Un’anima che passa di mano in viso. Un sorriso concesso ad una maschera crepata dal passato. Affondano e affiorano soffi di vita dalle morbide geometrie di Lio (Pietrasanta, 1987), semi reticolati da cui ogni “cosa” può nascere. Come la nuova personale in terra castigliana. Valladolid svela le sue trame al Centro d’Arte regionale CEARCAL con Expiración all’ombra e alla luce del concetto di anima. Diciassette Respiri avvolti nella serenità di toni celesti come nella tragedia dipinta in scala di marroni.
Una pittura che illumina solcando le geometrie precolombiane -marchio di fabbrica dell’artista-, navigando nelle pieghe della figurazione più esplicita. Nelle ragnatele impresse su iuta grezza e nelle venature del legno prendono vita fecondi dialoghi tra il volto e le mani. Dialettiche tra fonti energetiche frutto di incroci e riflessi col taglio degli sguardi e le fessure nei petti. Tutto nel segno del decorativismo reticolato: labirinti che creano fondi intricati che penetrano nella pellicola dei soggetti e nei tessuti delle vesti e dei visi scavati o ricamati nella linea. Mani e volti saturi del quid vitale da cui ha origine l’opera. Concentrata in esse, spandibile nelle vesti, nella pelle e nei corpi, per fluire nelle chiome e perdersi nei segni labirintici che inquadrano le figure. Una pittura decisa quanto delicata, frutto di una tecnica affinata tra Sudamerica e Stati Uniti, durante il lungo peregrinare alla ricerca di una fonte, poetica ed artistica. Risultato chiaro e godibile in mostra: una miscela matura che ad una formazione “classica” europea, aggiunge una dose di street art statunitense, presente fin dagli esordi milanesi, per definirsi nell’intrigo geometrico di stampo greco-azteco e nei sinistri calaveras messicani. Giorni dei Morti affogati nel colore e incisi su iuta e sul legno. Iconografie intrise di sacro nelle quali una maniacale ricerca del dettaglio e una poetica intimista conferisce una luce dolce e lirica.
Lio. Da Milano a Madrid. Chi sei? Cos’è Madrid?
Lio è un modo di pensare e di vedere le cose in maniera diversa, artisticamente parlando. Venni a Madrid tre anni fa per vacanza e rimasi incantato dai colori e dal calore che trasmetteva la città. Cosi l’anno dopo, nel 2014, decisi di trasferirmi e provare a vivere questa città. Non dipinsi molto all’inizio della mia “nuova” vita. Nel primo periodo di ambientazione ebbi la fortuna di conoscere il professore di pittura Emmanuel Luna –ormai amico- che mi diede un grandissimo aiuto sia presentandomi ad artisti e galleristi, sia per la mia crescita come pittore.
Due elementi fondamentali per la tua maturazione artistica: Madrid e il Professor Luna.
Credo che se non mi fossi mai trasferito, non sarei mai cresciuto come artista e non avrei avuto la stessa voglia di farlo, perché Madrid mi ha stimolato e mi ha fatto capire davvero cosa significa essere un pittore, un artista. Il Professor Luna, orami un amico, mi ha dato un aiuto enorme. In due anni che ci conosciamo avremmo dipinto insieme solo due o tre volte, ma solo a guardarlo dipingere, come mescolava i colori e i consigli che mi dava -senza però mai dirmi come proseguire un lavoro e lasciandomi trovare la soluzione da solo e parlando molto di cosa cercavo nei miei dipinti e cosa volevo trasmettere- sono riuscito a migliorare la mia tecnica e maturare a livello personale.
Quartieri madrileni che senti vicino, che ti hanno dato e ti danno qualcosa.
