Con ben 190 opere, è il Met Breuer di New York (fino al 4 settembre 2016) a ripercorrere la storia dell’arte dal Rinascimento fino ai giorni nostri attraverso un tema che ha ispirato, affascinato ed interessato artisti e studiosi: il non-finito. L’esposizione Unfinished: Thoughts Left Visible si propone di indagare il non-finito sotto prospettive storiche, geografiche, filosofiche, intenzionali, casuali o inusuali, lasciando porte aperte ad analisi critiche e riflessioni.
Artisti come Michelangelo, Donatello, Tiziano, Rembrandt, Lawrence, Turner, George Brecht, Robert Smithson spaziano per i due piani per un’ampia visione d’insieme. Che sia per errore o per tempistica, volontà o causalità, moda o sentimento, i motivi per cui molti artisti hanno lasciato e ancora lasciano opere d’arte incomplete sono molteplici e non sempre di immediata comprensione. L’idea della mostra è quella di creare un viaggio tematico che, ripercorrendo quasi tutta la storia dell’arte, sia in grado di offrire allo spettatore una panoramica chiara sulle infinite sfaccettature di questo tema, insaziabilmente mutevole e dinamico.
Le occasioni per ripercorrere questo tema di certo non mancano nella storia dell’arte. Basti ricordare i non-finiti di Mario Schifano, tra cui ”Vero amore incompleto” in cui l’amore, rappresentato dal colore blu – ”perché il blu è l’amore universale in cui ci si immerge” direbbe il regista Derek Jarman – cola immobile sulla superficie per poi interrompersi bruscamente.
Il silenzio di quell’impercettibile confine tra il blu e il nulla, ricorda la profonda consapevolezza dei non-finiti michelangioleschi, estremamente moderni e visionari. Ma da dove deriva questa amara consapevolezza? Che senso ha dunque l’incompleto, che si tratti di un ultimo abbraccio o di un colore sospeso? E soprattutto, quali sono le radici profonde che spingono l’artista a voler plasmare qualsiasi materia per poi esprimere quel senso di infinito non-finito?
Per capire a fondo il perché artisti passati, moderni e contemporanei affrontano ancora questo tema, dobbiamo porre lo sguardo in noi stessi. Di quanti infiniti non-finiti è fatto l’uomo? Innumerevoli.
Dalla perdita di un nostro caro – come nel caso della Pietà Rondanini di Michelangelo -, ad un profondo amore che non si è riuscito a vivere – e dunque incompleto -, a rimpianti e rimorsi che non si hanno il coraggio di lasciar andar via. Il compito dell’artista in questo – un vero e proprio poeta – è quello di dare forma a ”quel luogo affollato di addii”, citando Sottsass, di cui è costellata la nostra esistenza. E’ un modo poetico per rendere eterno qualcosa che è destinato in natura spesso a non esserlo, o ancora, per esprimere tutto il dolore e la sofferenza che si sedimentano nell’animo quando non si può vivere ciò o chi desideriamo in modo totalizzante e perfetto.
La Pietà Rondanini rappresenta quel senso di unità tra madre e figlio al quale Michelangelo voleva tendere col pensiero e con la materia prima di affrontare la morte. Ed ecco quell’abbraccio divenire umano e raggiungere una dimensione in cui l’equilibrio delle forme e la perfezione della materia – tipici della rappresentazione del divino in quel tempo – non bastano più.
La Sagrada Familia di Gaudì invece ci ricorda un altro tipo di non-finito, cui l’artista quasi ironicamente, decide di lasciare incompiuta l’opera al fine di stimolare dubbi, curiosità e continua ricerca. Questi temi, riallacciabili ad una stimolazione di tipo intellettivo, li ritroviamo in numerosi artisti che indirettamente, lasciando dubbi e perplessità sulla loro produzione artistica, – in primis Leonardo da Vinci – portano alla luce qualcosa che non raggiungerà mai ad una fine o verità ma a cui si tenderà sempre. E’ questa tensione che fa andare l’uomo oltre il proprio pensiero e le proprie capacità.
