Il bello dei sindacati è che non capiscono più dove vivono. O forse lo capiscono così bene che non sanno più come fare. Alla Reggia di Caserta, si sono messi tutti insieme, Cgil Cisl e Uil, per scrivere una lettera al ministro dei beni culturali, Dario Franceschini, per protestare contro il nuovo direttore, Mauro Felicori, perché lavora troppo e non s’è preso neppure la briga di avvisarli delle sue perniciose intenzioni.
Con la loro inconfondibile prosa, senza il benché minimo senso del ridicolo, hanno ammonito severamente l’ignaro manager che resta in ufficio ben oltre l’orario da sempre rispettato dai suoi illustri predecessori, che preferivano anzi allontanarsi in anticipo dando così il buon esempio ai loro collaboratori: «Il direttore permane nella struttura fino a tarda ora senza che nessuno abbia comunicato e predisposto il servizio per tale permanenza».
Detto che con tutta la buona volontà nessuno di noi sarebbe mai riuscito a vergare una missiva così chiara e precisa, resta il fatto che sino all’avvento di Mauro Felicori la Reggia aveva ottenuto risultati abbastanza lusinghieri da motivare la presenza e l’utilità dei sindacati, che se no non si capisce bene che cosa ci stiano a fare, visto che dal 2001 al 2014 i visitatori paganti erano scesi da 317.311 a 217.541 con una rimarchevole perdita di introiti e un conseguente aumento di dipendenti, come si conviene a una nostra struttura pubblica.
La fortuna dei sindacati sta nella sua capacità di difendere l’indefendibile e di proteggere soprattutto quella crosta di privilegi che caratterizza la nostra società decadente. Un recente studio appena pubblicato in Inghilterra sostiene che il nostro Paese nel giro di dieci anni scomparirà definitivamente dal novero delle nazioni ricche e industrializzate, rimanendo inglobato nella melma del Terzo mondo, con una discesa a precipizio che sarebbe inspiegabile ai più, se non conoscessero, appunto, la modernità irreale dei nostri sindacati. Basta vedere le reazioni che hanno avuto i vertici di Cgil, Cisl e Uil alla lettera indirizzata a Franceschini, per capire tutta loro splendida ottusità.
La Camusso, che si distingue come sempre per capacità di sintesi, ha detto: «Quando si sbaglia, bisogna dire che si è sbagliato». Come si fa a a darle torto. Molto più determinato l’intervento di Carmelo Barbagallo, segretario generale della Uil, che ha annunciato che «il sindacato procederà alla sospensione di tutti i propri sindacalisti coinvolti». Cioé, nessuno. L’altro grande merito dei sindacati è quello di parlare a vanvera. Bisogna saperlo fare. E loro lo sanno fare.
Per esempio, non si sono mai lamentati che la Reggia di Caserta o le meraviglie di Pompei si rovinassero nell’abbandono, creando scandalo nel mondo, ma hanno saputo alzare la voce alta e forte appena è arrivato uno con il compito dichiarato di sollevare le sorti di una di queste bellezze del nostro patrimonio artistico. A Mauro Felicori avevano chiesto di fare di Caserta la nostra Versailles. Il poveretto, credendo solo nel suo lavoro, aveva pure ottenuto dei risultati, visto che in soli cinque mesi i visitatori erano aumentati del 70 per cento rispetto al febbraio del 2015, e gli incassi erano addirittura saliti del 105 per cento, particolari sui quali i sindacati avevano preferito signorilmente sorvolare.
Felicori per fare tutto questo ha commesso però alcuni errori imperdonabili: si sveglia al mattino presto, è il primo ad arrivare in ufficio e l’ultimo ad andarsene anche quattro ore dopo l’orario previsto, si ferma a lavorare persino nei week end e ha abolito il tradizionale e sacro giorno del riposo del martedì, oltre ad aver deciso che i custodi non potevano più girare per la Reggia in borghese, senza divisa e senza nemmeno un cartellino di riconoscimento. Probabilmente è bastato questo per migliorare la situazione.
Ma ai sindacati, diamine, che gliene frega. Se continua così, questo è capace di far vedere che 250 dipendenti sono pure troppi. Conta lavorare poco, non ottenere risultati. E poi chi minchia è questo Felicori, che fa saltare abitudini consolidate di anni, come quella legge non scritta secondo cui l’impiego pubblico è un posto dove si deve prendere lo stipendio, mica lavorare?
Lui viene da Bologna, manager della cultura per oltre tre decenni al Comune felsineo, chioma brizzolata, sposato, due figlie, ex giornalista in cronaca a «Paese Sera», e docente di gestione dei beni culturali all’Università. ‘Sto disgraziato è uno che ha pure il suo bel curriculum. E allora che cosa ci stanno a fare i sindacati? Quando parla, poi, sembra un alieno, come se non bastasse. Lo accusano di lavorare troppo?
E lui risponde che «è un complimento. C’è tanto da fare qui che mi sento obbligato a lavorare molto». I sindacati? «E’ una situazione surreale. Loro danneggiano i lavoratori. Devono aiutare a risolvere i problemi. Invece, sembra vogliano cogestirli».
Ma il peggio, il poveretto lo dà quando afferma che crede «molto nell’esempio».
Vogliamo scherzare? E i sindacati che cavolo hanno fatto in tutto questo tempo? Vogliamo fare un esempio?