Il quartiere che fin da subito attirò di più la mia attenzione fu il barrio di Cuatro Caminos. Rimasi colpito dalla vivacità e l’energia che ha. Gente per strada 24 ore su 24. È un barrio prevalentemente latino con negozi e ristorati tipici Sud Americani, soprattutto domenicani. Inizialmente può sembrare una zona pericolosa, come pensa molta gente, però vivendoci è tutto il contrario: ospitalità e cordialità ovunque. Non è un quartiere “artistico”, però, come il barrio di Malasaña, che si trova nel centro città. Qua c’è una vivacità diversa da quella di Cuatro Caminos. Qui si possono trovare gallerie, spazi espositivi e accademie d’arte ed è anche una delle zone principali della “movida madrileña”. Per concludere direi che sento vicini tutti e due i quartieri però in modo diverso. Il primo per la creazione dei miei lavori e l’ospitalità che mi ha dato la gente e il secondo per avermi fatto conoscere persone che lavorano nel campo dell’arte ed avermi fatto inserire nella vita madrileña.
Facciamo un passo indietro. Da piccolo scorrazzavi nella vetreria dei tuoi genitori. Un’arte meravigliosa che scandaglia il dettaglio, una lavorazione artigianale preziosa. Cosa ti ha lasciato?
I miei genitori erano due artigiani che lavoravano con il vetro. Mio padre realizzava sculture in cristallo e mia madre disegnava sugli specchi con una tecnica particolare, usava una penna che “graffiasse” lo specchio. Dopo la scuola passavo la maggior parte del tempo nel loro laboratorio disegnando moltissimo. Penso che stare tanto tempo in quell’ambiente, vedendoli lavorare con tanta dedizione e artisticità, mi ha trasmesso qualcosa di fondamentale.
Dalla vetreria di Milano all’America e l’Australia. I viaggi che hai compiuto in giro per il mondo si riflettono nella tua opera. Influenze e ispirazioni?
Ho viaggiato moltissimo: Giappone, India, Australia, Venezuela, Stati Uniti e vari paesi europei. Sicuramente sono stato influenzato dalle varie culture e dai vari stili artistici locali. Le culture sudamericana e statunitense sono quelle che mi hanno influenzato di più. Ho passato molto tempo a ritrarre soggetti latini concentrandomi sul culto della santa morte messicana, mentre in California ebbi l’occasione di vedere i lavori di alcuni dei miei artisti urbani favoriti. Retna, ad esempio, che credo abbia creato qualcosa di speciale con il suo alfabeto. Anche se non sempre si capisca cosa ci sia scritto, per gli occhi è sempre un piacere guardarlo.
Un altro tipo di “viaggio” è quello che ti porta di frequente nei musei madrileni. Quando puoi visiti il Prado e ti lasci trasportare dai giganti del passato (Rembrandt, Goya, Velazquez, Tiziano, Caravaggio). Hai reinterpretato e fatto tuoi artisti come Rubens e il Sassoferrato, icone ed interpreti eccelsi del Seicento europeo. Qualche maestro a cui sei particolarmente legato e/o debitore?
Da quando vivo a Madrid appena posso torno al Prado. Una delle opere preferite che mi ha da sempre più colpito è “San Giorgio sconfigge il Drago” di Rubens: i colori, le luci, il movimento. Si percepisce la forza che trasmette. Un altro artista a cui sono molto legato è Caravaggio: guardo le sue opere e rimango letteralmente a bocca aperta per il chiaroscuro, il gioco di luci e ombre che riesce a “dare”. Questi contrasti di luce hanno influenzato le mie opere. Qualche mese fa poi ho avuto la fortuna di essere invitato al museo Sorolla, del quale ho studiato la luminosità e le pennellate di colore puro.
Hai uno stretto rapporto con la pittura figurativa più “classica”. Hai sempre dipinto la “figura” senza lasciarti travolgere da modalità più in auge come l’astratto, il concettuale…
A parte un breve periodo in cui mi sono dedicato ai graffiti la mia attenzione è sempre stata per la figura umana. Al liceo imparai le basi per disegnare il corpo umano ed è quello che ho continuato a dipingere anche negli anni successivi agli studi. Non ho mai provato a dedicarmi ad altre correnti e mode. Per prima cosa perché -per adesso- non ne sono mai stato attratto e poi perché credo che il corpo umano abbia sempre qualcosa da dire.
