XIII edizione Gender Bender 2015: “Invitante, tagliente, splendido splendente”. Anche quest’anno Bologna ha accolto il festival consacrato alla rappresentazione artistica del corpo e della sessualità, diretto da Daniele Del Pozzo.
Con le ultime, ma non per questo meno intense tre proiezioni nell’iconica saletta Mastroianni del cinema Lumiére di Bologna, nella fresca serata di domenica 8 novembre si è conclusa la tredicesima edizione di Gender Bender (31 ottobre – 8 novembre 2015), anche quest’anno promosso dal Cassero LGBT – il celebre comitato Arcigay che, come si può leggere sul sito del Comune di Bologna, da oltre trent’anni “sostiene l’autodeterminazione e mette in campo azioni di contrasto contro stereotipi e discriminazioni”.
Gender Bender, sostenuto dalle istituzioni comunali e dalla Regione Emilia Romagna, costituisce un tassello importante del più ampio progetto ‘Bologna Contemporanea’ – un programma culturale di supporto alla diffusione sul territorio del panorama artistico odierno – e anche quest’anno si è distinta sulla scena bolognese per il suo caratteristico respiro internazionale, coinvolgendo artisti da moltissimi Paesi.
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Proponendosi la discussione su temi di grande attualità, l’obiettivo principale(e fondante) di Gender Bender è da sempre offrire diverse chiavi d’interpretazione alle principali questioni riguardanti l’identità di genere e l’orientamento sessuale, riflettendo così ‘sulle grandi trasformazioni sociali e culturali della contemporaneità’. L’opportunità offerta al pubblico non è quindi soltanto di puro piacere estetico, ma al contrario una proposta culturale che favorisce la libera discussione, senza la fastidiosa imposizione di un’ideologia preconfezionata, fin troppo spesso svuotata di senso per entrare nelle agende politiche della caccia ai voti elettorali.
In mezzo al variegato potpourri di musica, teatro e incontri esclusivi, l’arte cinematografica occupa da sempre un posto fondamentale all’interno della manifestazione e oggi più che mai lo trasforma in un punto di riferimento di portata nazionale: grazie all’accurata ricerca fra i programmi di molti altri festival e guardando con occhio curioso alle cinematografie di nicchia di Paesi anche molto lontani dal nostro, ogni anno sottopone all’attenzione del suo pubblico una varietà peculiare e sempre molto interessante di titoli tutti da scoprire.
La scelta dei film presentati in questa edizione spicca particolarmente per una consapevole e ricercata eterogeneità: l’offerta, in grado di spaziare da un cinema d’intrattenimento a riconosciuti esperimenti autoriali, ha presentato quest’anno una selezione molto fine e intelligente capace sia di accontentare il grande pubblico, sia di racchiudere la quasi totalità delle discussioni sul tema.
In rappresentanza di un cinema più propriamente detto ‘di finzione’, durante la settimana del festival è stata proiettata una cornice di opere molto lontane fra loro, di diversa portata e intensità.
Presentato nella serata di apertura sabato 31 ottobre, uno dei titoli più curiosi è indubbiamente ‘The Duke of Burgundy’ di Peter Strickland, incentrato sulla morbosa relazione sadomaso fra due donne adulte e accattivanti, molto diverse l’una dall’altra; un ‘film di grande bellezza formale e potenza evocativa’, come specificato dagli stessi organizzatori del festival, che giocando con i generi, in un continuo ibrido fra il thriller e il cinema erotico italiano, spiazza lo spettatore e lo costringe ad abbandonarsi ad un’indimenticabile spirale di seduzione visiva e precisione estetica.
Il gioco con il genere è la chiave di lettura anche di un altro film: ‘Muerte en Buenos Aires’ (‘Death in Buenos Aires’), lungometraggio argentino della regista Natalia Meta, che rispettando gli stilemi della telenovela sudamericana (indimenticabile il cammeo cult dell’attrice-icona Luisa Kuliok) porta in scena la grottesca indagine di un detective e la sua discesa nell’ambiente queer argentino nel pieno dell’entusiasmo culturale degli anni Ottanta, arricchendo la vicenda con una strepitosa colonna sonora (una canzone su tutte: ‘Splendido Splendente’, dell’italianissima Donatella Rettore, qui interpretata dall’attore Carlos Casella).
Ancora ‘A Escondidas’ (‘Hidden Away’), del regista Mikel Rueda, incentrato sull’amore adolescenziale fra un quindicenne spagnolo e un suo coetaneo marocchino (forse un po’ troppo muscoloso per essere credibile…), che mette in scena una tipica romance adolescenziale e pone al centro dell’attenzione il delicato tema dell’immigrazione clandestina.
Ma è forse ‘Lichtes Meer’ (‘Radiant Sea’), del regista tedesco Stefan Butzmühlen l’esperimento più interessante a livello autoriale: presentato come prima nazionale proprio in occasione del festival, si tratta di un lungometraggio emozionante, che con un’invidiabile capacità di gestione del linguaggio filmico racconta la storia di un viaggio per mare, classica metafora del viaggio alla scoperta di sé stessi, del proprio corpo e del sesso, in un ottimo esempio di cinematografia indipendente europea meritevole di rispetto e ammirazione.
