La foresta dei sogni, il nuovo film di Gus Van Sant in sala dal 28 aprile, ma stavolta qualcosa è andato storto.
«Chi vedrà il raggio verde potrà leggere con chiarezza nel proprio cuore e in quello degli altri, non sarà più vittima di inganni e (dis)illusioni: chi vedrà il raggio verde realizzerà i propri desideri».
Il raggio verde (Le Rayon vert), Jules Verne
Presentato nel 2015 al Festival di Cannes, La Foresta dei Sogni – The Sea of Trees, è l’ultimo film di Gus Van Sant, il cineasta americano di Will Hunting – Genio ribelle e Milk.
Gus Van Sant nel corso della sua carriera ha sempre saputo muoversi in maniera magistrale (forse furba, a volte) tra cinema indipendente e cinema patinato. In fasi alterne è stato premiato sia dagli Oscar e che da Cannes. Palma d’oro a Cannes nel 2003 per Elephant (il suo capolavoro). Da Milk in poi però qualcosa ha iniziato ad andare storto.
La Foresta dei Sogni si muove a tentoni su una sceneggiatura stentata: un colpo di scena telefonato e un finale che anela alla poesia – sfiorandola solamente. Il protagonista, Matthew McConaughey, si reca in Giappone, nell’Aokigahara – conosciuta come “foresta dei suicidi“; ha perso la moglie, Naomi Watts, e vuole porre fine alla sua esistenza. Qui però incontra un’anima persa, un uomo giapponese che non riesce più a trovare la strada per uscire dalla foresta. La foresta sembra come un labirinto che li intrappola e il ritorno alla vita diventa un viaggio di espiazione che si intreccia al passato. Nonostante l’ottimo cast e un regista di tutto rispetto siamo ben lontani dai fasti di Da Morire o Belli e Dannati, ma anche da Scoprendo Forrester, patinato ma appassionato, o da Psycho, discusso ma amorevolmente filologico. Prosegue invece l’incertezza confermata con Promised Land.
>> La Foresta dei Sogni è un pastiche cinematografico che ha in sé una volontà di redenzione, ma che si perde in una foresta di qualunquismi: dalla coppia borghese in crisi all’idea di un Oriente spirituale e salvifico; la natura pacificatoria e rivelatrice cantata magnificamente da Rohmer fa qui solo da contorno e cornice a una sterile dissertazione sul tema della redenzione, del perdono e dell’amore. Il raggio verde non s’è visto.
Si vociferava di un live action di Death Note diretto proprio da Gus Van Sant, il progetto è tutt’ora in produzione ma il suo nome non compare più. Peccato. In un progetto, sulla carta, così sgangherato non potevamo che vedere la giusta strada per la sua rinascita. La via della senescenza appare invece inesorabile: una foresta senza uscita?