Dall’11 ottobre, al teatro Quirino di Roma, Edoardo Sylos Labini torna a raccontarci Gabriele d’Annunzio. Ma questa volta si tratta di un punto di vista diverso rispetto al d’Annunzio che siamo abituati a conoscere: non un agiografia dell’Eroe di Fiume, nonché grande amatore e Vate degli Italiani, bensì il racconto dell’ultimo periodo della vita del poeta che, nel ritiro dorato del Vittoriale, vivrà ancora giornate di eccessi e passioni, ma ogni notte smetterà i panni del Superuomo per rivelare – da uomo ormai anziano – la propria fragilità, i suoi dubbi, le ansie, le malinconie e le sconfitte.
E’ quindi un “d’Annunzio Segreto” – questo il titolo dello spettacolo – quello messo in scena dall’attore, con la drammaturgia di Angelo Crespi e la regia di Francesco Sala.
Abbiamo fatto alcune domande a Edoardo Sylos Labini.
Edoardo Sylos Labini, ancora una volta d’Annunzio. Ma questa volta un d’Annunzio segreto, che racconta dei tormenti dell’ultima parte della sua vita. Quanto c’è di vero in questa storia?
Tutto: lo spettacolo, come già il precedente lavoro fatto sul Vate, è patrocinato dal Vittoriale degli Italiani; Giordano Bruno Guerri ci ha dato delle lettere inedite, ancora non pubblicate, da cui abbiamo tratto nuove informazioni su d’Annunzio. Del resto io non invento mai nulla quando faccio i miei spettacoli, ma faccio riscoprire al pubblico la storia da angolature diverse.
Cosa raccontano queste lettere?
D’Annunzio parla per la prima volta di suicidio: il volo dell’Arcangelo, forse… la famosa caduta che lui fece dal balcone del Salone della Musica nel ’22, qualche giorno prima dell’incontro programmato con Nitti e Mussolini che avrebbe potuto cambiare la storia d’Italia. Da quello che emerge potrebbe essere stato un tentativo di suicido.
In generale, sono le lettere di un uomo vecchio che non accetta l’età avanzata, che si vergogna del decadimento del suo fisico, eppure continua a incontrare donne su donne, a consumare le sue serate con le sue badesse. Sempre il solito amante, ma con una vecchiezza che non riesce ad accettare.
Come si rapporta il superuomo d’Annunzio con l’uomo Gabriele?
Non è più il superuomo, è proprio quello che emerge maggiormente: si mette in crisi. C’è una lettera molto bella dove dice “Mi fa orrore essere stato Gabriele d’Annunzio”. È un uomo che alla soglia della morte forse dice a se stesso “che cosa ho fatto?”. Eppure ci lascia alcune delle pagine di letteratura e di poesia più importanti del ‘900 a livello mondiale.
Quanto è possibile l’immedesimazione da parte di uno spettatore di oggi con lo stato d’animo di un uomo famoso che, più di ottant’anni fa, viveva la sua crisi esistenziale in un contesto di dorata decadenza?
Lui è sempre stato molto moderno, un anticipatore. Fino alla fine, quando si scagliava contro i nuovi scenari, opponendosi apertamente all’alleanza con Hitler, poco prima di morire. È come una Cassandra, prevede che l’Italia e l’Occidente tutto stiano andando verso una catastrofe: quindi si chiude in una prigione dorata, non vuole più vedere l’orrore che sta per succedere fuori. Si chiude nella poesia, nelle amanti, si richiude su se stesso. È l’uomo un tempo forte che oramai sta finendo una carriera, sta finendo un’esistenza e si chiude nel suo fortino. Succede anche ai nostri giorni: certo, non si possono fare paralleli precisi, perché Berlusconi è ancora l’uomo più potente, almeno come immagine, che abbiamo in Italia. Ci possono essere delle similitudini ma il contesto è decisamente diverso. In realtà d’Annunzio non era un uomo potente: era una Star, ma non era potente. Tanto è vero che aveva sempre bisogno di qualcuno per farsi mantenere, e si fece mantenere da Mussolini in tutto il periodo del Vittoriale.
Il periodo di cui lo spettacolo narra corrisponde sia con la parte di maggior popolarità e potere del regime fascista che con il periodo successivo alla morte di Eleonora Duse. Quale di questi due elementi fu più influente sul Vate?