Fra i titoli proposti, molto interessanti anche due esempi di ricostruzione storica e cronachistica: ‘La Loi’ (‘The Law’) di Christian Faure, film scritto per la televisione francese e interpretato da una bravissima Emmanuelle Devos – presentato per l’occasione dalla Presidentessa della Biblioteca Italiana delle Donne, Annamaria Tagliavini – sull’intrigante vicenda di Simone Veil, Ministro della Salute di origine ebraica (una delle prime donne del Parlamento francese) che nel 1974 si batté, nella Francia conservatrice di Chirac, per ottenere l’approvazione della legge sull’aborto; ancora, ‘Obediencia Perfecta’ (‘Perfect Obedience’), film messicano di Luis Urquiza Mondragon, ispirato alla storia vera dello scandalo che colpì Padre Marcial Maciel Degollado, fondatore della congregazione religiosa maschile dei Legionari di Cristo e accusato di abuso sui minori iscritti al suo istituto.
In un contesto così interessante una menzione speciale la merita il cinema documentaristico: ‘Fassbinder: Liebe Ohne Zu Fördern’ (‘Fassbinder: To Love Without Demands’) del danese (e amico del regista) Christian Braad Thomsen, che grazie ad interviste esclusive allo stesso protagonista e ad alcuni dei suoi storici collaboratori e moltissimo materiale inedito ricostruisce la vita professionale di Rainer Werner Fassbinder, scomparso prematuramente il 10 giugno 1982 a soli 37 anni; oppure ‘To Be Takei’ (altra grande prima nazionale), dedicato alla vita dell’attore nipponico George Takei, l’indimenticabile timoniere Hikaru Sulu di ‘Star Trek’ e attivista gay impegnato su più fronti nella lotta per i diritti civili.
L’ultima serata di proiezioni si è aperta con ‘Gayby Baby’, sensibile inchiesta sulle famiglie omogenitoriali che lascia la parola ai bambini, in fondo i veri protagonisti del dibattito; infine, l’indimenticabile ‘Gardenia – Bevor Der Letze Vorhang Fällt’ (‘Gardenia – Before the Last Curtain Falls’), straordinario resoconto dell’omonimo spettacolo teatrale ‘Gardenia’, scritto e diretto da Alain Platel e Frank van Laecke, che alla rappresentazione degli highlights dello show alterna scene di vita quotidiana dei protagonisti, esempi davvero toccanti di umanità che sotto il trucco pesante nascondono un’anima semplice e onesta.
Protagonista dominante è stata forse la cultura pop, strumento efficace e, a dispetto degli intellettualismi, sempre seducente, verso cui non sono stati risparmiati gli occhiolini complici: in particolare ‘Fourth Man Out’, esilarante commedia americana di Andrew Nackman sul coming out di un giovane ventiquattrenne e sulla reazione dei suoi amici eterosessuali, che fra gli interpreti ospita il sempre bellissimo Chord Overstreet (reduce dall’esperienza ‘Glee’ e prontamente riciclato in un cinema ancora più politically correct); o ancora ‘The Falling’ di Carol Morley, lungometraggio indipendente sull’educazione femminile negli anni Sessanta in Inghilterra, con la sempre più sorprendente Maisie Williams nel ruolo della protagonista (per il grande pubblico: la piccola Arya di ‘Game of Thrones’); senza infine dimenticare ‘Dope’ di Rick Famuyiwa, prodotto da niente di meno che Forest Whitaker e Pharrel Williams, con la non-più-tanto-piccola Zoe Kravitz, stella nascente figlia di Lenny Kravitz e Lisa Bonet (per i più distratti, Denise de ‘I Robinson’).
Infine una grande esclusiva, motivo di grande orgoglio italiano (e bolognese), presentata lunedì 4 novembre proprio in una delle serate del festival: ‘Salò o le 10 giornate di Sodoma e Gomorra’, l’indimenticabile e contestata pellicola di Pier Paolo Pasolini, ultima fatica prima che l’autore trovasse la morte, in data 4 novembre 1975. Dopo aver vinto il Premio per il Miglior Restauro all’ultima Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia, in occasione del quarantesimo anniversario della morte del regista la Cineteca di Bologna e il Laboratorio di Restauro ‘L’Immagine Ritrovata’ hanno così riportato in sala l’emozione scandalistica di un film esagerato, violento e difficile, ma che oggi si dimostra forse più attuale di quanto non sia mai stato.
Una manifestazione di straordinaria importanza, in grado di mostrare il volto sano di un’Italia – e di un’umanità – ben più civile ed emancipata di quanto abitualmente disegnata dall’opinione comune: nei giorni ormai celebri per lo slogan virale di ‘#Bolognanonsilega’, Gender Bender si è confermato un ottimo punto di riferimento per la libera espressione delle arti, senza prendersi troppo sul serio ma attentamente evitando di scadere nel disimpegno. Un evento fresco e moderno che, senza disdegnare gli ammiccamenti a una dimensione più goliardica, ha offerto spunti di grande riflessione e pregnanza culturale, con uno sguardo attentissimo al rispetto reciproco e all’uguaglianza. Un’uguaglianza che, contro ogni arrogante pretesa di individualismo, può diventare tale solamente in forza della diversità dei singoli e del coraggio di mostrarsi, una volta per tutte, ‘senza trucco’.