Tra la terra e il cielo svettano le torri di Anselm Kiefer, tra gli artisti più conosciuti e prolifici del nostro tempo. Interprete lirico del destino tragico dell’umanità, intesse un’epica senza eroi in cui dei drammi della modernità non rimangono che le macerie.
«Io non ho speranza, ecco perché riesco a essere abbastanza umoristico», confessa a Germano Celant in un dialogo che inaugura il nuovo allestimento curato da Vicente Todolí all’HangarBicocca.
Lo spazio milanese ospita dal 2004 I Sette Palazzi Celesti, un’installazione in cemento armato ispirata all’antico trattato ebraico Sefer Hechalot (IV-V sec. d.C.), dove si narra il simbolico cammino d’ascesa spirituale dell’uomo verso Dio.
Sette solenni architetture si elevano fino a 18 metri d’altezza. Piramidi egizie, ziggurat assiro-babilonesi, la leggendaria Babele biblica. Risuonano gli echi delle antiche civiltà, conosciute durante lunghi viaggi in Egitto, Yemen, Brasile, India e America Centrale.
Il dialogo con la memoria giace negli interstizi polverosi delle torri. Dalla sommità alle fondamenta, si depositano una nave, scritte in neon, pile di libri in piombo – materia della malinconia. Una pellicola cinematografica consumata dal tempo, cornici che dietro i vetri rotti non conservano immagini. Alfabeto archeologico con cui Kiefer scrive una testimonianza perturbante.
Nato in Germania l’8 marzo del 1945 e cresciuto tra le rovine della seconda guerra mondiale, non aveva giocattoli con cui giocare.
«C’era solo una casa diroccata e c’erano dei mattoni. Così a quattro o cinque anni ho costruito delle case addirittura di due piani. Probabilmente c’è anche un riferimento biografico in tutto quello che faccio», racconta.
Nel tempo, a Barjac, nel Sud della Francia, ha creato un laboratorio a cielo aperto laddove per 35.000 metri quadrati si estendeva una fabbrica di seta. Cinquantacinque edifici, una cripta che corre sotterranea, torri crollate.
«Il momento più felice e meraviglioso della mia vita è quando la torre esita, il momento prima di cadere e poi “boom”, va giù». A terra i frammenti dell’ambizione dell’uomo che tende al divino, inabissato com’è nella sua desolata esistenza.
Violare ogni auratica monumentalità, ogni forma stazionaria di persistenza, è l’imperativo che lo ha guidato nell’allestimento di cinque tele di grandi dimensioni nelle “navate” dell’HangarBicocca. A distanza di undici anni dal suo primo intervento milanese, Kiefer traccia geografie monotone, in un sottile gioco tra identità e differenza.
Jaipur (2009) è un paesaggio indiano dominato da una piramide capovolta sotto un cielo stellato. Cette obscure clarté qui tombe des étoiles (2011) una pianura desertica. Alchemie (2012): due tele collegate da una bilancia. Un piatto contiene del sale, simbolo di sterilità, l’altro dei semi di girasole, pioggia fertile su di una coltre arida. Die Deutsche Heilslinie (2012-2013), a cui lo sguardo giunge là in fondo, attraversando le torri, ricorda le atmosfere sublimi di Caspar David Friedrich. Un uomo, di spalle, osserva solitario l’orizzonte. Sopra di lui un arcobaleno ripercorre la storia della «salvezza tedesca», dall’illuminismo al marxismo. La superficie appare scarnificata. Stratificata la materia. Terra, sabbia, fibre vegetali abitano le fenditure scolpite dal pennello.
Si confonde il confine tra pittura e scultura. Le torri rinunciano alla loro tragica sacralità, accolte come reliquie in una cosmogonia moderna.
INFORMAZIONI UTILI
Anselm Kiefer
I Sette Palazzi celesti 2004 – 2015
Allestimento a cura di Vicente Todolí
HangarBicocca, Spazio “Navate”
Via Chiese, 2 Milano
Orari di apertura: Giovedì – Domenica dalle 11.00 alle 23.00
Ingresso gratuito
Laboratori gratuiti per bambini tutti i weekend
Per informazioni: 02.6611.1573 | info@hangarbicocca.org | www.hangarbicocca.org