Questo breve studio, relativo al ritratto del canonico Bartolomeo Bortolazzi, che è oggi proprietà dell’ultima erede di quella che fu una delle più importanti famiglie trentine nei secoli diciassettesimo e diciottesimo, vuole essere un omaggio al professore e storico dell’Arte Antonello Cesareo e un apporto inedito allo studio della ritrattistica nel Trentino della seconda metà 1700 [1].
Fu proprio lo storico dell’arte Cesareo, infatti, che a inizio anno 2013, vista dapprima una foto su una recente pubblicazione [2] e successivamente il ritratto stesso, mi segnalò come esso possa essere opera del pittore viennese Anton von Maron.
Questa attribuzione gli derivava con certezza, oltre che dalle competenze professionali, anche e soprattutto dalla sua esperienza di studioso per diversi anni presso la prestigiosa Accademia romana di S. Luca, di cui von Maron fu uno degli artisti più famosi nella seconda metà del diciottesimo e a inizio del diciannovesimo secolo.
Il professor Cesareo, autore di una monografia dedicata al von Maron recentemente data alle stampe dopo la sua morte, si ripromise di approfondire l’argomento dell’attribuzione grazie ad una successiva, specifica ricerca, e di farmene avere tutta la documentazione relativa. Purtroppo, egli morì improvvisamente pochissimo tempo dopo, ancora molto giovane, lasciando un grande vuoto oltre che tra amici, colleghi ed estimatori anche nell’ambito della cultura e della ricerca artistica, senza aver avuto la possibilità di portare a termine quanto appena iniziato.
Mi è sembrato quindi doveroso nei suoi confronti, oltre che interessante per la storia della ritrattistica locale, proseguire nella direzione da lui indicata per poter attribuire il ritratto in questione all’opera del von Maron, almeno con un sufficiente margine di certezza.
Del ritrattista e vedutista austriaco si ha una bibliografia quantomeno sufficiente per conoscerne buona parte della vita e dell’attività pittorica che si vuole qui riassumere brevemente.
L’arco della vita di Anton von Maron si svolse dall’ 8 gennaio 1733 in Vienna, fino al 3 marzo 1808 a Roma. Gran parte quindi della sua esistenza e della sua attività è da inquadrare in pieno periodo neoclassico, quando le teorie del tedesco Johann Joachim Winckelmann facevano scuola.
Ancora giovanissimo, il von Maron frequentò in Vienna i corsi di pittura tenuti presso l’Accademia austriaca da Martin van Meytens, celebre ritrattista e miniaturista. Fu pure allievo di Karl Aigen, del Nighens e di Daniel Gran.
Da un testo di Melchior Missirini[3], si apprende che successivamente, nel 1755 e condottovi dal padre, andò a Roma. Lì, dal 1755, studiò sotto la guida del pittore originario di Aussig, in Boemia, Anton Raphael Mengs (1728-1779). Quest’ultimo, artista molto celebre e ricercato quand’era in vita e che aveva trascorso l’infanzia frequentando l’ambiente artistico di Dresda, fu poi per lungo tempo quasi del tutto ignorato e solo di recente riscoperto. Questo, grazie anche alla mostra tenutasi a Padova, a Palazzo Zabarella, e al catalogo a lui dedicato in occasione della mostra stessa nel 2001 [4].
Allievo a sua volta di Marco Benefial e di Sebastiano Conca, Anton Raphael Mengs fu anche storico e critico dell’arte, Principe dell’Accademia di S. Luca dal 1771 e insignito dell’Infula Pontificia da Clemente XIV. Fu proprio quest’ultimo, inoltre, che concepì l’idea di un vasto museo vaticano che poi fece realizzare e affrescare, chiamando a dirigerlo lo stesso Mengs.
Molto amico, fino a una certa data, di Johann Joachim Winckelmann, Mengs ne applicò i principi e le teorie in campo artistico, dando anche il proprio apporto personale e divenendo, secondo il suo biografo, il cavalier D’Azara, il maggior teorico e artista del neoclassicismo e non solo [5].
La nuova concezione dell’arte del Mengs portò una completa innovazione rispetto a quella barocca e rococò. Egli la espose nel suo trattato, pubblicato a Zurigo nel 1762, dal titolo Gedanken über die Schönheit und über den Geschmack in der Malerei (Pensieri sulla bellezza e sul gusto nella pittura).
