Lo osservo passivamente da qualche giorno. Lui fa altrettanto con lo sguardo invetriato del giovanetto di Della Robbia. Appoggiato su una palazzina di strati d’arte. Una ciliegina sulla pila di cataloghi in camera che chiude il grattacielo artistico, vista la dimensione che ne fa cappello. Una ciliegina rettangolare fatta a libro nella quale è concentrato un settennio di pensieri e digressioni scritti nell’etere della rete internettiana. Volumetto d’autore, tanto piccino quanto prezioso. Sull’arte e di più. “Robe da chiodi” di Giuseppe Frangi, donato allo stesso per i suoi sessant’anni settembrini dalla sua “famiglia” di Novate, Casa Testori.
Una sorta di antologi(c)a critica selezionatissima, che ha fregato sul tempo quella ideale e artistica futura del pintor fratello Giovanni. Magari l’antologia tira la sorella antologica e il fratello fa uguale… Comunque il libro fu, per fortuna. Maneggiare il pensiero senza lasciarlo volare on line è cosa ottima. Tradurlo sulla carta per 170 paginette è cosa essenziale. Un diario fitto di pensate, pensieri e passione appuntate dalla testimonianza post visiva emotivo-razionale dell’autore – “perché è stupido vedere 150 mostre all’anno senza lasciare una traccia di pensiero” – frutto di una nobile e gentile sensibilità, unica vera discriminante per amare la materia.
Il cioccolatino che si somma alla già citata ciliegina è l’appendice “all’indimenticabile nonna”: il testo scritto da Frangi per il suo primo libro “Foppa. Lo Stendardo di Orzinuovi”. Correva l’anno 1977 e c’era un certo zio (Giovanni Testori) che presenziava attivamente al cospetto critico del 22enne. Mon Chéri totale quindi, ciliegina e cioccolato. Il liquore eccolo scorrere dalle vene alle pagine di Giuseppe distillandosi tra follie classificanti che corrono dalle “sventole” espositive del 2009 alle “architetture d’aria” migliori dell’anno successivo, passando attraverso le “rotture” di Manet, i “ringraziamenti” floreali a Hockney e i “cazzo, cos’è?” della grande arte. Inevitabile e necessario preludio-chiosa, dal principio alla quarta di copertina, che suona: “Chi sono. O meglio perché faccio questo blog. Perché penso che la storia dell’arte liberi la testa”.
Liberare la testa: robe da chiodi, insomma, giocando sul filo di duplice senso “cosa di poco conto” (più ovvia) e “rinforzar coi chiodi” assai più costruttiva. Non gli ho mai chiesto che significasse esattamente per lui questa “roba”, forse per la troppa banalità della domanda o forse perché non ce n’è stata occasione, ma con la stessa banalità provo a rispondere e coglierne la molteplice corrispondenza: quadro, croce, telaio, carne. Ciò che fissa, incide e scolpisce – materialmente o meno – una certa potenza, stabilizzandola o fendendola: principio di qualcosa di “più”, oltre. Mi piace però altrettanto immaginare che possa balenarsi anche questa immagine ad alta quota: quel tastare la nuda roccia, propria dell’alpinista, alla ricerca del punto ideale dove conficcare il chiodo, grimaldello della parete. Uno via l’altro per conquistarne la materia, la vetta. Elevazione verso il cielo – metaforica o meno, alpinistica o meno, religiosa o meno – attraverso la finissima “roba” dell’arte. Una totale e ricercata anch’essa “Roba da chiodi”.
(un grazie a Cinzia Piglione che mi fece scoprire Robe da chiodi qualche anno fa)
INFORMAZIONI UTILI
Titolo: Robe Da Chiodi
Autore: Giuseppe Frangi
Pubblicazione: 2015
Prezzo: 10.00 €
Editore: Casa Testori Associazione Culturale
Descrizione: a cura di Luca Fiore Chi sono “O meglio perché faccio questo blog: perché penso che la storia dell’arte liberi la testa, perché è stupido vedere 150 mostre all’anno senza lasciare una traccia di pensiero” Una selezione di testi del blog Robe da Chiodi di Giuseppe Frangi con due postfazioni di Giovanni Agosti e Davide Dall’Ombra e il primo scritto di Frangi: Foppa. Lo Stendardo di Orzinuovi, 1977