Scream Queens è la nuova serie TV antologica partorita dalle menti perverse di Ryan Murphy e dei suoi ormai più che fidati collaboratori Ian Brennan e Brad Falchuck (nuovo fidanzato di Gwyneth Paltrow).E come per ogni nuovo prodotto che si rispetti, la première -andata in onda negli Stati Uniti lo scorso mercoledì 23 settembre in quanto scommessa di punta della stagione autunnale Fox- ha già spaccato in due gli audaci opinionisti del web.
Scream Queens si apre con un fragoroso schiaffo pop in faccia al pubblico curioso: on air Waterfalls dei TLC.
Inizia così, una scritta rosa shocking informa lo spettatore di trovarsi nel 1995: l’occasione è un tipico party universitario e a dominare la scena è un esercito di ragazzine bionde, vestite di abiti pastello, intente a brandire cocktail con le mani appesantite da improbabili anelli e, fin dalla prima scena, già macchiate di sangue.Il flashback introduttivo, talmente tradizionale da lasciare attoniti, ricco di inquietanti dettagli rosa, con un linguaggio chiaro e inequivocabile riassume in pochi minuti tutto quello che sarà lo stile del serial: comico, splatter, ridicolo e irresistibile.
Dopo il tuffo iniziale ne 1995, in quell’atmosfera profumata da MTV e da videoclip che oggi possiamo a tutti gli effetti considerare vintage, la storia si sposta ai giorni nostri.
La location è l’Università di Wallace: giardini verdi, grandi viali alberati (gli stessi che nel cinema indie ospitano giovani poeti intenti a leggere Proust) e le case delle confraternite, vere dive del paesaggio.
In particolare, l’attenzione è indirizzata verso la KKT (Kappa Kappa Tau), lussuosissima dimora dove una perfida reginetta del ballo che risponde al favoloso nome di Chanel (una Emma Roberts a suo agio più che mai, che sia forse un merito?), bionda e ottusa, spiega subito a suon di perifrasi e arroganza retorica la gerarchia sociale vigente all’interno della sorellanza e del campus.
Insieme a lei le tre tirapiedi, silenziose e accondiscendenti, immeritevoli persino di un nome proprio: Chanel #2 (niente di meno che la pop-star Ariana Grande), Chanel #3 (Billie Lourd) e Chanel #5 (Abigail Breslin).Ma, come in ogni storia che si rispetti, l’ordine prestabilito è destinato ad essere messo presto in discussione: fin dall’inizio è infatti evidente che sono in molti a minacciare gli interessi delle fastidiose protagoniste, a cominciare dalla preside Munsch, donna androgina e predatrice sessuale (Jamie Lee Curtis); o ancora il giovane Pete (Diego Boneta), aspirante giornalista innamorato e pronto a tutto per smascherare le streghe cattive; fino alle aspiranti sorelle, le ultime arrivate, che grazie ad un provvedimento speciale entrano nella confraternita senza doversi sottoporre al tradizionale reclutamento: si parla ovviamente di una sfilata di personaggi improbabili, esagerati, fra cui spicca la tanto attesa Hester di Lea Michele: reduce dell’esperienza Glee, ma ormai intrappolata nell’universo Ryan Murphy.
Questo semplice quadro, un audace mean girls ex temporaneo che ha sostituito il liceo con il campus universitario, viene sconvolto quando a seminare il panico accorre un affascinante serial killer con la maschera da diavolo, vestito di un’aderente tutina in lattice rosso Ferrari, che nel tempo libero si diverte a studiare i più improbabili metodi di omicidio colposo per poi uccidere una ad una le componenti della sorellanza.
A condire questo quadro, si aggiungano vestiti firmati, borse in plastica trasparente e sandali Valentino, efebici ragazzi effeminati che giocano a golf e dormono insieme, ranocchie di peluche e canzoni dalla soundtrack della Twilight Saga.
Tutto questo non può che essere, oggettivamente, perfetto.
Non tanto perché i suoi autori spicchino per particolari meriti artistici quanto più perché le menti che hanno ideato Scream Queens sono le uniche da cui tutto questo mélange avant-pop sarebbe potuto uscire, anche se i commenti che, sulla base di un soggettivismo tanto arrogante quanto indesiderato, in questi giorni cercano inspiegabilmente di negare le capacità della squadra Murphy suonano davvero, davvero ridicoli. Di Ryan Murphy, lo ricordiamo per i più distratti, Glee e American Horror Story.
Il primo passo da compiere è senza dubbio sfatare il facile mito: Scream Queens non segue una logica narrativa coerente e non veicola alcun messaggio sottinteso, al contrario fa della sua forza più grande proprio la premessa che tutto è inspiegabilmente assurdo. È inutile cercare una critica alla società dei media, alla cultura di massa, la così tanto desiderata denuncia alla generazione social dell’immediatezza; la critica costruttiva non è un orizzonte contemplato.
Scream Queens è, fondamentalmente, Trash & Chic. Nasce negli angoli più oscuri e malati della mente di un autore contemporaneo, ripesca dalla tradizione del cinema horror anni Ottanta/Novanta (uno su tutti: Scream) e dalla scuola televisiva di Beverly Hills 90210, ma si incastra precisamente nelle dinamiche evolutive del suo secolo, senza vergognarsi di ammettere una radicata passione per tutto ciò che è di cattivo gusto.
Ryan Murphy recupera tutto ciò che gli sta a cuore, come i film di genere o l’ostentazione del glamour; gioca con la cultura gay e i suoi stereotipi, palleggia con gli ormoni degli adolescenti. Prende i giovani universitari e li trasforma in liceali senza peli sul petto, dissacra alcuni fra i più grandi nomi della cultura pop contemporanea, cattura sex symbol di fama internazionale e li rivende al pubblico nella loro versione omoerotica, intrappolando tutti i personaggi nel fastidiosissimo fish eye della sua macchina da presa.
Ryan Murphy in Scream Queens si diverte e questo non è un male. È un gioco intelligente, limpido, un lavoro di precisione, di cura del dettaglio che non spreca tempo e (metaforica) pellicola ma restituisce un buon risultato. È un prodotto volgarmente ‘figo’, che lascia soddisfatti anche i cultori della novità, che apre una breccia nel panorama televisivo e che forse non fa ridere a crepapelle, ma fa divertire anche lo spettatore.Attenzione però, perché essere così facile e trasparente è proprio ciò che rende questo nuovo serial una scommessa ancora aperta: per apprezzare questo mondo così tragicamente stupido – e a tratti offensivo, come risulta evidente pensando all’assurdo incontro fra Ariana Grande e il serial killer – fin dal principio è fondamentale la capacità del suo pubblico di non prendersi troppo sul serio, ma al contrario di ammettere che essere stupidi, ogni tanto, può essere davvero piacevole e costruttivo. Forse un patto che ad oggi non può essere dato così per scontato.
Per avere l’ultima parola, tuttavia, c’è ancora da attendere il dispiegarsi di tredici episodi.