e dirigenti possono ancora considerarsi rappresentanti sindacali di lavoratori e pensionati? I loro comportamenti e come gestiscono il potere si possono ancora considerare da esempio e guida della nostra associazione che dovrebbe tutelare gli interessi dei lavoratori?».

La risposta è no. Ma con che faccia la Cisl ha potuto espellere il suo iscritto? Il vero problema -come dicevano- è il potere, acquisito negli anni di lotta e consolidato nel tempo. Il potere è un po’ come il cancro. Mangia e corrode. Distrugge dall’interno.

Oggi dobbiamo rassegnarci. Il sindacato, quello raccontato da Monicelli, e quello dopo di Giuseppe Di Vittorio e di Luciano Lama poi, purtroppo non esiste più.

E di questo che abbiamo oggi possiamo benissimo farne a meno. Chi finge di non capirlo è solo perchè fa parte di un sistema di privilegi e privilegiati. Andassero a cercarsi un lavoro o fondare e gestire un’impresa anzichè darsi un lauto stipendio e pagarsi i contributi grazie al sudore e all’intelligenza degli altri!

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