A Lugano tra edifici che ospitano banche e assicurazioni è andata in scena dal 5 al 9 ottobre la terza edizione del Film Festival dei Diritti Umani. Il luogo scelto è stato il cinema Corso, un posto centrale a voler rimarcare il legame tra la manifestazione e la città. Costruito nel 1956 dall’architetto Rino Tami e tutt’ora appartenente alla famiglia, rappresenta uno spazio che pare non accorgersi dello scorrere del tempo. Fuori l’insegna rossa al neon e dentro l’arredamento Vintage, rendono questo Cinema una vera e propria “chicca”, dove generazioni di luganesi e non solo, hanno imparato ad amare la settima arte. La sala composta da 550 posti a sedere è a struttura trapezoidale. Il soffitto pare un’opera d’arte, le forme geometriche e l’utilizzo dei bianchi e dei neri ti immergono in un’atmosfera che ricorda molto il surrealismo alla Buñuel.
Una cinque giorni di Cinema che ha avuto come scopo quello di “aprire una finestra sulle coscienze” attraverso la proiezione delle pellicole e i seguenti dibattiti con gli autori e numerose personalità attive nel campo umanitario e non solo. La nuova direzione artistica ha selezionato venti titoli “con in filigrana il tema dei diritti umani, ma con importanza forte alla qualità artistica dei film proposti”. Documentari e fiction dunque, con l’intento di trasportare lo spettatore in una dimensione dove protagoniste sono le realtà amare, quelle della violenza, della guerra e della segregazione, tematiche “forti”, che hanno come scopo quello di “smuovere le viscere” e portare il fruitore a porsi interrogativi rispetto alla problematica dei diritti umani nel mondo. La matrice internazionale è infatti particolarmente marcata, dal Messico alla Cina, passando per l’Egitto e la Corea del Nord senza tralasciare produzioni svizzere e italiane.
Diritti umani ma anche, fortemente, Cinema. La scelta della nuova direzione artistica, che ha dimostrato un piglio deciso, è stata per una natura filmica “che si declina in tutte le sue forme, con modalità narrative e stilistiche diverse, che sono lo spettro della produzione cinematografica contemporanea”. Il Cinema come una finestra privilegiata attraverso la quale poter indagare il mondo e le sue dinamiche anche quelle più scottanti.
Una scelta coraggiosa è stata proiezione di Poverty INC. di Michael Matheson Miller, un documentario che tratta il tema del business dei diritti umani, veicolando un messaggio forte, che rinuncia al famoso detto del “non sparare sulla croce rossa” per portarsi su di un terreno più interessante ma pericoloso, quello dell’autocritica. Una riflessione a 360 gradi sul ruolo e sulla funzione di associazioni governative e non, impegnate nel campo dei diritti umani.
Una scelta inusuale invece è stata quella di proiettare il film Voirdupays delle sorelle Delphine e Muriel Coulin. Una produzione franco-greca che spinge a esplorare il mondo dei diritti umani dalla parte di chi la guerra non solo la subisce ma la fa. Due soldatesse e la loro compagnia si recano a Cipro per uno stage di “decompressione” a seguito di una missione in Afghanistan della durata di sei mesi. Un percorso che mira a dimenticare qualcosa che dimenticare non si può: gli orrori della guerra.Le due registe, già vincitrici al Los Angeles Film Festival, indagano così il paradosso tra diritti umanitari e le condizioni in cui operano le truppe dell’esercito francese.
Tanti argomenti diversi, ma anche tanti diversi approcci cinematografici, come dimostra la proiezione nella serata conclusiva del film Neruda del regista cileno Pablo Larraín, uno dei registi contemporanei più promettenti della scena internazionale. Il film in uscita nelle sale italiane in questi giorni, ben rappresenta l’anima del festival, ovvero la trattazione di tematiche per lo più conosciute attraverso argomentazioni “non convenzionali”. Come il film infatti non si limita ad essere un “biopic” del famoso poeta ma si prende la licenza di muoversi all’interno di una realtà allegorica, anche il festival, non ha sofferto dell’importante ma spesso limitante etichetta dei “diritti umani” approcciandosi con uno sguardo di ampio respiro.
Il festival nei cinque giorni di proiezioni ha visto l’adesione di 4000 partecipanti di cui ben 1500 studenti appartenenti a 26 istituti scolastici del Canton Ticino. Un buon risultato ottenuto anche grazie agli sforzi tesi a non rappresentare un evento chiuso e di nicchia ma un contenitore appetibile anche ai più giovani come dimostra l’organizzazione di una serata con Dj Setmusicata dai due giovani artisti iraniani protagonisti del docufilmRaving Iran di Susanne Regina Meures.
L’evento è accompagnato da una mostra che si svolge nello Spazio 1929 sempre a Lugano, in via Antonio Ciseri 3, dal titolo Ricamatrici della realtà che durerà fino al 28 ottobre.Il progettoa cura di Daniele Agostini è una collaborazione tra l’artista marocchino Abdelaziz Zerrou (Casablanca,1982) e l’artista svizzera Aglaia Haritz (Bellinzona, 1978). Il lavoro è itinerante e si basa su oggetti prelevati dalla realtà quotidiana come testi di letteratura o immagini contemporanee o appartenenti alla tradizione, sulle quali a donne di diversi paesi (Beirut, Cairo, Casablanca, Marrakech e Rabat)è stato richiesto di intervenire con tecniche ricamatorie. Questi manufatti diventano così i mezzi attraverso i quali esprimere tematiche quali il senso di appartenenza, la sessualità e la tradizione. Per info su orari www.spazio1929.ch
Per essere un Film Festival alla sua terza edizione i risultati sono stati incoraggianti sia dal punto di vista qualitativo che dei numeri dei partecipanti. Così Olmo Giovannini e Antonio Prata, Co-direttori del festival: “Dare continuità a un evento giovane ma già solido come il festival, era una responsabilità importante; quanto abbiamo vissuto in questi cinque giorni ci ha ampiamente ripagati di tutti gli sforzi intrapresi. […] I film, con le loro storie intense, e gli ospiti e protagonisti presenti al festival, sono stati la chiave d’accesso privilegiata che ha permesso di entrare in profondità nei diversi argomenti[…]. Temi e discussioni ai quali vogliamo fortemente dare una continuità attraverso una presenza durante tutto l’anno, declinata in diversi appuntamenti di proiezione e riflessione.”
Auguriamo al Film Festival dei Diritti Umani di Lugano di riuscire a proseguire nel percorso fin qui intrapreso, con risultati ancora migliori, in quanto sia per la tematica trattata sia per le pellicole proposte rappresentano un evento importante in una città, Lugano, che ne ha bisogno.