Sicuramente la morte della Duse. Politicamente, lui si chiude al Vittoriale perchè è finita la parabola di Fiume, e per lui è una grande delusione: ricordiamoci che i legionari di Fiume vengono bombardati dal governo italiano su ordine dei poteri forti europei, lui la chiama “la spietata plutocrazia”, parla di casta politica già allora. Dopo Fiume, nel ’19 -’20, finisce il d’Annunzio politico. Perché il d’Annunzio del fascismo non sarà poi mai un d’Annunzio politico: certo, scriverà delle cose per Mussolini, ma tra loro c’è un rapporto conflittuale. Mussolini copia molte cose a d’Annunzio, ma d’Annunzio dice “non mi interessa, io sto qui, e quello che mi interessa è che tu mi mandi la nave Puglia, che mi ricopri d’oro e io starò tranquillo, perché tanto il segno che voglio lasciare è quello poetico”. La politica non lo interessa più, pur scrivendo qualche articolo non è più il Vate degli accesi discorsi e dell’azione di prima.
La Duse, invece, è importantissima perché diventa la sua coscienza: con il busto velato della Duse, presente nel suo studio, lui ci parlava. Ogni anniversario della morte dell’attrice, lui si chiudeva nella Stanza del Lebbroso e comunicava con il suo spirito. Era un d’Annunzio esoterico che faceva sedute spiritiche.Alla fine la Duse diventa questa figura quasi materna, l’unica che lo avesse veramente capito, e lui si pente usando lei come deus ex machina, come coscienza.
“Il genio è dolore”, diceva John Lennon. Ma nel suo periodo più tormentato, quello che tu ci racconti a teatro, d’Annunzio non aveva quasi rinunciato alla poesia?
Ci aveva rinunciato, però in quell’ultimo periodo scrive il libro segreto che è una sorta di autobiografia in terza persona dove ci svela – appunto – dei segreti. Dice: ”Chi mai nei secoli potrà capire quello che di me ho voluto nascondere?”. E’ piu pirandelliano di tutti, è più futurista dei futuristi, è un personaggio carismatico dalle mille sfaccettature.
Cosa rappresenta per Sylos Labini la figura di Gabriele d’Annunzio, così ricorrente nelle sue rappresentazioni?
A me piacciono questi personaggi che hanno una grande teatralità nella vita. E allora ne dipingo la biografia, perché sono persone che fanno Teatro nella vita e che usano l’Arte e la Cultura come mezzo di promozione di se stessi e di miglioramento della società. D’Annunzio è un personaggio affascinante: è un pubblicitario, è un folle e un grande seduttore, un grande amatore; è anche un grande comunicatore, un uomo politico. Ha tante caratteristiche che sono divertenti da portare in scena per un attore. Poi mi piacciono i personaggi eccessivi. Faccio sempre quelli: con l’eroe romantico dopo la prima lettura di una pagina del copione mi addormento. Mi piacciono i personaggi discussi dalle mille sfaccettature, gli antieroi.
C’è qualcosa di Edoardo in d’Annunzio segreto?
Ogni attore prende qualcosa del personaggio che fa. Quindi c’è in me qualcosa di Nerone, qualcosa di d’Annunzio, qualcosa di Marinetti. Un attore che lavora seriamente è un medium, diventa un ponte, deve essere altro. Io faccio questo lavoro proprio per questo: trasformarsi in qualcos’altro è il gioco più bello. Di questa sorta di transfert qualcosa comunque rimane, ma sempre nell’ambito della recitazione: ovviamente non è che poi io me ne vada in giro vestito da d’Annunzio e mi comporti come lui. Però sicuramente ho fatto una trasformazione dal punto di vista fisico: ho perso 8 chili e ho rasato completamente la testa, ho impostato una camminata da anziano seguendo dei corsi. Mio fratello è un preparatore atletico e ha inventato la kinesomatica che si fonda sulla tecnica posturale, e una delle cose notevoli è che in base a un difetto fisico o una malattia il paziente cammina in un certo modo. Quindi ho fatto un lavoro scientifico, serio, come si deve fare su un personaggio. Però poi la vita è un’altra cosa, nella vita c’è mia figlia Luce, non posso certo essere dannunziano con mia figlia Luce.
E dopo d’Annunzio in cosa si trasformerà Sylos Labini?
Non lo so ancora. Voglio sparigliare le carte. Tutti mi chiedono perché non fai una commedia, perché non fai un classico, fai sempre queste cose particolari… Io con queste cose particolari mi sto imponendo nella scena italiana e c’è bisogno di coraggio. E a chi mi dice “fai una cosa che fa ridere!”, “mettiti un nome famoso accanto!” io dico no! Io porto avanti le mie cose. Come diceva d’Annunzio “Me ne frego!”.