Entriamo dentro la tua opera. Prima cosa: il supporto. L’utilizzo di tavole lignee e della iuta più che la tela.
Nella mia ancora breve carriera artistica ho provato vari supporti su cui dipingere, dalla classica tela di cotone, alla iuta, al plexiglass per poi arrivare al legno. Tra questi la iuta è il materiale su cui ho lavorato di più. La vidi la prima volta nel viaggio che feci in Venezuela: un ragazzo stava dipingendo sui sacchi di patate che aveva tagliato per aver più spazio su cui lavorare e la cosa mi incuriosì molto. Si vedeva che non era un supporto molto pratico su cui dipingere perché quella che usava era una iuta grezza -infatti usava dei colori ad olio molto pastosi perché diluendoli venivano assorbiti- però aveva dei vantaggi perché è un materiale molto resistente e difficile da rovinare. Sulla iuta ci ho lavorato per due anni e mezzo per poi passare al plexiglass e finire col legno, che penso sia un supporto elegante e pulito su cui mi trovo molto bene.
Segni distintivi: le mani, il volto, la decorazione “precolombiana”- che celebra e tesse la tua opera. L’importanza di questi elementi anatomici che “guardano” l’anima e la loro resa.
In tutti i miei quadri cerco di trasmettere qualcosa, spesso sono momenti di vita vissuti. Do importanza alle mani e al volto perché penso siano le parti del corpo che trasmettono e mi trasmettono più emozioni. Dalle mani e dal volto di una persona credo che si possano capire molte cose. Nel volto cerco sempre di riprodurre al massimo l’espressione dandogli forza con le luci e le ombre. Mi concentro soprattutto sugli occhi che a mio parere danno vita al dipinto. Per quanto riguarda le mani, provo a dipingerle in modi sempre curiosi, perché spesso nei miei lavori si vedono in primo piano e cerco sempre di darle più movimento possibile. Penso che le mani possano raccontare molte cose. Spesso le figure che dipingo si fondono con il fondo formato da “labirinti”, questa definizione l’ha data il pubblico e in molti mi hanno detto che ricordano decorazioni azteche o arabe.
Il tuo “labirinto” azteco con influsso arabo e greco geometrico sottolinea la rilevanza e lo “spessore” del fondo nel quadro. E’ un tuo tratto caratterizzante, un “segno” di una fattura e finezza notevole. Da dove proviene? Che significato ha? Come sei giunto a questa linea e soprattutto ti fai “aiutare” da qualcosa?
A dirti la verità volevo cercare un fondo che mi caratterizzasse come le linee che uso per le figure. Anni fa mi concentravo soprattutto sull’immagine senza dare importanza al fondo, lasciandolo con un colore uniforme, spesso nero. Col passare del tempo mi resi conto che mancava qualcosa nella composizione generale del quadro, cosi cominciai a riprodurre le linee che uso nella figura sul fondo fino ad arrivare al risultato attuale. Non mi sono ispirato a nulla, è stata una cosa che mi è uscita provando e riprovando e sono contento del risultato perché penso di essere riuscito a creare qualcosa che differenzia il mio stile dagli altri. Molta gente spesso mi domanda se per realizzare i labirinti mi aiuto con un proiettore o prima di iniziare a dipingere li disegno, posso assicurarti che li faccio tutti a mano libera senza nessun aiuto, solo con un po’ di pazienza.
Spesso i tuoi quadri “sfruttano” una cromia, un colore. Sono quasi monocromi. Giochi sull’armonia dei toni, delle gradazioni del colore che dominano l’opera. Spesso sono le scale del marrone, del celeste e del grigio.
