Nome di battesimo Francesco De Molfetta… meglio conosciuto come il Demo. Raccontaci chi sei.
DEMO è il mio alter ego, ma molto più ego che alter in realtà. Da sempre tutti mi conoscono come il “DEMO”. Questo nomignolo (etimologicamente interessante, vista la radice greca, che indica una porzione rappresentativa di un territorio e di un gruppo di persone, quindi di un “insieme” con un proprio culto e un proprio governo) mi è stato affidato sin dall’infanzia come contrazione di un cognome lungo e ingombrante. Quest’operazione di sintesi la apprezzo molto, perché io stesso nel mio lavoro amo sintetizzare concetti e forme ampie ed ingombranti in una riduzione più condensata e armoniosa.
“Una parola è poco e due sono troppe” eppure per te e i tuoi lavori le parole sono molto importanti. Ci spieghi questo stretto legame tra le tue opere e le parole?
Come dice Nanni Moretti “le parole sono importanti”: eccome se lo sono! Detesto le persone che parlano con noncuranza nella scelta dei vocaboli o che restringono il loro registro linguistico al minimo indispensabile per una vita tranquilla e una comunicazione superficiale e il meno possibile ambigua. Vedo il linguaggio come la tastiera di uno strumento che si presta ad infinite combinazioni di accordi e di melodie. Voglio sfidare la lingua e la semantica e mi piace l’idea di eseguire un “taglia e cuci” verbale per arrivare a dare una didascalia alle mie creazioni. Desidero dare un primo appiglio per la scalata della parete verticale della lettura dell’opera. A partire dalla tecnica esecutiva, che io ho “rivisto” a mio modo isolandone la prima lettera e rivisitandone il concetto, per farla quindi diventare: (S)cultura.
Apparentemente ironiche nelle tue opere si trova in realtà a mio parere un velo di profondo sarcasmo…
Una consapevolezza amara direi più che altro! Una bellissima frase di Beaumarchais nell’opera “Il Barbiere di Siviglia” recita : “mi affretto a ridere di tutto e di tutti, per la paura di essere costretto a piangerne” .
Da cosa ti fai ispirare e come nascono le nuove idee?
Non credo che le definirei “idee nuove”. Le ispirazioni arrivano da pensieri e sensazioni con radici molto antiche . Non amo definirmi un “creatore”,non ne ho la pretesa. Direi più un “riduttore”, uno che attinge dall’esistente e lo riduce secondo una sua visione. Sono convinto che siamo solo la testimonianza di un transito del sapere tramandando dati e materia a chi verrà dopo di noi. Il nostro compito è quello di ridurlo, cioè ricavarne il meglio e testimoniarlo. Le ispirazioni sono le medesime che hanno avuto Raffaello, Michelangelo, l’uomo di Neanderthal, solamente “attualizzate”. L’Amore, il mistero, il potere, la relazione, la fede, la morte, l’uomo, la natura, la terra , il cielo, niente più di questo.
Purtroppo o grazie al cielo quando si parla di fare arte non ci sono delle regole precise da seguire. Come fai a sapere quale sarà l’opera da fare successivamente?
Sono sempre in uno stato di “ascolto” plurisensoriale. E’ vero che non ci sono delle regole, ma dei bisogni si. Io ho “bisogno” di portare a compimento una visione, come dare sazietà ad un appetito che non si seda se non al termine della resa tangibile di una forma e di una visione . Mi faccio guidare da ciò che trovo, da ciò che accende una scintilla e innesca un pensiero che mi riguarda e allora “sento” che è la strada giusta. Ho imparato che non si può imporre tanto sulla materia, è lei che trova compimento, io ne sono solo l’esecutore. Mi piace pensarla così, come qualcosa che trascenda dal mio controllo, che non dipenda strettamente da me, ma che mi “usi” come un’ ostinata volontà di venire alla luce.
È capitato che i tuoi lavori venissero copiati in toto. Come affronti questo problema e non credi forse come me, che forse la colpa non sia tanto degli artisti quanto dei critici e galleristi che non se ne rendono conto (nel tuo caso come in altri ovviamente) e portano avanti tali artisti?
Una volta una persona mi disse che detenevo lo scettro dell’artista più copiato, può darsi. In effetti ormai mi sono abituato a cogliere scopiazzature camuffate e riletture di mie opere ormai iconiche. Me le segnalano continuamente. Ho addirittura un artista che copia ogni singola opera che ho eseguito, perfino usando le stesse cornici…pazzesco! E’ stato ripreso più volte, e non solo da me, ma sembra lui nega l’evidenza. Inizialmente la cosa mi dava molto fastidio, mi sentivo come depredato di un’idea che era stata mia e quindi radicata nel mio intimo, una sorta di nudità pubblica in proscenio replicata. Ho trovato la cosa di cattivo gusto e tutto sommato anche penosa. Mi sono poi reso conto però che in questa desertificazione estetica ed ideologica, andare avanti per citazioni e clonazioni è divenuto ormai un presupposto accettato e tollerato. Il vero motore del mondo sono le idee e i desideri nuovi (citando Boetti che in uno dei suoi arazzi più famosi ricamava la dicitura: “per nuovi desideri”), ma se le idee scarseggiano perché non c’è rinnovamento di ideologia?
Siamo ad un punto molto critico della storia dell’umanità, ad un “turning point” epocale in bilico tra il secolo/millennio era precedente ed un nuovo tempo che ancora non ha i contorni delineati. Come essere nella nebbia, si procede a tentoni, rifacendosi spesso a percorsi precedenti e opere che hanno “funzionato” da un punto di vista commerciale.
Credo, come dici bene tu, che l’errore sia l’ignoranza e la superficialità dei critici e dei galleristi che davvero non conoscono la storia dell’Arte contemporanea (paradossalmente si conosce molto meglio quella antica, ma le referenze su quella moderna e contemporanea sono scarse e affidate al ridotto materiale cartaceo e fotografico disponibile). Mi è capitato di parlare con colleghi che non conoscevano lavori pregressi affini ai loro e questo non è solo colpa loro, ma anche di un mercato caotico e speculativo che tende a bruciare ricerche di autori precedenti molto in fretta, creando così nuovi miti da osannare e nuovamente rimpiazzare. Un consumismo spietato e distruttore asservito ad un mercato sempre più capriccioso e insoddisfatto.
Se fossi nato agli inizi del ‘900 quale artista saresti voluto essere?
Wow! Questa scelta è molto difficile…ce ne sono tanti che amo molto, amando molto l’Arte. Credo Adolfo Wildt per la qualità esecutiva, De Chirico e Morandi per la fedeltà alla loro visione poetica, Man Ray e Magritte per la provocazione, ma più realisticamente il mio grande mito rimane Jeff Koons, ma non per i successi commerciali.
Un sogno ancora nel cassetto da artista?
Realizzare il mio monumento funebre.
Progetti futuri?
Ho appena iniziato la collaborazione con una storica galleria milanese che si chiama “il MAPPAMONDO” e con loro presenterò dei nuovi lavori alla fiera di Bologna e in altre fiere durante l’anno, oltre ad una personale prevista presso la loro sede nel 2016. Sto anche collaborando con un giovane regista teatrale alla drammaturgia e alla scenografia per un progetto di uno spettacolo incentrato sulla figura di Adolf Hitler che debutterà in primavera.