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Pokemon go. Fenomeno di massa con risvolti cupi

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C’è qualcosa che non capisco se il maresciallo della Finanza amico mio passa il tempo che stiamo seduti al bar con lo smartphone in mano, alzandosi ogni tanto come un frate in preghiera perché dietro alla colonna sta nascosto un Pokemon go, uno di quei mostriciattoli che stanno facendo impazzire la gente. Gli va dietro, ci gira attorno e poi ecco l’ha trovato: è un pipistrello. Quello di prima, invece, era una specie di topo che ringhiava.

Mi fa vedere: gli tira una palla con il telefonino, e «Preso!», come dice la scritta. Adesso è suo. Sono 18, mi fa vedere il maresciallo. Ma perché lui ci gioca solo nel tempo libero, dopo che l’ha visto fare ai suoi figli. Il dramma sono quelli che lo fanno sul lavoro, in macchina, cadendo da uno scoglio, dentro a una Chiesa, in autostrada saltando la corsia, in qualsiasi posto dove li hanno nascosti, persino nel museo di Auschwitz o nei campi minati della Bosnia e nei boschi sperduti dove si smarriscono i bambini, cacciandoli fino al calar del sole, per l’allarme disperato di Telefono Azzurro. Perché questo gioco trasformato in fenomeno di massa ha qualcosa di folle, come il nostro tempo. C’è chi ci guadagna tantissimo, miliardi di dollari, e c’è chi si è licenziato, chi si rovina e chi ci intravede un lavoro nuovo, chi vuole lasciare tutto per cercarli.


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Tutti i musei di Torino hanno almeno un Pokestop che li segnala, il Mao e Palazzo Madama addirittura tre per ciascuno. La Fondazione Torino Musei ha lanciato un concorso con il quale invita i visitatori a immortalare «alcune delle opere esposte, raffiguranti animali reali o fantastici» e condividerle su Instagram con l’hashtag #pokemongo e i profili di Palazzo Madama e del Museo d’Arte Orientale. La Presidente della Fondazione Patrizia Asproni spiega che non è un sacrilegio se i Pokemon e i loro cacciatori invadono i musei: in tutto il mondo si stanno organizzando per questo, «e anche noi crediamo che occorra approfittare di questa vitalità giocosa». Non importa se facciamo fatica a capire.

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I pokemon agli Uffizi

 

PokémonGo nei musei della Fondazione Torino Musei
PokémonGo nei musei della Fondazione Torino Musei

 

PokémonGo nei musei della Fondazione Torino Musei
PokémonGo nei musei della Fondazione Torino Musei

Il fatto è che questa caccia è appena cominciata. Cosa ne sarà di noi quest’estate? L’app realizzata da Nintendo è arrivata in Italia il 15 luglio, dieci giorni dopo gli Stati Uniti e l’Australia, dove già nella prima settimana ha aumentato la capitalizzazione del titolo della società che li produce di oltre dieci miliardi di dollari. Il videogioco si ispira a quello uscito nella fine degli Anni 90, a sua volta tratto da una serie animata giapponese. Bisogna catturare diversi tipi di Pokemon, «mostriciattoli colorati dotati ciascuno di caratteristiche speciali», come ci hanno spiegato, «spesso legate agli elementi, e diventarne allenatori». Poi, quando si cresce di livello, si sfidano altri giocatori e chi ha i Pokemon più forti vince e conquista soldi e medaglie, tutti rigorosamente virtuali. E’ solo un gioco.

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Questi mostriciattoli puoi trovarli dovunque, sulla scrivania dell’ufficio, nella camera da letto, al mare o in montagna, nei posti più sperduti, ma anche in mezzo alla strada o nei luoghi di preghiera.
In Bosnia, hanno lanciato l’allarme perché i giocatori per cercarli si sono avventurati in sentieri ancora minati dopo la guerra. Ad Auburn, New York, un ragazzo si è schiantato contro un albero mentre guidava cercando i Pokemon col telefonino e un altro ha addirittura tamponato la macchina della Polizia. In Florida un uomo ha sparato a due giovani che avevano trovato le tracce dei mostriciattoli nel suo giardino. Sempre negli States, un pedone è stato travolto perché s’era fermato in mezzo alla strada senza alzare gli occhi dal cellulare. In California, due persone sono precipitate da un burrone provando ad acchiappare uno di questi fantasmi.
A Belfast, nell’Irlanda del Nord, un giocatore ha scavalcato il guardrail per catturare il pokemon sull’autostrada mentre sfrecciavano le macchine. In Nuova Zelanda sui pannelli autostradali c’è scritto «Dont Pokemon and drive». E il Telefono Azzurro avverte che molti bambini finiscono in luoghi isolati inseguendo questo gioco, con il rischio di incontrare qualcuno con cattive intenzioni. Gli imam hanno chiesto di metterlo al bando perché dei Pokemon sarebbero stati nascosti in alcune moschee. E i respondabili del Museo di Auschwitz hanno urlato tutta la loro protesta dopo che la gente andava nei resti di quei terribili campi per divertirsi a cercarli.

Come tutte le malattie, forse prima o poi passerà. E come tutte le malattie ci sarà chi ci avrà guadagnato tanto e chi ci avrà rimesso le penne. Non so se ce ne faremo una ragione. Può darsi che la cosa migliore sia quella di sfruttare questa «vitalità giocosa». Il titolo Nintendo sta facendo sfracelli. Beati loro. E anche Apple ha il suo profitto: si calcola che guadagni 3 miliardi di dollari nell’arco di uno, due anni al massimo, grazie alla percentuale che prende su ogni acquisto fatto all’interno della app.

Molto più modestamente, Loris Pagano, 27 anni, di Ravenna, impiegato di fast food, si è offerto di cacciare i mostriciattoli facendosi pagare: 15 euro all’ora. «Ho già 40 richieste», dice. Sono tanti quelli che cominciano ad appassionarsi al gioco e non possono lasciare il lavoro. Su qualche giornale appaiono i primi annunci: con 30 euro si comprano i servizi di un allenatore che «per due ore cattura nuovi pokemon, li allena e gioca al posto tuo se devi lavorare».

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Non avendo trovato neanche un annuncio, Tom Currie, 24 anni, da Auckland, Nuova Zelanda, ha lasciato tutto. Faceva il barista all’Hibiscus Coast Cafè. S’è licenziato. «Non ho avuto il coraggio di dirlo al mio capo», confessa. L’ha saputo dai giornali. Suo padre, invece, all’inizio è rimasto un po’ così. Poi ha letto che molto persone lo chiamano eroe per aver fatto quello che ha fatto e vogliono farsi fotografare con lui. Tom sta girando tutta la Nuova Zelanda per cercare i pokemon. Su facebook lo chiamano da ogni paese del mondo. Suo padre allora gli ha scritto un sms: «Ho sempre saputo che un giorno saresti diventato famoso».

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www.facebook.com/PokemonGo

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