Dal 3 al 15 novembre il Teatro Litta di Milano ospita un “Otello” dark e bagnato
Squadra che vince non si cambia. Così il Teatro Litta e Manifatture Teatrali Milanesi riportano in scena uno degli artisti simbolo della Compagnia, Corrado d’Elia: di nuovo alle prese con Shakespeare, di nuovo con una performance brillante. Nei panni del farabutto Iago, Corrado, si circonda di attori, capaci di tenergli testa: Alessandro Castellucci, Chiara Salvucci, Gianni Quillico, Giulia Bacchetta, Marco Brambilla, Anna Mazza, Giovanni Carretti e Marco Rodio.
La squadra si muove in un’ambientazione cupa su musiche che sembrano provenire da una dimensione onirica in bilico tra il sogno e l’incubo. Il risultato è una rappresentazione che scivola con leggerezza e che, benché si attenga al testo originale dell’ “Otello”, rivisita il classico attualizzandolo. La scelta registica è infatti quella di mettere in scena la tragedia in stile dark. Un’intuizione concretizzata a partire dai costumi che giocano con le dicotomie bianco/nero, bene/male. Unico elemento di colore quel fazzoletto rosso sangue per cui inesorabilmente si consuma la tragedia.
Il palco è spoglio, eccezion fatta per tre elementi fissi che vivono in scena come se fossero anch’essi attori, trasportando l’immaginazione dello spettatore nell’isola di Cipro. Un trono dalle fattezza medievali simboleggia così la parola di chi decide del destino degli altri e un pannello nero con una porta a scomparsa cela invece gli intrighi della vicenda. Di estrema originalità sono anche le due tombe piene d’acqua, nascoste alla visione del pubblico, che bagnano continuamente la scena e i monologhi dei personaggi conferendogli una dinamicità unica. Uno spettacolo viscerale, carnale, capace di far riflettere sul labile confine tra la purezza e il peccato, sull’ingenuità di uomini come Roderigo o Cassio e la malignità fine a se stessa nel caso di Iago.
Uno spettacolo che bagna il suo pubblico senza offrirgli poi il ristoro di un accappatoio caldo. Unica pecca della performance: il finale che, troncando il testo originale nel punto dell’assassinio di Desdemona, non punisce il farabutto e rende lo spettacolo privo di morale. Una scelta che trasforma la mise en scène nella cronaca di una morte annunciata, di una realtà crudele, fatta, forse, per ribadire qualcosa di caro all’autore tanto quanto al regista: “Ma quanto male c’è al mondo?”.