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Il futuro? In mostra a Milano. Ritorni al Futuro nel segno di Attali

Questa volta non sono Doc e McFly i protagonisti di un Ritorno al Futuro ma dipinti, sculture, foto, video, installazioni. Oltre 50 opere d’arte contemporanea di 46 grandi nomi di fama internazionale che con la mostra Ritorni al Futuro si propongo di indagare il nostro futuro in una esposizione ispirata al saggio Breve storia del futuro’ di Jacques Attali (pubblicato nel 2006 e rieditato nel 2016 da Fazi Editore, aggiornato ai nuovi scenari globali).

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La mostra, allestita nelle sale di Palazzo Reale dal 23 marzo al 29 maggio e curata da Pierre-Yves Desaive e Jennifer Beauloye, presenta attraverso una selezione di opere il modo in cui gli artisti contemporanei osservano il presente per condurre una riflessione sul futuro così come esso si delinea ai nostri occhi.

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Conflitti globali, mutazioni genetiche, diseguaglianze sociale ed economiche, sfruttamento delle risorse naturali compongono il complesso panorama dei prossimi decenni; gli artisti di ‘’2050’’ interpretano queste tematiche complesse e invitano a ri-pensare il tempo che verrà con visioni anche costruttive e talvolta ironiche.

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In collaborazione con i Musées Royaux des Beaux-Arts de Belgique a Bruxelles dove il progetto ha preso vita con una doppia esposizione (Musées Royaux – Louvre) terminata a gennaio 2016, si inserisce nel palinsesto di eventi di ‘Ritorni al futuro’, il programma culturale pensato per la primavera 2016 dal Comune di Milano che propone oltre cento appuntamenti tra mostre, concerti, spettacoli teatrali, proiezioni cinematografiche e incontri, con l’obiettivo di portare al centro della riflessione pubblica l’idea di futuro che abbiamo oggi, confrontandola con quelle che hanno abitato il pensiero creativo in altre stagioni della storia.

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“In questa mostra si intersecano molte delle direttrici che contribuiscono a definire l’identità culturale di una comunità, di un periodo storico, di uno ‘spazio sociale’ omogeneo : il pensiero critico, la scrittura, la riflessione sul presente, i tanti linguaggi dell’espressione visuale, le preoccupazione per il futuro, l’analisi sociale, la proposta politica intesa in senso ‘puro’, la creatività usata come strumento per superare, o anche semplicemente contrastare, un’attualità che turba, il tentativo dare una spallata a una direzione potenzialmente pericolosa della realtà. Una mostra che interpreta inquietudini e timori e al tempo stesso svela soluzioni. Proprio come il lavoro di Jacques Attali, al cui pensiero attento e preoccupato siamo tutti riconoscenti perché, come l’arte, ci aiuta ad interpretare il presente per disegnare meglio il futuro”.

(Filippo Del Corno, Assessore alla Cultura)

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Il percorso della mostra, diviso in 8 sezioni, è articolato intorno a diversi nuclei, liberamente ispirati agli interrogativi sviluppati nel saggio di Attali. Tutto ha inizio negli anni Ottanta a Los Angeles (evocata nei lavori di Chris Burden, Edward Burtynsky, Edward Ruscha, Tracey Snelling…), la città natale del microprocessore che, in arte, ha ispirato le sperimentazioni con il computer di Charles Csuri e Masao Kohmura. Al fermento della modernità della Silicon Valley, al consumismo e al capitalismo segue poi il declino dell’Impero americano, identificato in mostra con gli attentati dell’11 settembre 2001 nelle immagini di Wolfgang Staehle e Hiroshi Sugimoto; la tragica vicenda segna uno sconvolgimento politico su scala planetaria di cui ci parlano i lavori di Mark Napier, Alighiero Boetti, Mona Hatoum.

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Fil rouge dell’esposizione la visione “catastrofica” del mondo odierno proposta da Jacques Attali che descrive questa fase storica come il momento centrale dell’avvento di un “iperimpero” nel quale le diseguaglianze economiche diventano la norma. Qui anche il tempo diventa merce e il corpo umano si trasforma per incontrare la macchina e si confronta con molteplici calamità: sovraconsumo (John Isaacs), sovrapopolazione (Michael Wolf, Yang Yongliang) e sovrasfruttamento delle risorse naturali e inquinamento (Olga Kisseleva, Robert Mundt). Quando le tensioni nate da tali disequilibri diventano insostenibili, sopraggiunge l’“iperconflitto”, sempre nel pensiero di Attali, agevolato da un crescente accesso alle armi di distruzione di massa (Gregory Green) e sostenuto da ideologie religiose distorte (Al Farrow).

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A fianco di questa visione catastrofica, l’esposizione propone anche opere che fanno eco alla “iperdemocrazia” definita da Jacques Attali, la quinta ondata del futuro che potrebbe sfociare in un mondo migliore, così come lo evocano i lavori di Bodys Isek Kingelez, Mark Titchner, Gonçalo Mabunda, Jean Katembayi Mukendi o il progetto Little Sun

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