Simili per genere ma decisamente più ”plateali ed immediate’’, sono la serie di opere non finite di Andy Warhol chiamate ”do it yourself’‘. Il titolo già preannuncia da sé quel fare provocatorio tipico di Warhol, in cui è lo spettatore che con immaginazione e fantasia, deve completare l’opera o trovarne il senso, qualora ci fosse.
Una vena giocosa e di sperimentazione, rintracciabile anche in ”Slides of a changing painting” di Robert Gober, che riproducono fotogramma dopo fotogramma, l’evoluzione del dipinto nel corso di un anno. Dagli anni Sessanta in poi lasciare l’opera incompleta diventa il paradigma dell’opera stessa – elemento essenziale ed indispensabile per definirla tale – lasciando lo spettatore dinnanzi alla materia che si spinge in una sintesi astratta alla ricerca del vuoto.
Un’opera interessante esposta è Repository di Brecht, la quale si basa sul forte carattere stimolante degli elementi. L’idea è che l’opera non potrebbe mai essere finita veramente perché lo spettatore e l’evento sono stati sempre in evoluzione. Da Toulouse-Lautrec a Degas, dai Futuristi ai disegni di Pollock il non-finito è invece il mezzo per potenziare l’efficacia e l’immediatezza del tratto. E poi Picasso, con la sua repulsione nei confronti di qualcosa già finita e prontamente interpretabile; Modigliani e i suoi occhi mai portati a termine, in cui il vuoto esprimeva più del pieno.
Ma in fondo, cos’è il non-finito se non la voglia di trapassare la perfezione del tempo e dello spazio per raggiungere qualcosa di infinito? Che sia tramite perfezione o imperfezione, il comun desiderio è quello di andare oltre, di non mettere la parola fine dove a volte il cuore, la mente, la materia, le circostanze e il pensiero l’hanno messa. La maggior parte di questi artisti non raccontano altro, nella loro diversità temporale e ideologica, di un sentire comune e profondo dell’uomo, umano e naturale che attraverso l’arte indirettamente e direttamente, inconsciamente e consciamente, sublima il nulla, la morte o ciò che già è noto per giungere a qualcosa che sia semplicemente ‘’altro’’.
La mano di Dio – anch’essa opera non finita – di Rodin, racconta di questo intricato rapporto tra le fragilità e i sentimenti dell’essere umano, l’insoddisfazione e la ricerca in continua tensione. Un rapporto che non avrà fine, ma cui sempre l’arte tenderà le proprie mani.
INFORMAZIONI UTILI
Unfinished: Thoughts Left Visible – fino al 4 settembre 2016
A cura di Andrea Bayer, Kelly Baum e Nicholas Cullinan
New York, THE MET BREUER
945 Madison Avenue
Telefono: +1 (0)212 7311675
Per altre informazioni: http://www.metmuseum.org/
2 Commenti
VI DOVRESTE VEGOGNARE.
UNA MOSTRA SUL NON FINITO, SENZA LE OPERE DI PIETRO ANNIGONI, IL RE DEL NON FINITO, E’ COME AVERE UN CORPO SENZA CERVELLO, PROPRIO COME GLI ORGANIZZATORI IGNORANTI DI QUESTA MOSTRA. AVETE PURE -GULLIVER-SELFPORTRAIT DI ANNIGONI, AL METROPOLITAN- VERGOGNATEVI.
Il “non finito” è la caratteristica del genio. Come il “non luogo”, il “non nome”, il “non tempo”, ecc… L’astuto Ulisse crea un “non nome”, Nessuno, per ingannare Polifemo, e un “non luogo”, il cavallo di legno, per ingannare i troiani. Queste entità frutto di processi ricorsivi, speculari, inclusivi sono state usate anche da Gesù e Leonardo da Vinci. Michelangelo nella scultura, tramite il Vasari, diede origine al termine. L’Adorazione di Leonardo è un non finito e non un opera incompleta, perché l’autore si ritrasse sul bordo destro (per chi guarda), mentre si dirigeva a Milano. Si rappresentò mentre usciva dal quadro, lasciandolo incompiuto . Cfr. Ebook/kindle: Tre uomini un volto: Gesù, Leonardo e Michelangelo. Grazie.