In questo trattato, il pittore teorizzava che il rifarsi ai grandi maestri dell’arte del passato, senza però diventarne pedissequi imitatori, era l’unico modo per raggiungere la bellezza ideale. Tale bellezza, che non esiste in natura, deve però ricercare e scegliere ciò che in natura c’è di migliore e di eccellente. Rifacendosi a Cicerone, egli ricercava quindi più una bellezza morale, trascendente, relativa all’intelletto. Insisteva che l’artista deve raccorre dalla natura le sue più belle parti e meravigliose e comporne con la mente un idolo intellettuale, e quello con divino magistero significare nell’opere della mano. Relativamente alla vera bellezza, quindi, secondo lui, l’arte può sicuramente superare la natura stessa.
Anton Raphael Mengs, maestro e successivamente cognato del von Maron fu quindi, assieme al Tiepolo e al Batoni, uno dei pittori di maggior prestigio e più quotati del diciottesimo secolo, tanto che Carlo III di Spagna lo volle come suo pittore di corte fin dal 1761. Nel frattempo, aiutato anche da Anton von Maron, egli aveva terminato di dipingere il soffitto con l’affresco del “Parnaso” di villa Albani a Roma. Era stato loro commissionato dal proprietario, il potente politico e mecenate, cardinale Alessandro Albani. Fu proprio l’affresco del “Parnaso” a villa Albani, con tematiche suggerite ai due artisti dallo stesso Winkelmann, bibliotecario all’epoca presso il cardinale, a donare loro grande fama, notorietà e prestigio.
Successivamente Mengs era entrato a far parte dell’Arcadia di Roma con il nome di Dinia Sipilio.
Anche Anton von Maron, che del suo maestro Mengs seguì le teorie artistiche, fu membro dell’Accademia di S. Luca dal 1766, divenendone poi, a sua volta, Principe. Ebbe anch’egli numerosi allievi sia italiani sia stranieri, tra cui il più celebre di tutti Francisecz Smuglewicz.
Sposò inoltre la sorella di Mengs, Teresa Concordia anch’ella pittrice.
Assente il Mengs da Roma, a causa dell’impegno in Spagna, Maron che guidò l’atelier del maestro assieme a Christoph Fessel, ne ereditò gran parte delle commissioni, soprattutto relativamente ai ritratti di personaggi, in gran parte stranieri, che transitavano in quel periodo per la città eterna per il Grand Tour.
Di ciò ne dà testimonianza un passo di una lettera di Winckelmann, inviata da Roma al Signor Wiedewelt a Copenaghen, il 24 maggio 1764: Mengs ha terminato la maggior parte dei due soffitti nel castello di Madrid… Il Maron lavora e copia per gli Inglesi: è assiduo e guadagna: si è fatto conoscere per molti bei lavori, ma principalmente per la famiglia granducale assai ben ritratta e che trovasi nella villeggiatura imperiale di Schönbrunn [6].
Tra i personaggi più famosi ritratti dal von Maron si ricordano il marchese Berio, Robert Clive, il cardinale Carafa, il principe di Anhalt Dessau, lo scultore Vincenzo Pacetti, Sir Arcibald Menzies, il doge Michelangelo Cambiaso ed un grande amico del pittore stesso, il cardinale Gianmaria Riminaldi. A questi si aggiungono poi i suoi autoritratti, i ritratti del cognato e maestro Anton Raphael e della propria moglie Teresa Concordia Mengs.
Fu così che Anton von Maron acquistò grande fama a livello internazionale e divenne amico e punto di riferimento per diversi artisti che lavoravano all’interno dell’Accademia romana, in particolare di quelli di area tedesca.
Tra questi si ricordano la pittrice Angelica Kaufmann, Cristoforo Unterperger e Martin Knoller. Anche degli ultimi due, il Maron ne eseguì i rispettivi, intensi ritratti.
Da una lettera scritta sempre da Winckelmann ad un certo signor Mechel, residente in quel periodo a Basilea, si ha inoltre notizia certa dell’esecuzione da parte di Maron di un ritratto, divenuto poi molto celebre, dello stesso archeologo tedesco: … Maron che fa il mio ritratto per mandarlo a Berlino e Raffenstein che copia in pastello un Correggio nuovamente scoperto, vi salutano e lo stesso fa il Cavaceppi [7].
