Che cosa troveranno le truppe fedeli al presidente Bashar al Assad quando entreranno a Palmira, se davvero riusciranno a riprendere questa città che è diventata un simbolo dell’odio che l’Isis nutre per l’Occidente e le sue vestigia considerate sacrileghe?
Secondo le ultime notizie, le tribù del regime Baath di Damasco si sono attestate su due colline, a dieci chilometri dalle colonne fumanti di questa capitale dell’antichità, che lo Stato Islamico aveva conquistato a maggio, compiendo da allora barbarie e orrori che aveva avuto la cura di diffondere via video senza vergogna alcuna. Dopo giorni interi di bombardamenti, prima dell’aviazione russa e poi di quella siriana, l’esercito di terra si appresta adesso alla battaglia decisiva.
Comunque vada a finire, niente però potrà ridarci quello che è stato distrutto e cancellato, un pezzo della nostra vita, fatta di storie e di persone che abbiamo lasciato al loro destino, anche quando ci faceva paura. Siamo rimasti impotenti a guardare gli orrori raccontati dai testimoni e dalle immagini, la polvere che saliva dalle macerie dei templi abbattuti e i soldati e civili giustiziati in ginocchio da dei bambini sullo sfondo di quelle rovine, senza che mai una volta trovassimo la forza per ribellarci.
Davvero possiamo dire, come chiedevano alcuni giornali americani, che siamo tutti di Palmira?
La cosa che colpisce di più è che questa meravigliosa città, a duecento chilometri a Nord Est di Damasco, era invece tollerante per antonomasia e ha sempre ospitato nel suo glorioso passato una pluralità di culti religiosi e diverse culture. Si parlava aramaico, ma anche il greco era una lingua ufficiale. D’altro canto la popolazione era appunto aramaica, ma integrata benissimo con gli arabi che venivano dal deserto. La Regina Zenobia, che è stata la sua figura più importante e rappresentativa, e che sognava di mettersi alla guida di tutto l’Impero, proclamandosi «imperatrice dei romani», amava circondarsi di filosofi neoplatonici.
Gli abitanti vestivano con la stessa naturalezza e allo stesso modo le tuniche romane e gli abiti delle tribù nomadi, «perché era una città di frontiera, cosmopolita e tollerante», come spiega Maurice Sartre, storico francese considerato il massimo esperto di Palmira.
Restò così sino al 272 dopo Cristo, quando Zenobia infranse il suo sogno contro l’esercito di Aureliano. Nella città i templi principali erano quattro, e due di questi, quello di Baal e Baalshamin, sono stati distrutti completamente dall’Isis. Ma c’è da dire, come sostiene Maurice Sartre, che solo il 10 o al massimo il 15 per cento di tutto il patrimonio artistico della città è stato oggetto di scavi.
La maggior parte, quindi, è ancora sepolto sotto terra. «Ma dubito lo stesso che possa salvarsi», ha aggiunto lo storico francese.
Quando sono arrivati, i miliziani dello Stato Islamico hanno fatto subito saltare in aria l’arco di trionfo di Palmira, vestigia di epoca romana, risalente ad almeno duemila anni fa. Lo ha raccontato il sovrintendente della antichità siriane, Khaled al Homst, che ha twittato la foto del monumento prima che fosse fatto saltare in aria, indicando con dei segni rossi le parti dell’arco che non esistono più: la sommità centrale e i due archi laterali.
«La loro è un’opera di distruzione totale», ripetono i testimoni. Dopo tre mesi che avevano preso possesso di Palmira, avevano già raso al suolo tre tombe a torre costruite tra il 44 e il 105 dopo Cristo. Prima di agosto, invece, avevano distrutto il tempio di Baal e poi quello di Baalshamin, dedicasto a una divinità assimilabile a Mercurio. E il 19 dello stesso mese avevano decapitato Khaled al Assad, responsabile del sito di Palmira. Khaled aveva 81 anni e i miliaziani gli hanno tagliato il collo in una piazza pubblica. La sua testa è stata appesa a una colonna romana.
Il tempio di Baal, del secondo secolo dopo Cristo, si trovava a poche decine di metri dal teatro romano, dove l’Isis aveva inscenato alcune esecuzioni pubbliche. Lo hanno raccontato alcuni testimoni, in fuga disperata dalla città. Ma c’è anche un video in cui si vedono 25 soldati siriani inginocchiati davanti a dei ragazzini di 13 e 14 anni, che li uccidono con un colpo alla nuca, nella festante cornice dei combattenti dell’Isis in delirio. Niente di tutto questo potremo far ritornare, se e quando le truppe di Assad riusciranno a riprendersi Palmira.
Non so se esistono guerre che sono peggio delle altre, e in ogni caso anche i bombardamenti aerei dei nemici dell’Isis hanno distrutto incuranti le stesse persone umane innocenti e le opere d’arte. Ma ci sono delle cose che conserviamo per ricordarci la grandezza dell’uomo. Non siamo soltanto delle bestie feroci che amano uccidere i propri rivali.
Abbiamo costruito dei templi alla nostra bellezza, delle colonne di pietra e dei monumenti, ma anche delle colline disegnate con le vigne in faccia sui balconi, come potrebbero fare in Paradiso.
Ci fanno così paura da odiarle fino a questo punto?
Abbiamo davvero bisogno di distruggere anche la nostra grandezza per continuare a vivere?