Luisa Terminiello fotografa o artista?
Se mi avvicino ad una persona e alla sua totalità fermando di questa un’immagine;
se questo restituisce al soggetto e all’estraneo un’immagine nitida nella sua ambiguità;
se il mio immaginario ha bisogno di essere riprodotto e la fotografia è il mio strumento per farlo;
se l’immaginario stesso non è di fantasia ma composto da quotidiano, da un continuo assorbimento, di visto, di parlato, di non detto;
se il mio benessere ad oggi è vivo di questa ricerca;
se trovo nella fotografia la continua rivelazione di un percorso intimo e di relazione;
se non posso fare a meno di tentare di restituire al prossimo un’emozione;
e se infine vivo tutto questo come un gioco, un gioco serio
sono un fotografo, un artista o un folle con metodo?
Quando ha intrapreso la ricerca fotografica che sente più aderente al sé e perché.
Nel 2013, assente da una progettualità, se non l’inseguimento stesso dell’immagine, ero fermamente intenzionata a ritrarre i miei fratelli. Ci riuscii, non approssimai, ed ebbi il ritratto che cercavo. Fotografie per cui non ho parole.
Da lì inseguii altri legami, che fossero di sangue o di complicità non era importante. Di questa ricerca mi resi poi conto, nell’arco dell’anno che seguì, di avere con me un diario di ritratti duali, legami di libera intensità, ne feci così una cernita e nacque “KIDS”.
Data la continua ricerca che intrattengo con i legami non ho mai pensato di aver terminato quell’esperienza, ma “KIDS” oggi trova una sua fermezza e una sua identità nei futuri uomini e future donne che ci sono dentro.
La sua poetica è nella dualità?
La poesia fortunatamente non ha forma circoscritta. Ne siamo portatori sani.
La dualità non è altro che il mio “metodo di scrittura”. Se c’è chi scrive usando rime baciate, io mi ritrovo nelle dualità, oggi.
Cos’è dualità nel tempo che sta vivendo.
Duale è il tempo in cui mi ritrovo, paradossi, dove regna il gesto e non c’è memoria, dove la poesia si trova affiancata alla superficialità. Dove si accendono dignità e amor proprio vengono malmenati dall’istituzione presente nelle sue mancanze.
Il tempo in cui leggo nel quotidiano, in mio fratello qualcosa di antico come la bellezza, e veloce e devastante come il progresso incurante.
Duale è il mio ‘’metodo di scrittura’’, due elementi per darne vita ad un terzo che non violi i singoli e che dia loro respiro.
Se duale è questo tempo, ce ne vorrebbe un terzo per respirare.
I suoi scatti nascono sempre da un’assenza di progettualità e la ricerca di un’immagine? Qual è l’immagine che lei ricerca.
Se l’esigenza di una ricerca alimentata da un’ossessione si chiama progetto, allora sono ricca di progetti quotidiani.
L’immagine che cerco è quella non approssimativa del visto.
Come chi usa parole per scrivere il proprio vissuto, io uso l’immagine che riconosco, un’immagine che non menta.
Quali sono le ricerche fotografiche che ha intrapreso o concluso fino ad oggi, oltre “Kids”.
La più recente, una ricerca avviata nel 2014 all’interno del Museo Archeologico di Napoli, dove su invito del Servizio Educativo ho avuto la possibilità di “studiare” il Museo e il suo contenuto.
Così nasce “Osmosi”, la parola scelta che allineerà al termine della mia ricerca, le composizioni che prendono vita tramite modelli e statue, corpi caldi e corpi freddi: due identità che si confondono senza alterarsi, ecco cosa succede in Osmosi.
Parallelo a questo racconto, all’interno del percorso museale, una volta terminato e assorbito portai l’immaginario a casa, e lì costruii altre dualità, riferite al mito in questo caso, un mito denudato dalla formalità iconografica, ma non alterato anch’esso della sua identità, qui le ali di Icaro diventano un soffione, l’acqua dove Narciso sceglie di annegare, un vetro sottile quanto pesante, trovando vita nei corpi che mi circondano.
Antecedente e ancora in corso, una ricerca senza titolo, che mi porta ad entrare nelle case ma tramite le finestre mal oscurate.
Ed in primis, il mio studio primario, l’autoritratto, il mezzo scelto inconsciamente da sempre per studiarmi, e sorprendermi.
Dove ha studiato fotografia e quanto peso questa esperienza ha avuto sullo sviluppo del suo linguaggio fotografico.
Autodidatta, la mia formazione è partita e continua in questa direzione.
Pellicola? Digitale? Perché.
Digitale, trovo che sia l’approccio più onesto e contemporaneo del tempo in cui vivo.
La fotografia è l’espressione dell’animo. La poetica fatta linguaggio. Quanto pesa in questo la tecnica?
La tecnica è un mezzo, come conoscere l’alfabeto, una volta appreso però nasce l’esigenza di scegliere quali lettere usare, e quali invece sono lontane.
Ecco la tecnica è fondamentale per essere liberi di poterne fare a meno.