Nel 1768 Maron tornò a Vienna su richiesta della corte asburgica dove eseguì altri numerosi ritratti, tra cui anche quello dell’imperatrice Maria Teresa e quello della famiglia imperiale. Nella capitale austriaca rimase fino al 1773. Fece poi ritorno a Roma dove visse per il resto della sua vita e dove, alla morte del suo maestro Mengs, ne rimase l’erede indiscusso.
Per quanto riguarda la sua attività di ritrattista, arte in cui eccelse, non si deve quindi dimenticare che Anton von Maron seguì i canoni e le direttive già largamente applicate da Mengs. Anch’egli, quindi, cercava soprattutto di mettere in particolare risalto ciò che l’aspetto esteriore delle persone ritratte spesso celava: la personalità, il temperamento e il carattere. Fu proprio per questo motivo che talvolta, alcuni bozzetti preparatori di ritratti eseguiti dal von Maron, furono attribuiti al Megns, anche se delle differenze, ovviamente, distinguevano la tecnica dell’uno da quella dell’altro.
Il Mengs adoperava tinte più delicate ed era molto raffinato e dettagliato nei particolari, specie nei capelli. Il Maron prediligeva tinte più vivaci e brillanti in particolar modo sul naso e sulle labbra dei personaggi ritratti.
Per quanto riguarda più specificatamente il ritratto del conte Bartolomeo Bortolazzi (1710-1797), canonico della Cattedrale di Trento e appartenente ad una delle famiglie all’epoca più potenti e ricche della città, si può affermare che, pur cercando anche nell’ampio archivio di famiglia, non si è trovato alcun riferimento preciso né alla data d’esecuzione né al suo esecutore.
Fa eccezione un foglietto, apposto sul retro della tela, indicante Giambettino Cignaroli come autore dell’opera, seguito però da un punto interrogativo. Se ciò fosse vero sarebbe abbastanza strano perché il Cignaroli, che eseguì diverse opere per la famiglia del canonico, è più noto come affrescatore e pittore di tele di carattere sacro o mitologico che non come ritrattista.
Di questo ne dà conferma Ippolito Bevilacqua Dell’Oratorio, amico e biografo del pittore veronese, nel suo scritto di memorie sulla vita del Cignaroli, dove afferma: Non volle neppure impiegar lo studio e ‘l tempo nel far ritratti; giudicando che con quelli non si possa acquistar fama di dipintore; e però in tutta la sua vita non ne ha che condotti pochissimi…[8]. Inoltre, dopo un’attenta osservazione dell’autoritratto dello stesso Cignaroli, oggi esposto al Kunst Istorisches Museum di Vienna, si esclude nel modo più assoluto che il ritratto del canonico possa essere opera del pittore veronese, sia per l’uso del colore sia per lo stile impiegato, del tutto differenti da quelli che caratterizzano il ritratto del Bortolazzi.
Si può quindi tentare, percorrendo la strada indicata da Antonello Cesareo, di attribuire il ritratto in questione ad Anton von Maron, facendo un raffronto tra il ritratto in esame con un altro tra i più famosi del pittore viennese: quello del cardinale Francesco Carafa.
Raffrontando le due opere emergono alcuni fondamentali dettagli comuni: entrambi i personaggi sono ritratti di “tre quarti”, mentre la fisicità del loro corpo emerge dal fondo piuttosto scuro, quasi voglia andare incontro all’osservatore.
Entrambi hanno lo sguardo molto luminoso ed espressivo: più deciso e sereno quello del cardinale, più melanconico e pensieroso quello del canonico, quasi a confermarne il carattere spesso incerto ed indeciso, come si può comprendere dalla sua biografia; le loro labbra sono serrate mentre il mento presenta una leggera fossetta.
Entrambi hanno i capelli dello stesso colore e tengono nella mano destra un oggetto che ne contraddistingue lo status: una lettera il cardinale diplomatico, un libro/breviario il canonico.
La parte terminale delle maniche delle loro vesti presenta la stessa preziosità e raffinatezza nella lavorazione dell’alto pizzo, anche se appare più dettagliato quello dell’abito del cardinale.
La loro mano sinistra è quasi del tutto aperta, con il pollice e l’indice nella medesima posizione. Sono mani ben curate, dalle dita piuttosto affusolate anche se i polpastrelli sono ben torniti.
