L’antico vulcano ormai spento del Monte Amiata veglia da secoli sui dolci profili dei colli senesi della Val di Chiana e della Val d’Orcia, valli intrise di storia e di arte, passaggi imprescindibili per le vie di pellegrinaggio verso Roma. Sulle pendici dell’alta montagna toscana giace il comune di Abbadia San Salvatore, tra XIX e XX secolo centro minerario famoso per l’estrazione del cinabro e oggi importante meta turistica (fig. 1). Il nome del paese ne evidenzia le origini: la sua storia e da oltre mille anni legata alla medievale fondazione dell’abbazia omonima che ne segnò nel corso del tempo i periodi di massimo splendore e prestigio.
Il monastero benedettino (fig. 2) venne fondato, secondo la leggenda diffusa a partire dal pieno medioevo, nell’VIII secolo ad opera del re longobardo Ratchisa seguito di una visione miracolosa: nel luogo in cui sorgeva un albero su cui lo stesso re, durante una battuta di caccia, vide un lume che appariva ora uno, ora trino, il sovrano ordinò la costruzione di una chiesa. In realtà questa fu fondata da un nobile uomo pio friulano, Efro, con alcuni compagni proprio durante il regno di Ratchis. La potenza dell’abbazia, attestata dalle carte a partire dal 762 e che godette della protezione regia per molti secoli, è testimoniata dalle diffuse proprietà detenute nelle zone circostanti e ben indagate dal maggior studioso della fondazione, lo storico tedesco Wilhelm Kurze. Dopo un periodo di declino, ritornò a splendere nel XIII secolo con l’arrivo dei cistercensi, i quali rimasero in possesso del monastero fino alle soppressioni del 1793 per poi farvi ritorno nel 1939.
La chiesa e gli ambienti conventuali oggi ancora visibili sono frutto di numerosi rifacimenti nel corso dei secoli e di più recenti restauri novecenteschi. La facciata (fig. 3), racchiusa tra due torri, di cui quella di destra rimasta incompiuta, seppur nell’aspetto attuale frutto di invasivi interventi di restauro del XX secolo, ricorda importanti edifici d’oltralpe, quali le chiese della Normandia di XI secolo: la chiesa che oggi è visitabile è in gran parte, infatti, quella voluta e costruita dall’abate Winizo e consacrata intorno al 1035 (solo da scavi degli anni ’90 sono emerse tracce dell’antico edificio di VIII secolo).
L’interno (fig. 4), semplice ma maestoso, impone agli occhi del fedele/visitatore una zona presbiteriale rialzata a cui si accede da una scalinata centrale e che si conclude in tre absidi prive della tradizionale forma semicircolare (probabilmente un’alterazione dell’edificio dovuta ai cistercensi e all’ammirazione per la semplicità e rigorosità della linea retta da indicazioni di San Bernardo) oggi decorate da affreschi barocchi realizzati a metà del ‘600 dal pittore toscano Francesco Nasini e dal fratello Antonio Annibale (fig. 5), autori anche della decorazione della cappella del Presepe.
La parte più suggestiva dell’intero complesso è tuttavia nascosta a prima vista. Occorre scendere dalla navata le scalette laterali per ritrovarsi catapultati direttamente nel pieno medioevo: la cripta (fig. 6), una selva di colonne – ben 32, diverse tra loro – illuminate da fasci di luci che si innalzano da terra, è conservata pressoché nelle forme originarie.
Tradizionalmente indicata come “cripta longobarda” appartenente all’edificio di prima fondazione, in realtà testimonia la fase romanica di XI secolo: si tratta di uno splendido esempio di quella che gli studi indicano come cripta “ad oratorio”, vale a dire una sorta di piccola chiesa nella o meglio sotto la chiesa (qui estesa sotto l’intera zona orientale, anche nei bracci del transetto) suddivisa in piccole campate sorrette da colonne e coperta da volte, in questo caso crociere ancora dal profilo incerto. Ad oriente, termina anch’essa in tre piccole “absidi” che almeno in un primo tempo dovevano ricordare la forma di quelle di un’altra abbazia in terra senese, Farneta, ma che in corso d’opera vennero semplificate e ridimensionate.
Il fascino della purezza medievale è improvvisamente animato dalle decorazioni dei capitelli, caratterizzati da grande varietà e ricchezza di figurazioni, popolati da animali, quali arieti, bovini, cavalli, oltre che da uomini. Secondo la tradizione, un capitello in particolare (fig. 7) raffigurerebbe i volti dei fondatori dell’abbazia, Efro e il re Ratchis, alternati a teste di cavallo: se l’interpretazione è frutto della fantasia popolare, la potenza comunicativa dei rilievi medievali continua ad affascinare studiosi e visitatori di tutti i tempi.
Il chiostro e i locali che su di esso si affacciano ospitano il Museo dell’Abbazia, ricco di reliquiari ed opere di oreficeria, ora in fase di riallestimento. L’abbazia tuttavia riserva ancora una sorpresa: per circa mille anni questo cenobio sulle pendici dell’Amiata ha custodito il codex Amiatinus, vale a dire il più antico e completo testimone della Bibbia nella sua versione latina, completa dei Vangeli. Realizzato nell’isola britannica in tre copie a fine VII secolo, l’esemplare amiatino (fig. 8) è l’unico sopravvissuto, giunto non si sa come all’abbazia senese circa un secolo dopo la sua realizzazione. Se il prezioso manoscritto originale è oggi conservato presso la Biblioteca Laurenziana di Firenze, è possibile ammirarne una sua fedelissima copia proprio presso l’Abbazia amiatina.
Lasciandosi alle spalle il complesso e il borgo di Abbadia San Salvatore, pare richiudersi l’abbraccio delle verdi pendici dell’Amiata, quasi a voler nascondere alla vista questo scrigno di tesori medievali; o forse a proteggerlo dagli sguardi più indiscreti.
Per maggiori informazioni www.abbaziasansalvatore.it