La fotografia di Carol, ultimo film di Todd Haynes, come specchio di un percorso emotivo.
Sono tanti gli elementi capaci di rendere un film indimenticabile: gli attori, la sceneggiatura, la colonna sonora, i costumi. Carol, l’ultima opera del regista americano Todd Haynes -presenta all’ultima edizione del Festival di Cannes- è uno di quei film in cui tutti i componenti si incastrano con straordinaria armonia e bellezza, rilucendo ognuno per le proprie peculiarità. Una felice sinergia che gli è valsa ben sei nominations agli Oscar, tra le quali spicca quella per la migliore fotografia.
Il direttore della fotografia è Edward Lachman, già presente in tale veste in altri importanti film di Haynes quali I’m not there, Far from Heaven e Mildred Pierce, che in occasione di Carol si è prodigato in un incredibile lavoro intimo e psicologico.
Adattamento cinematografico del romanzo di Patricia Highsmith The Price of Salt, Carol è ambientato nella New York degli anni ’50 e racconta la nascita e l’evoluzione dell’amore tra la giovane aspirante fotografa Therese Belivet –Rooney Mara– e l’incantevole Carol Aird -interpretata da Cate Blanchett– intrappolata in un matrimonio ormai destinato a concludersi e in lotta per la custodia della sua bambina.
Due donne, due universi che s’incontrano e si intrecciano tra le maglie di una società imbalsamata nelle convenzioni, che si fanno sempre più strette sino a quasi soffocare la loro identità, i loro sentimenti, la libertà di essere se stesse. Quasi. Si perché nel crescente coinvolgimento sentimentale tra Carol e Therese, matura anche un profondo cambiamento esistenziale, che le porterà a scoprire chi sono e in che cosa credono e ad affermarlo nella società in cui vivono.
Tale racconto è stato sapientemente espresso, oltre che da un’efficace sceneggiatura e regia, anche da una magistrale fotografia. Non soltanto perché realizzata ai massimi livelli sotto il profilo tecnico, ma sopratutto perché risplende nel suo ruolo essenziale: raccontare attraverso le immagini.
Si tratta di una fotografia che non fa semplicemente da cornice alla storia, piuttosto ne diviene parte integrante sia come mezzo espressivo per narrare l’evoluzione interiore di Therese sia come espediente narrativo per esternare quanto le parole non arrivano a dire, manifestando visivamente il percorso emotivo delle protagoniste. Haynes e Lachman scelgono dunque un punto di vista soggettivo, individuandolo nello specifico in Therese e assumendolo in via generale per esprimere il contenuto emotivo della storia.
Therese, giovane fotografa alle prime armi, non sa ancora cosa realmente vuole dalla vita e le sue prime istantanee rappresentano questa sua condizione. Come lei stessa afferma nella conversazione con l’amico Dannie fotografa di tutto, senza avere un’idea precisa. Così pure quando i soggetti sono le persone, il suo approccio si risolve nel rubare uno scatto piuttosto che interagire con chi ha davanti. L’incontro con Carol e l’approfondirsi della relazione con lei determinano una trasformazione interiore che investe anche il suo modo di fotografare, che diventa ora uno sguardo su se stessa e sulle altre persone.È possibile cogliere questa evoluzione osservando i ritratti che rappresentano proprio Carol – eseguiti dal fotografo di scena Wilson Webb – i quali ora evocano l’essenza e la personalità del soggetto, poiché frutto di una partecipazione e interazione con le persone e con l’ambiente assenti nelle fotografie degli inizi. La macchina fotografica di Therese diviene inoltre un ulteriore strumento descrittivo per mostrare Carol attraverso gli occhi di Therese.
Il taglio narrativo spiccatamente psicologico permea dunque l’intero impianto visivo del film. Come ha affermato Lachman, l’intenzione alla base della direzione della fotografia era che le immagini potessero trasmettere la verità psicologica del film. Per arrivare a questo risultato Lachman si è ispirato al lavoro fotografico di Saul Leiter (1923 – 2013), caratterizzato dal frequente uso di filtri reali, come ad esempio i vetri, aventi lo scopo di creare una visione stratificata della scena rappresentata.
Riprendendo questo stile, Edward Lachman è riuscito a tradurre visivamente la psicologia delle protagoniste e i loro stati d’animo. Di fronte alle immagini in cui Carol e Therese appaiono dietro i vetri seminascoste dalla pioggia o dal vapore che li ricopre, lo spettatore è costretto a guardare oltre quello strato per capire cosa sta realmente accadendo. Ecco che allora riesce a scoprire cosa si agita nell’interiorità delle due donne, quali sentimenti stanno provando, per che cosa stanno piangendo o ridendo. Le immagini composte in Carol da Edward Lachman sono così intense ed espressive che in certe scene è come se si percepisse ogni singola vibrazione del tremore, della fragilità e della forza di Carol e Therese nell’affrontare se stesse e la vita a viso aperto.
Significativa è stata inoltre la scelta di girare Carol in analogico con la pellicola Super 16mm. L’accentuata granulosità e la particolare sensibilità di questa pellicola nel catturare la luce conferiscono infatti un ulteriore sfumatura espressiva e profondità che il digitale non sarebbe stato in grado di restituire naturalmente.
Il risultato di questo accurato lavoro è una superba trama visiva dell’intimità delle protagoniste che prosegue, in un accordo perfetto, la narrazione intessuta dalla sceneggiatura e dalla regia.