Quindi, da questo raffronto analogico, si può dedurre che l’autore di entrambi i ritratti sia proprio Anton von Maron.
Se però si osserva un altro ritratto, quello del barone Francoise di Hallenberg, eseguito dal maestro Raphael Mengs, e si raffronta con quello del canonico, emergono anche in questo caso delle forti analogie; in particolare, la mano destra del barone regge un libro in modo molto simile a quella destra del Bortolazzi. Pure quella sinistra è in un atteggiamento altrettanto simile a quella sinistra del canonico.
Inoltre, tutti e tre i ritratti analizzati, hanno un denominatore comune anche a tutti i ritratti degli artisti che gravitavano all’epoca presso l’accademia romana, ossia sono estremamente caratterizzanti.
Il che ci fa concludere che il pittore che ha eseguito il ritratto del canonico Bartolomeo Bortolazzi apparteneva ed era attivo nella cerchia degli artisti dell’Accademia romana di S. Luca nella seconda metà del diciottesimo secolo.
Ciò che però indica il von Maron come l’autore più probabile, è la circostanza del viaggio in Italia, che si può definire come un Grand Tour, che il canonico Bortolazzi intraprese nell’anno 1774. Ciò è attestato dal passaporto rilasciatogli dal Principe vescovo Cristoforo Sizzo de Noris il 31 di marzo per potersi recare “in diverse Città d’Italia”[9].
Inoltre, se si consultano i registri relativi agli Atti del Capitolo dei Canonici della Cattedrale di Trento per l’anno appena considerato, si può notare l’assenza del Bortolazzi dalle sedute capitolari, alle quali solitamente non mancava mai, dal mese di luglio fino a metà di novembre.
Mesi durante i quali ebbe sicuramente modo di recarsi a Roma e di approfittarne per far eseguire il suo ritratto dal pittore più affermato che in quel momento operava nella capitale dello Stato Pontificio. Tale artista era sicuramente il von Maron, dato che nel medesimo anno il Mengs si trovava a lavorare per il re di Spagna.
Per quanto riguarda la possibilità da parte del canonico Bortolazzi di entrare in contatto con il von Maron, si deve tenere presente il fatto che egli era parente e molto amico del canonico Sigismondo Antonio Manci, la cui nonna fu Barbara Bortolazzi, una zia del canonico Bortolameo. Il fatto è da sottolineare in quanto il Manci, già nell’ottobre 1760, era stato inviato a Roma da un suo cugino di primo grado, l’allora Principe vescovo di Trento Francesco Felice Alberti Poia.
Vi era stato mandato con l’incarico di effettuare la visita ad limina Apostolorum per richiedere alla Congregazione del Concilio di Roma la risoluzione di una delicata controversia, nata in seno al Capitolo di Trento, riguardante il diritto al voto attivo nelle sessioni capitolari.
Inoltre, per ordine di vari personaggi trentini, era stato incaricato di contattare altrettante personalità che contavano nella Roma del tempo. Tra questi ci fu anche il canonico Bortolazzi, come attestano queste righe del diario di Sigismondo Antonio Manci, scritte nei giorni precedenti alla sua partenza.
Il 6 ottobre 1760 …Fui in casa Perotti, e poi in casa Bortolazi ove trovai casa Gentilotti: e complimentai tutti. Il canonico Bortolazi mi mandò una lettera per il padre Delli Oddi;…[10].
Il Manci, che all’epoca aveva 26 anni, durante la sua permanenza nella città papale, durata fino al maggio del 1761, tranne un breve soggiorno a Napoli, fu affiancato dall’abate Giuseppe Dionigio Crivelli. Quest’ultimo, residente nella capitale da parecchi anni, era stato Agente Vescovile trentino per volere del coadiutore Francesco Felice Alberti d’Enno. Conoscitore di ben cinque lingue, -italiano, latino, tedesco, francese e spagnolo-, egli era inserito altrettanto bene nel mondo artistico e culturale romano dell’epoca. Questo, per essere stato anche dipendente e curatore degli interessi di potenti personaggi e famiglie illustri trentine e austriache (Gentilotti, Harrach, ecc…).
