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Questione carceri: Italia Paese non rieducabile. Unito nel solo disonore

Carcere

Rachid Assarag, detenuto, condannato a 9 anni per violenza sessuale: «Vedo che lei, brigadiere, gli può dire: fermati!». Brigadiere: «A chi? A lui?» Rachid: «A lui. Brigadiere, perché non hai fermato il suo collega che mi stava picchiando?». Brigadiere: «No, io vengo e te ne do altre. Ma siccome te le sta dando lui non c’è bisogno che ti picchi anch’io». Rachid: «Ma perché? Non è il tuo lavoro questo. Il carcere dovrebbe rieducare». Brigadiere: «Quale rieducazione? Tanto il detenuto esce più delinquente di prima. Non perché piglia schiaffi, ma proprio perchè il carcere non funziona». Su consiglio del suo avvocato, Fabio Anselmo, Rachid ha registrato tutto, e l’associazione «A buon diritto» adesso ha deciso di rendere pubblico questo e altri colloqui agghiaccianti. In un’intervista, un agente di custodia spiega che «con i detenuti ci vuole il bastone e la carota», un giorno di pugni e l’altro no, per ottenere «ottimi risultati». In realtà, i risultati sono in ogni caso poco edificanti. Il sistema penitenziario italiano è uno dei più terribili e crudeli al mondo, e lo dicono e lo ripetono tutti gli studi effettuati, oltre che i continui ammonimenti piovuti dall’Europa.

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Partiamo da Rachid per affrontare un argomento spiacevole. E’ che questa è una faccia non tanto conosciuta del nostro Paese. Proviamo a scoprirla e a vergognarcene. Una cosa bisogna avere il coraggio di dire. La violenza peggiore (se esiste una violenza peggiore in condizioni come queste) è quella dei detenuti sugli altri detenuti, perché non viene quasi mai denunciata, e perché sarebbe soprattutto quella che, stando alle ricerche effettuate, porta al suicidio e all’autolesionismo un incredibile numero di reclusi, tanto da mettere l’Italia al primo posto di questa mortificante classifica. La media ufficiale dei decessi nelle carceri italiane per violenza o altri motivi è di 68 all’anno.

Queste cifre però non corrispondono alla realtà, perché l’amministrazione penitenziaria non considera come avvenute fra le mura delle patrie galere tutte le morti registrate negli ospedali dove sono trasferiti i detenuti in gravi condizioni, come per il caso Cucchi. Nelle 208 strutture carcerarie italiane sono recluse 68mila persone, contro una capienza massima di 45mila posti. A niente sono serviti gli ammonimenti della Commissione Europea e gli appelli dell’ex presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. E neppure le varie amnistie che cadono a intervalli regolari come le foglie d’autunno.

In queste condizioni di sovraffollamento si verificano migliaia di stupri con violenza nei confronti di detenuti che per paura e per vergogna non denunciano quasi mai, oltre a un’infinità di casi di aggressione violenta, di cui solo duemila denunciati, cioé una minima parte. A tutto questo, per rappresentare meglio l’inferno delle nostre galere, bisogna aggiungere le prevaricazioni quotidiane, le minacce, le intimidazioni non solo verbali, e le persecuzioni fisiche e psicologiche.

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Secondo l’associazione EveryOne, che si occupa di diritti umanitari e organizza convegni e incontri per far conoscere questa realtà, «l’enorme preponderanza di suicidi di sesso maschile rispetto alle donne è dovuto prevalentemente alla pratica degli stupri, che colpisce i prigionieri maschi, soprattutto se giovani e longilinei, come sottolinenano gli studi effettuati sul fenomeno». Ogni anno si contano, secondo le stime ufficiali, 340 tentati suicidi e più di duemila atti di autolesionismo. Se si allarga l’orizzonte a ritroso sui vent’anni, invece, si scopre che sono stati più di mille i detenuti che si sono suicidati e ventimila quelli che hanno tentato di togliersi la vita, a conferma di un dato che cresce in misura esponenziale nelle ultime stagioni. Sono numeri che comunque non hanno uguali non solo nel mondo democratico, ma anche nei peggiori regimi integralisti. I crimini più efferati che avvengono quotidianamente all’interno delle carceri restano impuniti per un tacito patto di omertà che vige dentro il sistema, e di cui sono complici e in questo caso doppiamente colpevoli le guardie carcerarie che niente fanno per provi fine.

Rileggendo i dati di un convegno tenuto in Sicilia nel 2014, gli stupri e la schiavitù sessuale di cui sono vittime i detenuti più giovani, «sono una delle cause principali di almeno il 40 per cento dei suicidi». Roberto Malini, presidente di Every One, afferma di aver riscontrato questa terribile realtà «attraverso le nostre consulenze psicologiche. Molti ragazzi si tagliano bracce, gambe e petto pur di sottrarsi a tali pratiche. I casi di stupri e schiavitù sessuale sono oltre tremila ogni anno, una cifra che corrisponde a più del 40 per cento di tutti gli stupri che avvengono in Italia, e questo anche grazie alla connivenza delle guardie carcerarie. I direttori, gli educatori e gli agenti tollerano questo stato di cose».

Così può accadere che a San Vittore un giovane rom di 19 anni, detenuto per un piccolo furto, diventi vittima di una serie di stupri culminati con una violenza di gruppo, senza che nessuno mai intervenga, fino a che lui si è fatto una ventina di tagli nel corpo, riducendosi a una maschera di sangue, per sottrarsi a quell’incubo. Solo allora, in quel lago di sangue, hanno deciso di portarlo via in ospedale. Il giudice Francesco Cascini ha spiegato in un convegno come sia alto in queste condizioni il «rischio di diffusione di gravi malattie infettive come l’Aids».

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Questo è l’inferno della carceri per la maggior sconosciuto a quelli che non hanno dovuto entrarci: vi immaginate un innocente – e quanto ce ne sono? – che finisce dentro a quest’incubo? Non ci sono denunce che ne parlino. Solo silenzio. Le denunce riguardano soltanto le guardie carcerarie. E da Poggioreale, Napoli, arrivano la maggior parte di segnalazioni di violenze, pestaggi, vessazioni. Ad Asti 5 guardie carcerarie sono finte coinvolte in storie ancora tutte da chiarire di pestaggi e spaccio di droga. A Modica due assistenti capo di polizia penitenziaria vennero arrestati con l’accusa di aver abusato sessualmente di alcuni giovani detenuti di nazionalità straniera. Anche da Salerno, hanno scritto per denunciare pestaggi e violenze.

Non c’è Nord e Sud in questo viaggio dell’orrore.
Siamo un Paese unito, nel disonore.

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