Forse ne fanno una giusta. Sembrerebbe infatti in dirittura d’arrivo l’emendamento che modificherebbe la legge che regola la libera circolazione internazionale di opere d’arte realizzate oltre 50 anni fa e il cui autore non sia vivente, spostando il limite a 70 anni. Naturalmente è iniziato il fuoco di sbarramento dei soliti noti, tutori della ragion cotica, pardon etica, per i quali qualsiasi deroga o modifica di quell’assurdo, burocratico e inefficiente carrozzone regolato dagli uffici delle varie soprintendenze suona come un attentato al patrimonio nazionale. Strilli e schiamazzi propalati dalla consueta troupe di giornalisti embedded dei TUBC (Tutori Unici Del Bene Comune).
Bene, cerchiamo di mettere un po’ d’ordine. A parte il fatto che non si vede quale genere di depauperamento nazionale può rappresentare il fatto che opere d’arte moderna circolino per il mondo, magari incrementandosi di prestigio e di valore, come evidenziato dal successo delle Italian Sale, reso possibile dalle grandi case d’asta internazionali e non certo dalle nostre inesistenti istituzioni.
Certo che per i fan dello status quo è motivo di grande orgoglio vedere le opere di Morandi a Casalecchio am Rhein piuttosto che in qualche blasonata galleria sparsa per il globo! Ma, in fondo, non è neanche questo il vero motivo del contendere, cinquanta o settant’anni, è tutto l’ambaradan che è assurdo.
Once upon a time… dovete sapere che un qualsiasi sventurato gallerista, mercante, libre citoyen, abbia la disgraziata necessità di esportare un opera d’arte e, da recente disposizione financo libri e grafiche, deve recarsi con il capello in mano negli uffici competenti, per esempio a Milano, presso la soprintendenza di Brera, aperta due, diconsi due, mattine alla settimana. Ora, ammesso e non concesso, che riusciate ad espletare la pratica e non siate rimbalzati alla settimana successiva, sempre non vi siano festività incombenti, il vostro papello verrà “gentilmente” archiviato e sarete richiamati entro quaranta, ridiconsi quaranta, giorni che però possono diventare anche sessanta/ottanta! Questo per quel che concerne le opere “sotto tutela”.
Ah, dimenticavo, per tutte le opere e i manufatti, tranne quelli concernenti il contemporaneo, vale la regola della notifica, vale a dire che lo Stato si riserva di esercitare il diritto di prelazione su un ipotetico acquisto, diritto che si guarda bene dall’esercitare, condannandovi però al vincolo di trattenere la stessa sul patrio suolo, procurando un evidente danno economico al mal capitato esportatore. Ora l’istituto della notifica non è una prerogativa tutta italiana. Esiste per esempio anche in Francia, ma lì lo Stato entro sessanta giorni o compra a valore di mercato o l’opera può tranquillamente prendere il volo.
Per quel che concerne il contemporary il supplizio è appena più lieve. Serve infatti un autocertificazione da depositare, sarete richiamati… la normativa vale anche per le grafiche e per autori non italiani, gulp, e pure in caso di esportazione a fini espositivi. Ecco, ditemi voi, come un disgraziato gallerista possa sopravvivere in un sì fatto contesto, contemporaneamente vessato fino all’inverosimile nei patri confini e impossibilitato ad affacciarsi al mercato internazionale. Praticamente condannato agli arresti domiciliari. Fantastico questo Stato che pretende la Decima su ogni nostro respiro e ci relega alla marginalità più assoluta, costringendo di fatto i più organizzati e facoltosi a spendere danari che, anziché circolare sul suolo patrio, vanno a gonfiare i forzieri stranieri. Tombola, chapeau!
Tutto ciò per quel che concerne il modern and contemporary. La parte più delicata è ovviamente riservata all’antico, essendo notoriamente il nostro paese un’immenso deposito di Bellezze. È chiaro che un meccanismo di tutela vada organizzato, possibilmente però tenendo conto che le opere che non rivestono un rilevante interesse possano e debbano liberamente circolare. Infatti le nuove disposizioni, sempre che siano approvate, prevederebbero un meccanismo di autocertificazione relativo al valore delle opere in questione. Ovviamente è lì che potrebbe nascondersi il veleno che può sgretolare le severe maglie dell’occhiuto Stato, ed è lì che si concentra la polemica del TUBC. Fermo restando che la legge è perfettibile, non ricordo nessuna alzata di scudi dei Sapientoni riguardo ad esportazioni che, eufemisticamente, una qualche a neperplessità la suscitano, tipo la splendida Danae di Orazio Gentileschi o il grandioso nudo di Modì recentemente esitati con grande successo nelle aste newyorkesi.