Fu quindi un vero “conoisseurship”, come lo definisce Stefano Ferrari, nella biografia dedicata all’abate trentino. Il Crivelli era infatti al corrente di ogni avvenimento artistico-culturale, oltre che politico-religioso dell’epoca, e ne informava puntualmente i personaggi di cui era al servizio, facendo da tramite anche per l’acquisto e la spedizione di opere d’arte, tra cui anche alcune del Mengs e del Maron.
Fu così che anche il giovane Manci venne introdotto nel modo artistico – culturale romano dell’epoca, facendo conoscenza di artisti e mecenati. Fu più volte ricevuto dal cardinale Alessandro Albani, ministro imperiale presso la Santa Sede, nella sua stupefacente villa che stava terminando di costruire ed affrescare proprio in quel periodo. Vi stavano lavorando gli artisti Raphael Mengs -che nella villa risiedeva assieme alla propria famiglia- e Anton von Maron. Il Winckelmann, inoltre, come già detto, vi svolgeva la mansione di bibliotecario.
Nel suo diario romano, interessantissimo, il Manci fa una minuta descrizione di parecchi tra i palazzi e i monumenti romani visitati, ma si sofferma in particolare su villa Albani, meravigliato da tanta bellezza. Delle diverse pagine ad essa dedicate, si riportano solo i passi più significativi per il fine di questa ricerca:
Roma, 12 novembre 1760, … Sendo stato a pranzo da Crivelli, con esso andai alla Villa del C(ardinale) Alessandro (Albani), che vi vense poi a secco lui, stetti un peseto poi che partì, ella è una casa, che soprasta la megnificenza di quanti monarchi al mondo non per vastità, ma per la rarità, e buon gusto,… entrai in una salla di 3 fenestroni, e mezanini ancora il volto è messo a fresco a stuchi con 3 piture dietro a cui lavorava il dott.mo pitor Menz danese (sic!) ma della Scola di Roma, tutta la salla, è formatta di architetura con lesene di marmo, ed in mezo ad esse tutto mosaico pel disegno antico[11].
Queste le affermazioni del Manci, che rimangono sempre una testimonianza molto importante, anche se egli storpia il cognome Mengs in Menz e se attribuisce all’artista una nazionalità danese invece che boema.
Certamente, l’abate Crivelli non avrebbe mai storpiato il cognome dell’artista, come invece fece il Manci, piuttosto frettoloso e talvolta impreciso nei suoi appunti quotidiani.
Il Crivelli aveva troppa familiarità con il Mengs per poterne scrivere il cognome in modo alterato. Testimonianza ulteriore di questo rapporto abbastanza costante con il Mengs, sono alcune lettere che il pittore aveva indirizzato all’abate trentino, un passo delle quali, sempre riportate da Stefano Ferrari, ci rimanda anche alla frequentazione dell’agente trentino con lo stesso Anton von Maron:
Roma, 19 novembre 1755 … Maron è molto sensibile alla benignità di V.E. e gli dispiace intimamente di non poter si presto impegnarsi a servirla in qualche cosa del suo pennello.
Altri personaggi trentini ma residenti a Roma, che accompagnarono il Manci nella sua conoscenza della realtà romana durante il suo soggiorno del 1760-61 furono l’abate Geronimo Brocchetti di Tenno e l’abate Baldassarre Martini di Riva, nonché un altro agente del principe vescovo di Trento, Giuseppe David[12]. Molti quindi furono i contatti tra il mondo culturale trentino e quello romano nella seconda metà del 1700 e certamente altrettanti furono gli agganci che il canonico Bortolazzi ebbe a Roma, grazie anche alla sua amicizia col Manci così ben introdotto nella società romana dell’epoca.
Inoltre, si sa che, seppure nel decennio successivo alla data del viaggio del canonico Bortolazzi in Italia, un altro importante personaggio trentino fece da tramite con il mondo artistico italiano, soprattutto quello milanese e quello romano dell’accademia di S. Luca. Tale personaggio fu il cardinale Leopoldo Ernesto Firmian. Egli, che fu canonico del duomo di Trento assieme a Bartolomeo Bortolazzi che conosceva molto bene, e che poi fu anche vescovo ausiliare, mandò il giovane pittore suo protetto, Joseph Bergler, in Italia, affinchè completasse i suoi studi. Dapprima lo mantenne per cinque anni a Milano, nell’altelier di Martin Knoller, l’amico del von Maron che a sua volta aveva frequentato l’accademia di S. Luca come allievo del Mengs. Successivamente il Firmian ottenne che il Bergler fosse accettato dallo stesso von Maron presso il suo atelier romano in quanto incaricato dall’accademia di Vienna di assistenza ai borsisti di area tedesca. Di Joseph Berger, rimangono ancora in Trentino alcune opere, due delle quali sono conservate a castel Thun in valle di Non, mentre una sua pala si trova nella cappella privata di villa Saracini a Povo, frazione di Trento.
