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Le due anime di Prince

Prince
Prince è morto a 57 anni il 21 aprile 2016

 

 

La ragazza ha meno di vent’anni. «Ho letto che hai conosciuto Prince». Sì. «Com’era?».  Sembrava una virgola, un capriccio. Sul palco era tutto questo in una bolla di musica. E’ confusa. Vorrebbe sentirsi dire che è stato un genio. Preferisco dirle che faceva ballare, che il ritmo era una corrente sotterranea, un’impennata. «Ho ascoltato “Purple Rain” e “Kiss”, doveva essere divertente». No. Non lo era. Era di più. Ti spiazzava. Se non andavi con il suo passo, ti perdevi. Smarrivi la strada. Ora è tutto scontato: le lacrime, le canzoni in coro, il funerale jazz a New Orleans, il viola che ammaina gli altri colori d’America. Ma non è sempre stato così romantico.

«Era contro le case discografiche e Internet…» dice perplessa ma fiduciosa. Mi chiedo come lo abbia scoperto. E’ stato scritto, in questi giorni, ma è stata una battaglia furiosa, una guerra dei trent’anni. Impossibile saperne le sfumature. A meno di non aver frequentato quell’ambiente. Prince non piaceva ai conservatori per le storie di sesso spregiudicate, quanto realiste. Era sopportato dal business perché pretendeva il controllo totale della sua musica. “Purple Rain”, inteso anche come film, è stato molto più lacerante sullo scontro padri-figli delle crociate di Madonna. Ed era un visionario. Credeva nel moltiplicare il gesto creativo. Suonava e registrava a qualsiasi ora del giorno. Negli archivi di Paisley Park c’è un tesoro in inediti che vale almeno trenta nuovi album. E anche un bel problema di diritti perché, almeno sino a un certo punto, la Warner Bros è stata in prima linea nel contenere l’ego e i proclami di libertà dell’artista.

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A questo punto, abbiamo, come succede spesso per le morti eccellenti, due Prince: uno è quello adorato dalla gente comune, basta guardare la sua apparizione nell’half show del Superbowl, 2007, a Miami. Pioveva, Prince aveva fatto disegnare come palco la sua chitarra-croce-gioiello e al momento di “Purple Rain” tutto lo stadio era esploso in un coro finale da brividi. Ovviamente bagnato e indimenticabile. La ragazza tenta l’affondo, ma è timida. C’è qualcosa che le sfugge in questa storia: «Fu davvero così commovente?» Sì, perché Prince fu il primo a sentire che quella serata sarebbe stata memorabile. Controluce la pioggia sembrava stelle filanti argentate, quando cominciò l’assolo la sua ombra venne proiettata su un velo gigantesco che volteggiava verso il cielo, poi chiese ripetutamente al pubblico di cantare con lui. Così nascono le leggende.

LOS ANGELES, CA - JUNE 27:  Musician Prince performs onstage at the 2006 BET Awards at the Shrine Auditorium on June 27, 2006 in Los Angeles, California.  (Photo by Frazer Harrison/Getty Images)
(Photo by Frazer Harrison/Getty Images)

L’altro Prince è l’enigma. Androgino, ma circondato da donne bellissime. Piccino ma sensuale. Sfrontato e carnale, ma solo. A Minneapolis lo sceriffo Jim Olson, che conduce le indagini sulla morte, ha detto qualcosa che fa riflettere: «Per voi Roger Nelson Prince era una celebrità, per noi un buon vicino. E’ sempre stato un uomo riservato e noi vogliamo continuare a rispettarne privacy e dignità». Non è una linea di difesa preventiva, visto che i risultati dell’autopsia saranno pronti fra almeno dieci giorni e le voci di un crollo dopo l’overdose di oppiacei, una settimana prima, hanno dato il via alle speculazioni più disparate. E’ proprio un modo di intendere quello che Prince ha fatto per una città e un territorio mai troppo considerati nelle priorità americane.

Una volta, a Montreux, ha fatto letteralmente impazzire il pubblico, pompando funky dall’inizio alla fine. Una signora chic, affascinata ma confusa, mi chiese: «Questo è Prince? Nemmeno una ballata, una canzone di successo?». Nel frastuono, cercai di spiegarle che il concerto era appena a metà e che l’uomo non seguiva mai la strada più facile. Sorrise incerta, ma grata.

Gli avevo fatto scoprire una artista che non conosceva. Non quello per cui aveva pagato il biglietto.
E da quel momento si limitò a ballare. Senza dire più una parola.

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