Mi piace realizzare una figura o più precisamente un volto con una sola gamma di colore, anche se a dire la verità quando schiarisco o scurisco un colore lo faccio sempre con il colore complementare, perché aggiungendo un altro colore che non sia il bianco o il nero la tonalità cambia prendendo più o meno lucentezza ma avendo sempre forza propria. Lavoro molto con la tonalità dei grigi. Ad alcuni artisti il color “fumo” non piace perché dicono non ci sia ricerca ma a me ha sempre affascinato, perché a parer mio ci si può giocare molto mettendoci dentro anche delle altre gamme e dando un qualcosa in più al colore. Come in passato lavoravo molto con il grigio e sapevo come tirar fuori il meglio da questo colore, avevo in mente di lavorarci esclusivamente per l’esposizione, mischiandolo con altre gamme, ma aprendo la mia cassetta dei colori – che a dir la verità e una borsa di plastica – notai che i tubetti delle tonalità dei marroni erano praticamente pieni. La cosa mi fece pensare che per la mia prima personale avevo bisogno di qualcosa di nuovo, di fresco, cosi che i quadri più importanti dell’esposizione li ho dipinti con questa gamma, accostandola ovviamente ai grigi che credo che sia un colore che – se si sa usare – può togliere molte soddisfazioni.
Parliamo della tua personale (visitabile fino al 6 giugno) al CEARCAL, Centro regionale d’arte di Castilla e Leon, di Valladolid.
Innanzitutto volevo ringraziare CEARCAL e la curatrice Ana Blanco che hanno creduto nel mio progetto e mi hanno dato la possibilità di realizzare la mia prima personale. Quando vidi la sala ad ottobre ne rimasi subito colpito: uno spazio di 100 metri quadri in cui avevo la possibilità di poter creare l’ambiente che volevo. E’ da molto tempo che penso a come realizzare la mia prima mostra individuale e me la sono sempre immaginata con qualcosa in più, non solo con quadri appesi a delle pareti bianche e quel qualcosa sono i labirinti che ho dipinto sulle pareti che avvolgono completamente lo spettatore quando entra.
La mostra si intitola EXPIRACIÓN. Ossia…
Il titolo è stato un po’ complicato da scegliere perché sin dall’inizio ho sempre saputo quale fosse stata la tematica della mostra e credo che sia forte come argomento, per questo ho tardato a scegliere il titolo perché volevo fosse impattante quanto la tematica. EXPIRACIÓN è l’ultimo respiro di una persona appena prima di morire cioè quando esce l’anima dal corpo.
Quante opere porti e quali opere hai scelto?
La mostra è composta in totale da 17 opere. 10 sono le principali, al fianco di ognuna c’è scritto il pensiero sull’anima della persona dipinta, le altre 7 sono dei piccoli particolari che riprendono la parte più importante di alcune delle opere più importanti.
Il tema centrale della mostra è l’anima. Come hai voluto affrontarlo? Come hai voluto esprimere e tradurre un tema così importante e profondo (quanto generico) senza cadere nel banale e nel patetico? Partendo da affetti vicini a te hai reso l’intimità personale e soggettiva in maniera condivisibile da tutti.
La tematica dell’esposizione l’ho sempre tenuta ben chiara. Ho cercato di affrontarla a mio avviso nella maniera più semplice possibile, lavorando con persone a me vicine provando a rappresentarle con le loro forze e debolezze, quello che vogliono mostrare alla gente e quello che secondo me davvero sono. Quest’argomento mi coinvolge anche da vicino, in un paio di opere ho dipinto dei momenti importanti della mia vita che mi hanno segnato, raffigurandoli con mia madre e una ragazza che tiene in mano una rosa che rappresenta mio padre a cui ho dedicato l’esposizione.
INFORMAZIONI UTILI
Lio, EXPIRACIÓN. Sito dell’artista
CEARCAL, Centro regionale d’arte di Castilla e Leon – Valladolid
C/ Valle de Arán, 7 | 47010 Valladolid (España) | Tel (+34) 983 32 05 01 | Fax (+34) 983 32 05 02 | e-mail: info@cearcal.com
Fino al 6 giugno 2016
A cura di Ana Blanco