A tutte queste considerazioni si deve inoltre aggiungere che in casa Bortolazzi esistono anche tre incisioni, raffiguranti tre marine, eseguite da Claude Joseph Vernet (1714-1789) che ci riportano all’Accademia di S. Luca. L’artista francese, infatti, dimorò per quasi vent’anni a Roma e fu allievo di Adrien Manglard, fattivo collaboratore dell’accademia stessa.
Date tutte queste circostanze, nulla quindi vieta di pensare che, come giustamente intuito dal professor Antonello Cesareo, il pittore che fece il ritratto al canonico Bortolazzi nel 1774, sia stato il celebre Anton von Maron dell’Accademia Romana di S. Luca, almeno per quanto riguarda il viso e le mani. Si sa, del resto, che il Maron faceva terminare dai suoi allievi le parti meno importanti dei ritratti.
Tutto ciò anche se nel ritratto il Bortolazzi dimostra molto meno dei sessantaquattro anni che aveva allora. Ma è anche risaputo che molti dei rappresentanti maschi della sua famiglia, come del resto lo stesso canonico, furono per l’epoca molto, molto longevi. Il von Maron, inoltre, ebbe la capacità, in molti casi, di far apparire i personaggi dei suoi ritratti più giovani di quanto non fossero in realtà.
Infatti anche il dipinto del cardinale Francesco Carafa, nato a Napoli nel 1722 e elevato alla porpora da Papa Clemente XIV nell’aprile 1773, non si presenta nel ritratto del von Maron con i lineamenti di un cinquantunenne.
Il grande rimpianto che rimane al termine di queste considerazioni è quello di non aver trovato alcuna documentazione scritta che attesti quanto fin qui sostenuto.
Il motivo di ciò è che il canonico Bartolomeo Bortolazzi, per volontà testamentaria, nel nominare l’amico di sempre Sigismondo Antonio Manci suo esecutore testamentario, lasciò a lui, assieme ad una tabacchiera d’oro, tutti i suoi scritti e i suoi documenti personali, che però nel tempo devono essere andati dispersi.
Infatti, anche l’approfondita ricerca eseguita presso l’archivio della famiglia Manci non ha fornito alcuna documentazione in proposito, contrariamente a quanto sperato.
Note
[1] Antonello Cesareo era nato a L’Aquila nel 1971; si era laureato, specializzato ed aveva conseguito il titolo di dottore di ricerca presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, lavorando su artisti e collezionisti inglesi tra Seicento e Settecento. E’stato autore di saggi e approfondimenti su Anton von Maron, Thomas Jenkins, Marcello Bacciarelli, il cardinale Henry Stuart, duca di York, il cardinale Ercole Consalvi ed Angelo Maria Ricci. Studioso dell’arte canoviana, aveva pubblicato il volume “Antonio Canova e l’Accademia di S. Luca”, frutto di una ricerca nata da un triennio come borsista presso L’Accademia di S. Luca a Roma. All’insegnamento della storia dell’arte presso la St. John’s University di Roma aveva affiancato la partecipazione a seminari organizzati dall’Istituto per gli Studi su Canova e il Neoclassicismo, dall’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti (in collaborazione con l’Ecole du Louvre) e dall’Istituto Italiano di Studi Filosofici.
Ricercatore, critico, storico dell’arte era più volte intervenuto anche presso il Museo Canova di Possagno per le sue lezioni di storia dell’arte e dove il suo volume su Canova e l’Accademia di San Luca era stato presentato nel dicembre 2012 a Possagno.
E’ morto a Trento il 24 febbraio 2013.
[2] A. Adamoli, L. Gretter, Villa Bortolazzi all’Acquaviva, Mori, 2007, pag. 68.
[3] M. Missirini, Memorie per servire alla storia della romana Accademia di S.Luca fino alla morte di Antonio Canova, Roma, 1823.