Sarebbe curioso sapere chi, come, quando e con quali criteri sono stati concessi i nulla osta per le esportazioni.
Silenzio.
Tutto e tutti, tranne Vittorio Sgarbi, tacciono.
E che dire poi del sacco della Biblioteca Girolamini di Napoli, scrigno di incunaboli di incalcolabile valore? Qualcuno di voi, che non sia un attentissimo osservatore di fatti d’arte, ne ha sentito parlare? Che so, in televisione o nei paginoni culturali dei vari magazine? Non fatevi ingannare dal fatto che si trattava di libri. È come se avessero svaligiato gli Uffizi per quanto erano preziosi e rari quei volumi.
Infine stupisce che i difensori della ragion etica qualche volta inciampino in cadute di stile tipo organizzare roboanti esposizioni, profumatamente retribuite, con opere provenienti da istituzioni pubbliche presso facoltosi committenti privati.
Ecco riassunto per sommi capi il groviglio burocratico-istituzional-moralistico che presiede i destini delle Belle Arti.
Concludendo, come dicevano i latini, quis custodiet ipsos custodes? Mah…
Se l’intento di questo articolo è informare su come opprima, la perniciosa pratica della tutela dello Stato (dicasi anche notifica), la circolazione delle opere d’arte italiane nel resto del globo, c’è un poco di caos, dovuto senz’altro alla legittima rabbia per la nostra arte costretta, vilipesa, oggetto di scambi sottotraccia e quindi portatori di ulteriori arbìtri, truffe e affini.
Gli scambi sottotraccia (non ufficiali) sono effettuati ormai per la gran parte della nostra arte, per colpa di mercanti che certo devono campare, ma spesso sono essi stessi complici di quell’ampio giro di falsi che ci rende lo zimbello del settore così come i primi responsabili dell’affossamento delle nostre grandi firme. Non è raro che i mercanti siano i primi beneficiati di questa ignobile farsa.
Di certo non si capisce perché un provvedimento simile che dovrebbe tutelare il grnade patrimonio del passato riesca invece (e molto di più) a bloccare la sana e necessaria circolazione di quelle del presente (o del passato recentissimo), talché fra una manciata di respiri anche i Castellani saranno fuori gioco e cominceranno a non vedersi più nelle fantomatiche Italian Sale (tranne quegli esemplari che prudentemente sono già fuori confine).
E’ incomprensibile su quale categoria dello spirito i brutali escussori (perché tali sembrano essere) pubblici pongano le basi del loro credo.
Per quale motivo un’opera di Fontana o Morandi ma anche Carrà, Sironi o Casorati (certo, anche loro meriterebbero una ribalta internazionale) dovrebbe rimanere costretta entro i confini di uno staterello, con balzelli (che varrebbe la pena descrivere in modo forse meno colorito ma più preciso per rendere ben conto della perversione del sistema impositivo) tali che sarebbero stati irrazionali nel Medioevo?
Perché un nostro Maestro del Novecento non può uscire dall’Italia e deve essere costretto a rimanervi in un tragico gioco di indifferenze della cultura ufficiale per cui, mentre si digrignano i denti contro la sua circolazione, si è del tutto impassibili di fronte alla sua inevitabile scomparsa (benché schedatissima e ufficialissima)?
Nell’articolo si dimentica poi la posizione, la più difficile di tutte, del proprietario di tali opere notificate, vessato in qualsiasi occasione. Il malcapitato che ha subito per un bene di sua proprietà (perché di questo si tratta, alla fine) il regime della notifica deve registrarne la posizione presso la Sovrintendenza di riferimento e il Ministero, deve comunicarne ogni suo spostamento anche solo di pochi metri all’interno della stessa città di residenza, per recarsi, ad esempio, presso un restauratore o da un corniciaio. Ogni viaggio relativo a prestiti per mostre temporanee è soggetto alle pratiche oltraggiose di cui sopra, per cui, il proprietario è sempre considerato come fosse il ladro di un bene collettivo. La stessa conservazione dell’opera è soggetta a innumeri verifiche, attenzioni, imposizioni di parte pubblica. Per non parlare del sito dove viene conservata, il più delle volte casa propria, che dovrebbe avere (che lo si possa o meno) le caratteristiche conservative di un Museo. Il tutto per il nulla. Perché, poi, l’interesse nei confronti di quella specifica opera d’arte si esaurisce nel giro frenetico ma anche lentissimo di quei burocrati che attraverso questo abominevole sport costruiscono una carriera.
