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The Day After. Che succederà al mercato dell’arte dopo la Brexit?

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Ma cosa succederà al mercato dell’arte dopo la Brexit? A dar retta agli esperti tutto o niente, qualsiasi previsione e il suo esatto opposto. Gli esperti a volte sembrano i giornalisti sportivi: le sparano come dei tifosi. Eppure bisogna rassegnarsi, qualcosa succederà, anche se il direttore finanziario di Sotheby’s Michake Goss giura che va tutto bene madama la marchesa, anzi va persino meglio: «Il nostro business copre 40 paesi e opera in circa venti valute. Ci aspettiamo un bassissimo impatto sulle nostre posizioni finanziarie, dato che le nostre attività in sterline sono molto ben coperte nelle oscillazioni valutarie. I nuovi tassi di cambio potranno rendere le vendite a Londra di arte contemporanea della prossima settimana addirittura più attraenti per compratori internazionali».

Tutto vero. Il crollo della sterlina all’inizio potrà agevolare alzuni acquisti. Ma a lungo andare avrà ovviamente altri effetti, perchè per lo stesso motivo è presumibile che qualcuno non abbia più voglia di portare a Londra le proprie opere da vendere per intascare le sterline sempre più deboli. La verità è che cambierà tantissimo, anche se c’è chi dice che non cambierà niente, come da Christie’s («ci aspettiamo un bassissimo impatto dal punto di vista finanziario»). Cambierà tantissimo perché non può essere altrimenti, perché come sottolinea Massimo Sterpi, uno dei principali esperti di diritto e di mercato dell’arte, la Brexit esplode sul «più grande mercato dell’arte europea, con un fatturato superiore a dieci miliardi di euro. Il mercato italiano vale dai 300 ai 400 milioni di euro, cioé tra il 3 e il 4 per cento di quello di Londra».

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Come si fa a sostenere che con l’uscita della Gran Bretagna dall’Europa, con tutto quello che già sta succedendo, dal crollo delle Borse alla caduta della sterlina fino al naturale blocco di qualsiasi finanziamento Ue, non cambierà il mercato nella più importante piazza d’asta? Massimo Sterpi ritiene che la Gran Bretagna potrebbe decidere di «abbassare il tasso dell’Iva per rendersi più competitiva. Ma tutta una serie di esenzioni fiscali nel commercio intra comunitario non varranno più per Londra e questo non la favorisce».

A medio lungo termine potrebbero calare i suoi affari e qualche piazza potrebbe avvantaggiarsene. Sempre secondo Sterpi, «Parigi sicuramente. Ma anche la Germania. E potrebbe essere una grande occasione per l’Italia se il Parlamento si decidesse ad allentare i vincoli in tema di esportazione».

Cerchiamo di capirci meglio. Quando si fanno previsioni, il rischio di sbagliare è enorme. Noi possiamo solo limitarci a pensare che se il cielo è nuvoloso potrebbe piovere e che se è sereno forse farà caldo. Innanzitutto i tempi di uscita saranno abbastanza lunghi e richiederanno almeno due anni, per cui certi discorsi dovranno per forza essere rinviati o aggiornati. In secondo luogo, come dice Nicola Maggi, per i super ricchi cambia in ogni caso poco o niente, perché come compravano prima loro continueranno a comprare anche se i prezzi saranno cresciuti. Il vero impatto della Brexit sarà sugli artisti e le gallerie d’arte.

Lo pensiamo guardando il cielo, che è nuvoloso: come si fa a negarlo? Gordon Innes, Ceo di London & Partners, afferma che l’interesse della città è quello di continuare ad attrarre risorse umane e finanziarie, «puntando molto su formazione e cultura. Nulla intaccherà la sua posizione di città globale e cosmopolita». Può darsi, ma Gordon Innes dev’essere di quelli sempre ottimisti che vedono le nubi e pensano che il vento le porterà via e verrà il sole. In realtà quasi tutti gli artisti inglesi (che per la stragrande maggioranza hanno fatto propaganda elettorale contro la Brexit) e i tanti europei la cui carriera è in mano a gallerie del Regno Unito sono preoccupati per il motivo opposto, perché temono che nel caso di una non impossibile – a questo punto – sofferenza economico finanziaria, potrebbero esserci problemi proprio per quanto riguarda i fondi alla cultura e all’arte contemporanea.

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Alla fine, quello che ci sembra avvicinarsi più di tutti alla realtà è Brendon Grosvenor, storico, mercante d’arte e commentatore tv. Ci sono momenti in cui bisogna negare quello che si vede per guardare oltre. Ma forse non è questo il caso. Grosvenor dice che «la nostra arte sarà diversa, quanto meno nel modo in cui la organizzeremo, la esporremo e la venderemo». Il fatto è che, piaccia o no, è il panorama che sta cambiando. Guardiamo la realtà: qualsiasi finanziamento europeo ovviamente sparirà, e, aggiunge Grosvenor, «i proprietari d’arte di altri Paesi potrebbero dimostrarsi più cauti nel mandare le loro opere in vendita a Londra, solo per non essere pagati in sterlina, che non sta andando troppo bene».

Molte di queste cose potrebbero innescare effetti a catena, le istituzioni artistiche dovranno fare i conti con la penuria di finanziamenti, e non è detto neppure che aumenti il turismo in entrata e cali quello in uscita, come suggerisce la logica del momento. Occhio alla crisi: uno non sa mai che cosa l’aspetta dietro alla curva, anche se fa di tutto per evitarla. Di solito, è sempre peggio di quel che pensa.
«La gente investe e compra arte quando il mondo è un posto florido e stabile. La verità è che abbiamo un sacco di strada da fare prima di rivedere quei giorni».
Bravo Brendon. E’ proprio così.

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  • Non solo i futuri acquisti, anche quelli passati ora sono “svalutati” pesantemente… Chissà se Doig, ad esempio, regge i suoi milioni pieni di sterline (gli stessi di Londra) anche negli Stati Uniti.
    Direi che potrebbe essere l’occasione di ricominciare a valutare l’arte (anche) secondo altri parametri. Forse il solo fatto di affondare una valuta importante potrebbe determinare qualcosa di buono, di nuovo senz’altro.

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