[4] Steffi Roettgen, Mengs: La scoperta del Neoclassico, Dresda, 2001.
[5] D. G. Niccola D’Azzara, Opere di Antonio Raffaello Mengs, Roma, 1787.
[6] FF. Giachetti, Opere di G.G. Winckelmann, Prima edizione italiana completa, Tomo X, Prato, 1833, pag. 76.
[7] FF. Giachetti, Opere di G.G. Winckelmann, Prima edizione italiana completa, Tomo X, Prato, 1833, pag. 274.
[8] Ippolito Bevilacqua Dell’Oratorio, Memorie della vita di Giambettino Cognaroli Eccellente Dipintor veronese, Verona MDCCLXXI, pag. 13
[9] ASTn, Libri copiali “Acta Capitularia”, II serie, n. 57, f. 157: Passaporto del S.Conte Canonico Bortolazzi. Partendo da questa Nra Città il Sig.r Bartolomeo Conte Bortolazzi de Vattardorf, e Prunnenperg Canonico Capitolare di questa Nra Cattedrale, e Nro attuale Consiglio Aulico per portarsi assieme con un suo Compagno, e servo in diverse Città d’Italia, e desiderando che egli sortisca nel suo viaggio ogni più completa felicità lo accompagniamo col presente Nro Passaporto in vigore del quale preghiamo, e respettarlo con ogni amorevolezza ricerchiamo tutti li Seren.mi, ed Ecc.mi S.ri Suc., Loro Luogotenenti, Capitani, Ministri ed Officiali, per gli Stati, Città, Terre, e Giurisdizioni le quali converrà allo stesso col suo Compagno, e servo passare, soggiornare, e ritornare, à non solo permettergli libero il passo, soggiorno, e ritorno colle sue Armi, e Bagaglio, ma ben anco ad onorarlo della Loro Protezione, in caso di qualsiasi bisogno, ben certi, che d’indi ne trarremmo il più giusto argomento di rendergli palese in simili, ed altre occasioni la propria riconoscenza dalla più viva brama di poter corrispondere con manifesta lealtà del Nro animo, e colla pronta disposizione a comprovargli colle opere la più sensibile e costante N.ra gratitudine. In fede.
31 marzo 1774.
[10] Padre Longaro Degli Oddi, Gesuita e Prefetto della Congregazione de Nobili, detta de Bragmani nel Gesù, Rettore del Collegio dei Gesuiti a Roma.
[11] BCTn, Sigismondo Antonio Manci, Diario, 16 novembre 1760.
[12] Giuseppe David subentrò nel 1758 all’abate Giuseppe Dionigio Crivelli nell’incarico di Agente vescovile trentino a Roma.
Bibliografia
Antonello Cesareo, Studi su Anton von Maron 2001-2012.
Antonello Cesareo, L’amore e la rabbia. Dialogo con Luigi Spezzaferro in “Ricerche di Storia dell’arte” , Rivista quadrimestrale, anno 2008.
Anton Raphael Mengs, Pensieri sulla pittura. Nella traduzione di José Nicolas de Azara a cura di Michele Cometa, Palermo, 1996.
AA.VV., Neue deutsche biographie, 16° vol., Berlino, 1990.
AA.VV., Mengs sulle orme di Poussin in «Antologia di belle arti» n. 2, 1977, pp. 148-156.
AA.VV., La pittura del ‘700 a Roma in «Labyrinthos» n. 5/6, 1984/5 pp. 315-320.
AA.VV., Mengs, Anton Raphael in La pittura in Italia. Il Settecento, 1990, vol. II, p. 793.
Livia D’Avenia, Giovanni Maria Riminaldi, Mengs e Pacetti: mecenatismo romano di un cardinale ferrarese in Collezionismo, mercato, tutela: la promozione della arti prima dell’Unità a cura di Liliana Barroero, «Roma moderna e contemporanea» n.2/3, 2006, pp. 165-180.
G.N.d’Azara, Opere di Anton Rafael Mengs su le belle arti, pubblicate dal Cavaliere Giuseppe Nicola d’Azara, Milano, 1836.
Liliana Barroero, La pittura a Roma nel Settecento in La pittura in Italia. Il Settecento a cura di Giuliano Briganti, 1990, vol. I, pp. 383-463.
