Vai a spiegare ai fans di Vasco che il sogno è finito. Che il muro che li ha protetti dall’inizio, un intonaco di protesta e sentirsi élite dietro il capo, si sta sbriciolando. E che proprio lui, dopo averli fatti peregrinare in una terra promessa, parallela alla realtà, deve lanciare l’allarme. «Non dovete avere paura, il nemico non è l’odio, il nemico è la paura». Le cateratte del cielo, dopo aver ripetuto per due ore i riti di una comunità unica nel suo genere in Italia, arrivano nel finale di un concerto, sabato a Lignano Sabbiadoro, che anticipa i quattro show a Roma mercoledì, giovedì, sabato e domenica, quando l’apoteosi dei numeri, 230 mila persone per questo tour estivo, dovrà fare i conti con l’amarezza della cronaca e la necessità di dare coraggio.
Del resto, nemmeno Vasco, 65 anni, può eludere il terrorismo: «Non accetto che si mettano le bombe, non ci vuole un gran coraggio per sparare su una spiaggia, non giustifico che uno si faccia esplodere in mezzo alla gente» dice sceso dal palco «quindi sento di doverlo dire e di ricordare che le nostre conquiste di libertà e civiltà sono fuori discussione. E che ci si può anche sacrificare per la democrazia come hanno fatto quelli che sono morti settant’anni fa»
Vasco è a un bivio: i padri della solidarietà e delle battaglie civili, da Marco Pannella a don Gallo, non ci sono più e lui ne sente il vuoto: «Alla mia età non ho paura di nulla, nemmeno di andarmene. Ma ai ragazzi che vengono a sentirmi devo spiegare che anch’io, quando ero giovane, pensavo di non farcela. Invece non è mai così. Magari non devi pretendere la luna e di realizzare tutto quello che ti passa per la testa, ma la paura no, quella devi rifiutarla».
Cosa ne penseranno i fan, monolitici nel riconoscergli un ruolo di guida, non è ancora chiaro. Però è una svolta, e arriva in un momento di forma eccellente, «ho fatto un patto con il diavolo, mi hanno dato più ultimatum perché conduca una vita sana. E questo mi fa sentire un po’ spaesato perché vedo cose che prima mi erano estranee. Anzi, forse ne vedo anche troppe». Non che gli faccia male. In scena è più autorevole che in passato, si muove con grazia anche quando è autoironico, quando strabuzza gli occhi che un video inquadra come un primo piano da Alfred Hitchcock. A dirla tutta, Vasco in due ore e mezza, molto bello il set acustico di “Nessun pericolo per te”, “Una canzone per te” e “Dormi dormi”, addirittura un uppercut la partenza bruciante di “Delusa” e la magia di “Sally”, sembra più giovane del suo stesso mondo.
Troppo heavy Metal, gli assoli alla chitarra di Stef Burns sono in carta carbone, la scenografia con piogge di laser o tripudi di fari impazziti prende una strada che poi le ballate di Vasco sconfessano. Ma i grandi numeri, quindi l’adesione totale del pubblico, 1,2 milioni di spettatori in tre estati, gli danno ragione. Anche perché si avvicina il quarantennale di carriera: «Nel 2017 farò un concerto a Modena» gongola e già si aspettano 280 mila persone «poi mi piacerebbe andare nei teatri, restare anche una settimana nello stesso posto e suonare in acustico le mie canzoni». Prima però «arriveranno quattro inediti, il primo a ottobre, fra cui una di quelle ballate che lasciano il segno, e tutto farà parte di una super antologia di settanta brani».
Lo guardi, nell’accappatoio blu, e ti rendi conto che quest’uomo marcerà, anche a tappe forzate, sempre più veloce di te. E non gliene vuoi se parte della frase choc sulla paura l’ha presa da Gandhi, perché uno che ha il coraggio di dirti che l’ha fatta sua, che ci ha messo un po’ le mani, merita rispetto. Uno che ricorda come ci siano «modi peggiori di morire, in un ospedale ad esempio, piuttosto che per colpa di un idiota che si fa saltare in aria vicino a te», merita ancora rispetto.
I nemici cambiano. Oggi brulicano in forme insensate e imprevedibili di violenza, ieri erano confinati negli accenni all’Italia da bere di “Rewind”: «Quello è stato un ventennio nel quale penso di aver visto tutto » dice beffardo, riferendosi al berlusconismo. Tutto tramontato, a destra e sinistra. Vorrebbe tanto rimanere «il lupo solitario che sono sempre stato, difendo la mia privacy perché non ne ho molta, non sono un tipo da salotti… », ma c’è qualcosa che va oltre le canzoni: l’impegno a essere ottimisti oltre la realtà. Così ti tocca cantare potente, muovere le mani come un attore di teatro, incantare una signora quarantenne con filo di perle e giubbino chic che dev’essere stata tua fan insieme agli arrabbiati della prima ora. E magari ti riesce anche bene.
Per gentile concessione de Il Secolo XIX (20.06.2016)