Infatti, si provi a proporre un’opera notificata in deposito a qualche museo pubblico: a malapena si avrà udienza per sentirsi dire che non c’è spazio, non c’è posto, non è affine alla propria collezione, non si può garantirne l’esposizione, non ci sono risorse (forse l’unico plausibile motivo per rifiutare).
Ma se non la si vuole, perché non la si lascia?
Alla vendita, infatti, apriti cielo! Nel caso il proprietario avesse necessità di alienare l’opera la comunicazione avverrà tempestiva agli uffici ministeriali affinché lo Stato si prenda il disturbo di non rispondere perché quasi mai (se non mai) acquista. Ma di fatto dimezza con la scure della perniciosa registrazione ufficiale anche le possibili offerte del mercato, che – come tutti sanno – per le opere notificate è debole e maldisposto. Fra l’altro, già si sono dimezzati i potenziali interessati all’acquisto avendo eliminato in primis coloro i quali pensano di costruire una collezione internazionale che legittimamente circoli nel mondo tutto (e quindi che si vada anche in Cina, perdiana! perché un Modigliani – aldilà di come vi sia andato – non dovrebbe poter entrare in un Museo cinese? se veniamo conosciuti attraverso il nostro passaporto migliore, saremo anche più rispettati e ci sarà una più profonda attenzione verso di noi e la nostra cultura).
Pertanto anche dal punto di vista economico, la tutela si presenta come un’illegittima intromissione nel sistema che si vorrebbe ancora dire liberista degli scambi.
Infine, poiché di fatto e giustamente si lamenta la nulla libertà di circolazione di prodotti dell’ingegno che dovrebbero per loro stessa natura non patire alcun muro (e di questo muro non parla nessuno, perché la questione è scomoda, politicamente scorretta e di certo non porta alcun voto), in che mai dovrebbe cambiare questo tristissimo quadro lo spostare la possibilità notifica di solo venti anni? Un classico, ridicolo, rimedio all’italiana architettato per tappare un piccolo buco a fronte di una voragine che si sta aprendo un palmo più in là, per far passare nelle maglie qualche tela o qualche scultura prima che le stesse maglie si stringono sempre insopportabilmente e inesorabilmente.
Del problema ci si rende conto solo da poco: negli anni ’60 e ’70, quando il collezionismo della nostra arte del Novecento era in pieno fervore, non si capiva che la mannaia della notifica avrebbe decimato di lì a poco le fila dei nostri artisti migliori e li avrebbe resi dei reietti e quindi sconosciuti all’estero. Solo dallo scoccare del millennio ci si comincia a stupire del fatto che di Morandi (tutti) e De Chirico (quelli buoni, non le patacche, sia chiaro) non c’è quasi ombra nelle aste pubbliche (ovvero le uniche che garantiscono il passaggio di mano e quindi la tracciabilità delle provenienze). Che l’arte della prima parte del secolo breve è stata cancellata dalle vendite pubbliche e che questo è, in assoluto e alla faccia delle anime belle, il male peggiore di tutti, perché è nell’ombra che si compiono i delitti più efferati.
Senza la conoscenza diffusa, e non solo nel nostro miserabile orticello, della nostra arte del Novecento, senza l’educazione internazionale ai nostri grandi artisti, che sono in più di una occasione ben migliori dei colleghi coevi europei o americani, il pubblico internazionale non sarà invogliato a conoscere la nostra arte contemporanea. Senza capire quale filo rosso congiunge le generazioni passate a quelle presenti (perché esiste ed è ben chiaro a chi lo sa o lo vuole leggere) nessuno sarà in grado di decifrare le nostre giovani leve dell’arte.
Senza conoscenza e rispetto delle nostre radici (anche quelle di superficie, anche quelle più vicine a noi) non c’è modo di far rispettare l’arte di questi ultimi venti anni, che – non casualmente – veleggia a vista, priva com’è di movimenti teorici, priva di costruttori, priva di critici ma abbondante di faccendieri poco o tanto abili alla vendita senza progetto.
I burocrati che tarpano le ali della nostra arte recente provocano l’affossamento di quella contemporanea.
Quante volte in queste pagine ne abbiamo parlato?
Ma certo, però, mettere in un solo cesto la notifica che è pur sempre un provvedimento legale dello Stato con gli abusi delinquenziali perpetrati nella Biblioteca dei Girolamini e le gesta non proprio in linea con il proprio dictat di un archeologo di prima punta, benché comprensibile perché la collera avanza, non aiuta a far chiarezza.