Giovanni Lodovico Bianconi, Elogio storico del Cavaliere Anton Raffaele Mengs: con un catalogo delle opere da esso fatte in Scritti tedeschi a cura di Giovanna Perini, 1998, pp. 245-299.
Giuliana Campestrin, Marta Scalfo, Iole Piva, Marco Andreaus, Riveritemi tutti di casa.Lettere di Girolamo Crivelli al fratello Antonio ( 1764-1780)
Stefano Ferrari, Giuseppe Dionigio Crivelli (1693-1782) La carriera di un agente trentino nella Roma del Settecento, in Studi Trentini di Scienze Storiche Sez. I LXXVII, 2000.
Ulrich Finke, Mengs und England in “Sind Briten hier?”: relations between British and continental art, 1680-1880, Monaco, 1981, pp. 57-82.
Damiano V. Fucinese, Mengs protocritico del Correggio in «Critica d’arte» n. 7, 1985, pp. 51-56.
Hans Geller, Artisti tedeschi a Roma: da Raphael Mengs a Hans von Marées (1741-1887). Le opere e i luoghi che li ricordano, 1961.
Hilde Gröger, Anton Raphael Mengs, ein Meister der Miniatur in «Alte und moderne Kunst» n. 4/5, 1957, pp. 18-19.
Flaminio Gualdoni, Anton Raphael Mengs: imitare, non plagiare in «FMR» n. 11, 2006, pp. 73-92.
Pia Hollweg, Anton Raphael Mengs’ Wirken in Spanien, Francoforte, 2008.
Francesca Delcroix Maovaz, Appunti su Anton Raphael Mengs in appendice alla mostra del Neoclassicismo in «Commentari» n. 23, 1972, pp. 381-384.
Rosanna Cioffi Martinelli, La ragione dell’arte: teoria e critica in Anton Raphael Mengs e Johann Joachim Winckelmann, Napoli, 1981.
Gian Lorenzo Mellini, Per Anton Raphael Mengs: in occasione di un centenario dimenticato in «Comunità» n. 34, 1980, pp. 339-370.
Thomas Pelzel, Winckelmann, Mengs and Casanova: a reappraisal of a famous eighteenth century forgery in «The art bulletin» n. 54, 1972, pp. 300-315.
Thomas Pelzel, Anton Raphael Mengs and Neoclassicism, New York, 1979.
Thomas O. Pelzel, Mengs and his German critics in Goethe in Italy, 1786 – 1986: a bi-centennial symposium, november 14 – 16, 1986, University of California, Santa Barbara, 1988, pp. 95-113.
Steffi Roettgen, Mengs e Raffaello: rendiconto di un rapporto programmato in Raffaello e l’Europa a cura di Marcello Fagiolo e Maria Luisa Madonna, 1990, pp. 619-653.
Steffi Roettgen, Das Papyruskabinett von Mengs in der Biblioteca Vaticana: ein Beitrag zur Idee und Geschichte des Museo Pio-Clementino in «Münchner Jahrbuch der bildenden Kunst» n. 3, 1980, pp. 189-245.
Steffi Roettgen, Winckelmann, Mengs und die deutsche Kunst in Johann Joachim Winckelmann, 1717 – 1768 a cura di Thomas W. Gaehtgens, Amburgo, 1986, pp. 161-178.
Steffi Roettgen, Die “Mengsische Akademie” in Rom: Anton Raphael Mengs, seine Schule und Angelika Kauffmann in Angelika Kauffmann catalogo della mostra (Düsseldorf, Kunstmuseum) a cura di Bettina Baumgärtel, Hatje, 1998, pp. 52-59.
Steffi Roettgen, Anton Raphael Mengs, 1728-1779, Monaco, 1999.
Mengs, la scoperta del Neoclassico, catalogo della mostra (Padova, Palazzo Zabarella; Dresda, Staatliche Kunstsammlungen), a cura di Steffi Roettgen, 2001.
Stella Rudolph, La pittura del ‘700 a Roma: 732 illustrazioni, Milano, 1983.
Giancarlo Sestieri, Repertorio della pittura romana della fine del Seicento e del Settecento, Torino, 1994.
Stefano Susinno, Alle origini della pittura neoclassica: la competizione per il primato tra Batoni e Mengs in «Bollettino dei musei comunali di Roma» n. 15, 2002, pp. 5–24.