Giulia Fassina è nata a Padova. Durante l’università ha documentato e seguito alcuni allestimenti in concomitanza della Biennale di Venezia. E’ stata fotografa di scena su set cinematografici, sia a Londra che in Italia, e poi a Los Angeles, dove ha lavorato al fianco dell’attore James Franco. Si occupa della gestione e realizzazione di progetti video per lo Studio De Sandre di Padova.
Quale percorso l’ha fatta diventare fotografa
Se dovessi trovare un inizio a tutto, tornerei indietro a quando, verso i 13 anni, ho iniziato a collezionare immagini. Le ritagliavo da un mensile cinematografico. Il cinema da quel momento ha sempre accompagnato il mio percorso di crescita visiva, fino a diventare, in età più matura, un accurato archivio di fotogrammi, dei molti film che ho guardato, e che tutt’ora continuo ad arricchire.
Non me ne sono accorta subito, ma inquadrature, luci e scelte cromatiche dei diversi direttori della fotografia sono diventate così lezioni preziosissime che ho capito essere state fondamentali per il mio bagaglio visivo solo una volta iniziato a fotografare.
Il corso di laurea triennale in Arti visive a Venezia mi ha fornito poi gli strumenti necessari per maturare un pensiero e una ricerca artistica personale, che negli anni ho imparato a consolidare ed esprimere attraverso la fotografia.
Perché ha scelto la fotografia come media attraverso cui esprimersi
In realtà non ho avuto modo di scegliere. E’ successo quando ho capito che nelle prime foto scattate agli amici, durante le gite o le vacanze, c’era qualcosa di più di una semplice foto ricordo. Questi scatti erano come appunti sulla quotidianità, sulle luci e sul mondo che ci circonda. Da quel momento non ho più potuto fare a meno di “scrivere”, avendo trovato la mia carta e la mia penna.
Che cos’è per lei la fotografia?
Credo sia un riflesso della realtà e di noi stessi allo stesso tempo.
“Tu metti nella fotografia tutte le immagini che hai visto, i libri che hai letto, la musica che hai sentito e le persone che hai amato”. Mi piace pensare a queste parole di Ansel Adams, nel cercare di spiegare cos’è per me la fotografia.
So per certo che è il mio modo di ritrarre ed indagare ciò che mi circonda quando si presenta ai miei occhi con caratteristiche che credo sia giusto fermare nel tempo, in quanto uniche e irripetibili. In quell’istante lo scatto diviene naturale, perché sono consapevole di non poterne fare a meno. Questa mia ricerca fotografica porta poi ad alimentare un mio continuo desiderio di scoperta, di viaggio, e di costante curiosità verso il mondo.
Quali sono le ricerche cui dedica il suo tempo
La letteratura, rappresenta un prolungamento degli occhi, in quanto dove non posso arrivare con lo sguardo, so che posso raggiungerlo attraverso le parole. E l’immaginazione, a differenza di guardare un film o un’immagine reale già esistente, ti regala la possibilità di creartela da s’è, nella tua testa, da zero, decidendo sfumature, luci, contrasti e tutto ciò che li circonda. Da qualche anno mi piace leggere autori americani come London e Kerouac.
Entrambi hanno dedicato al viaggio gran parte della loro vita, ed il viaggio è sviluppato nella loro produzione attraverso il rapporto uomo-natura (London) e quello uomo-spazio (Kerouac), quest’ultimo inteso come un vagare continuo all’interno di territori infiniti, quali gli spazi americani.
Ecco perché per me esiste un fondamentale rapporto tra letteratura e fotografia, che sto cercando di sviluppare ed indagare attraverso alcuni progetti fotografici a cui sto lavorando, nei quali il sentimento di “wanderlust”, da sempre ritrovato nelle pagine di questi scrittori, e più in generale nella letteratura di viaggio, è diventato oggetto principale delle mie ricerche.
Oltre questo, cerco di spaziare in più campi possibili, ricercando nuovi stimoli e ispirazioni attraverso musica, arte, cinema e documentari. Ho poi iniziato da poco a stampare i miei scatti in camera oscura, e sto tutt’ora sperimentando le diverse possibilità che offre.
Con quale tecnica fotografa e qual è la macchina fotografica cui è più affezionata?
Prediligo l’analogico al digitale, credo che l’osservazione e l’attenzione che impone la pellicola, nella frazione di secondi in cui componi lo scatto, mi avvicina ancora di più al soggetto a cui sono di fronte.
Sono legata ad una Fujica AX-3 degli anni ’80, ereditata da mia madre. La considero la macchina con cui ho imparato a fotografare. Essendo a pellicola, non potendo vedere subito lo scatto, ho imparato molto più velocemente a ragionare sui meccanismi della fotografia.
Oggi uso una Canon AX-1 per lavorare in analogico e una Canon 5D Mark II (digitale).
Mi racconti delle sue esposizioni e del suo lavoro
Ho partecipato a diverse esposizioni collettive in ambito universitario.
Considero significativa, la personale “American Wanderlust”, che racconta gli Stati Uniti attraverso i miei occhi. La mostra curata da Giovanni Paolin e Andrea Buttazzi, raccoglieva 39 scatti riproponendo l’intero percorso attraverso gli Stati Uniti, da Est a Ovest, e poi Sud. Le foto ritraggono il passaggio dalla città (Est) alla natura (Ovest-Sud) e la progressiva riduzione della presenza umana, che di fronte ai grandi spazi americani occidentali tendeva a rimpicciolirsi. Alcune frasi tratte da diversi romanzi dei miei scrittori preferiti, spaziavano lungo le pareti come parte integrante dell’allestimento. Nei 20.000 km percorsi attraverso il paese, spesso ho toccato luoghi conosciuti prima solo attraverso i loro racconti.