In occasione dell’inaugurazione della mostra Mitoraj a Pompei, grande evento che ha portato nel sito archeologico campano trenta grandi opere del maestro franco-polacco recentemente scomparso, abbiamo incontrato il Professor Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro – Italia e Mediterraneo, che ha ideato e promosso l’esposizione. Gli abbiamo posto alcune domande.
È stato più folle il sogno di Mitoraj di esporre qui, o il decisionismo del professor Emanuele nel cercare di accontentarlo?
Assolutamente il secondo. Quello di Mitoraj era il sogno umanamente comprensibile e assolutamente legittimo di un grande artista che ha onorato il mondo con opere indimenticabili; il mio tentativo di dare corpo a questo suo desiderio, invece, era molto condizionato dalla componente pubblica che purtroppo spesso complica in maniera particolare la realizzazione dei sogni, anche di quelli più giusti. In questo paese il privato – il privato sociale in particolare – tende frequentemente a ritrovarsi contro una serie di complicanze da parte delle istituzioni: il che si traduce con veti, questionari, protocolli, autorizzazioni, timbri, firme, e poi di nuovo altri veti, eccezioni… tutte cose che mal si coniugano con la fattibilità dei legittimi desideri.
Però poi qualcuno ce la fa a realizzarli, questi sogni…
Sì, per fortuna alla fine qualcuno ce la fa. Io sono tra questi perché, come è noto, non demordo in nessuna circostanza.
Mitoraj, di sangue franco-polacco, nacque in Germania, visse in Francia e operò in Italia. Questo, l’uomo. Qual è l’identità dell’artista?
Credo davvero che l’identità di Mitoraj sia proprio il risultato di questo suo cosmopolitismo naturale ed esistenziale, che lo ha reso una testimonianza di quel mondo a cui noi vogliamo ispirarci: a un’Europa dei popoli unita. Un mondo che abbatte le barriere, che rende possibile il dialogo. Io ho apprezzato il Maestro, oltre che per le sue qualità artistiche, proprio per questa sua sensibilità multipla.
Mitoraj sosteneva di avere bisogno di bellezza per vivere, e che la sua fosse una bellezza nostalgica, come di un paradiso perduto. Parrebbe quasi un tentativo di eternare la Bellezza classica, come fosse l’unica oggettiva. Qual è il suo punto di vista?
Personalmente, ritengo che la bellezza sia coeva al mondo in cui si vive. Nonostante io sia un economista, ho avuto la fortuna di poter seguire anche altre passioni, e ho potuto studiare la meraviglia del mondo della classicità. Però nel corso della vita ho incontrato periodi artistici diversi, difformi, molteplici; ho poi conosciuto gli artisti, con cui mi sono relazionato: i pittori della pop art, gli artisti degli anni sessanta a cui ho dedicato una mostra a Milano e a Roma, gli artisti del movimento CoBrA su cui ho allestito un grande evento, e ho incontrato personaggi che oggi porto a Roma per la prima volta con la grande esposizione di Banksy. Credo che la bellezza non sia temporalizzabile: è parte intrinseca dell’anima dell’uomo e si manifesta insieme al suo cambiamento in tutti i momenti della vita e della storia.
Per quanto riguarda l’approccio di Mitoraj, credo che lui volesse contrastare l’odierna tendenza all’accantonamento del passato classico nell’estetica odierna. Credo che questo sia stato l’elemento fondante non soltanto della realizzazione delle sue opere, ma anche del suo desiderio di questo tipo di collocazione: mi parlava sempre di questa sua visione relativa al connubio tra i suoi lavori e i luoghi emblematici della classicità del nostro paese e del mondo europeo, e mi diceva che le opere nella loro bellezza – che lui raggiungeva facilmente – chiuse in un museo o in una casa perdono la forza che avrebbero se venissero poste nei luoghi per cui appaiono quasi connaturate. E bisogna dire che le opere collocate qui a Pompei potrebbero perfino indurre molti degli spettatori a pensare che esistessero sin da prima della distruzione della città.
La collocazione delle opere nel sito archeologico è stata studiata con il Maestro?
Non è stato purtroppo possibile. Lui aveva iniziato a pensare una pianta ideale: si è cercato di riproporla, ma in alcuni casi l’opera non è stata proprio posizionata dove lui voleva. Però il risultato finale riflette sostanzialmente le sue indicazioni.
La sensazione è che qui a Pompei accanto al Mitoraj scultore sia intervenuto il Mitoraj grande scenografo, o anche un regista che ha portato i suoi attori. Il Maestro ha vissuto l’allestimento di questo evento anche da quel punto di vista?
Lui sognava Pompei da sempre. Quello che mi ha colpito è che quando mi parlava di Pompei la sua descrizione era incredibilmente accurata: era come se fosse lì in quel preciso momento. Io l’ho conosciuto quando abbiamo fatto la bellissima mostra di Agrigento di cui aveva una conoscenza minore dei luoghi, ma di Pompei invece aveva proprio una conoscenza reale ed approfondita. Come dicevamo prima, aveva iniziato a disegnare tutto per come doveva essere. Quindi è proprio come dice lei, è come se ci fosse stato lui come scenografo.