The Reflektor Tapes è primo lungometraggio degli Arcade Fire e, uscito nelle sale italiane nelle uniche date del 14 e 15 ottobre, ha debuttato lo scorso mese in occasione delle celebrazioni del 40esimo anniversario del Toronto International Film Festival.
Se c’è una cosa che speravo di trovare in questa pellicola era un’occasione preziosa per vedere, quanto più vicino possibile, il processo creativo della band canadese. Dopo averli visti e sentiti nel 2014 al Castello di Villafranca di Verona proprio in occasione del tour di Reflektor, raccontavo entusiasta di quanto quello di Butler e compagni non fosse stato solo uno dei più emozionanti concerti della mia vita, ma una vera e propria esperienza multisensoriale per la totalità delle arti coinvolte. E da allora, la mia curiosità nel capire come questo mix possa nascere, in quali radici si fondi la loro creatività e in che modo essa possa divenire un’arte così perfetta, è fortissima.
The Reflektor Tapes dovrebbe raccontare appunto tutto questo: uno spaccato sulla realizzazione dell’album pluripremiato Reflektor. Il racconto è stato affidato al regista Kahlil Joseph (vincitore nel 2013 del premio Grand Jury al Sundance Film Festival per il miglior cortometraggio) con la co-produzione della pluri-premiata Pulse Films (‘20.000 Days on Earth’ e ‘Shut Up and Play the Hits’).
Kahlil Joseph è riuscito a combinare in maniera sconvolgente una celebrazione della loro musica e mantenere nello stesso una distanza sufficiente a darci una visione complessiva e corroborante.
Il film segue la band tra il 2012 e il 2014, da Haiti a Hollywood, passando per Giamaica, Londra e Montreal. The Reflektor Tapes infatti è il frutto delle riprese avvenute durante la fase di studio e di registrazione del disco, prima, e del tour che ne è seguito.
Dopo un buon 10 minuti o giù di lì di confusione tra scene tagliate di canzoni e live di alta energia, sentiamo parlare per la prima volta Win Butler, prima voce della band. Da questo momento in poi la sensazione di ciò a cui stiamo assistendo si fa via a via più coinvolgente.
Per un’ora circa lo spettatore viene risucchiato all’interno di un caleidoscopio, per un risultato a tratti straniante ma molto spesso affascinante, con la musica degli Arcade Fire che irrompe quasi in maniera casuale e con la stessa forza con cui è entrata esce di scena, bruscamente.
Per tutte le band di cui ho ammirazione, ho sempre provato una fascinazione verso tutto ciò che non si vede, per quell’aurea segreta che se da un lato vorresti svelare dall’altra speri in cuor tuo che ciò non accada. E The Reflektor Tapes nel flusso svela e nasconde a ritmi da epilessia l’intimità e il dietro alle quinte, racconta di Haiti che marchia l’albero genealogico di Régine Chassagne (altra voce, polistrumentista e moglie di Win) e delle sue fragilità ma con la stessa rapidità con cui ti ha consentito di avvicinarti, ti porta via, mantenendo preziosamente intatto il mistero.Con un uso intelligente di editing e la fusione di scene, Kahlil Joseph riesce a celebrare, anche in un momento topico di collaborazione e contaminazione come può essere la registrazione un disco, l’individualità dei diversi mondi e intenzioni che fluttuano e si mescolano tra loro nel progetto.
Proprio perché la musica in The Reflektor Tapes è presente, ma non protagonista si perdono i ritornelli per tornare rapidamente alle parole (poche in realtà) della band o ai panorami e alle composizioni arzigogolate dell’immagine. Fino a raggiungere il culmine: una versione improvvisata e potente di My Body is a Cage.
Quando la musica torna ad assumere forme più simili a quelle di una canzone degli Arcade Fire poi subisce lo stesso trattamento sincopato riservato alle immagini: quasi a volerti offrire la sincerità dell’interpretazione, le voci vengono isolate più alte nel mix rispetto agli strumenti quasi come se fossi sul palco tra loro, quasi a voler regalare alle tue orecchie le emozioni più vere.
Molto interessante è poi come Joseph sia riuscito a rimanere fedele all’estetica curata al dettaglio che ha caratterizzato il progetto Reflektor, dall’album al tour. Il registra riesce ad esaltare questo preciso gusto estetico con le sue stesse immagini, tra split screen e cambi di formato, perdendosi e perdendoti tra i colori del carnevale haitiano per poi accertati con il bianco ad infrarossi che rende surreali e onirici volti e natura.
Proprio come i loro album, The Reflektor Tapes si spiega in collaborazione, esplorazione, energia. E alla fine del film, la sensazione che Joseph, nella sua interpretazione della band canadese, ti lascia in regalo è molto simile per intesità a quella che la band canadese ti dona durante i suoi concerti. Una sensazione che, come il film, è un remix: fotogrammi, sfumature di memorie, frammenti di canzoni che rimbalzano da un orecchio all’altro. O ti lasci trascinare in balia di queste energie e lasci che la magia accada, o molto probabilmente questo film ti risulterà insufficiente sotto molti punti di vista, e lo scrivo da fan, lo ammetto!