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Uneasy Dancer di Betye Saar. Il riassemblaggio tra mistica e metafisica

Betye Saar The phrenologer’s Window II, 1966 Assemblaggio, tecnica mista; Courtesy l’artista e Roberts & Tilton, Los Angeles Foto Robert Wedemeyer Betye Saar The phrenologer’s Window II, 1966 Assemblaggio, tecnica mista; Courtesy l’artista e Roberts & Tilton, Los Angeles Foto Robert Wedemeyer
Betye Saar The phrenologer’s Window II, 1966 Assemblaggio, tecnica mista; Courtesy l’artista e Roberts & Tilton, Los Angeles Foto Robert Wedemeyer
Betye Saar
The phrenologer’s Window II, 1966
Assemblaggio, tecnica mista;
Courtesy l’artista e Roberts & Tilton, Los Angeles
Foto Robert Wedemeyer

Icona del Black Art Movement, Betye Saar (Los Angeles, 1926) artista afroamericana, ha recentemente rivoluzionato con la sua mostra Uneasy Dancer, uno dei vasti ambienti della Fondazione Prada di Milano, meta indiscussa per i voraci amanti dell’arte contemporanea.

L’antologica, curata da Elvira Dyangani Ose, è una dichiarazione d’intenti che comprende più di mezzo secolo di pratica artistica, ovvero circa ottanta opere che vanno dal 1966 al 2016, in perfetto dialogo tra loro. Come seguendo la coreografia di una danza sconosciuta, passo dopo passo, siamo liberamente condotti “in una spirale creativa dove i concetti di passaggio, incontro, morte e rinascita si uniscono ai temi fondamentali di razza e di genere”.

Betye Saar Record for Hattie, 1975 Assemblaggio, tecnica mista Courtesy Scottsdale Museum of Art Foto Tim Lanterman
Betye Saar
Record for Hattie, 1975
Assemblaggio, tecnica mista
Courtesy Scottsdale Museum of Art
Foto Tim Lanterman

Installazioni, assemblaggi, collage, sculture… È invasione pura di oggetti raccolti per strada, in mercatini dell’usato, o anche dalla propria vita quotidiana, riassemblati e ridipinti secondo la fantasia dall’artista, così da ridargli nuova vita, nuovo significato. In molti casi si tratta di scatole in legno, lasciate aperte, già svelate del loro prezioso tesoro, una sorta di boite-en-valise duchampiana: mani, cuori, foglie, occhi, uccelli, stelle, fotografie, orologi. Quest’ultimi, oggetti-feticcio che si ripetono ossessivamente da un’opera all’altra, sono un codice figurativo quasi mistico, evidente segno di un legame sotterraneo che l’artista prova per essi.

In effetti, elementi fondanti della sua visione artistica sono sempre stati il metafisico, lo spirituale e l’inconscio. La sua arte ha sempre avuto a che fare più con il sentire, con l’intuizione, che con la razionalità. Semmai all’opposto, la creatività ha spaziato senza confini, superando anche quelli che separano la sua vita dalla sua arte, perché i due piani si sono spesso sovrapposti.

Betye Saar Remember Friendship,1975 Assemblaggio, tecnica mista; Courtesy Crocker Art Museum
Betye Saar
Remember Friendship,1975
Assemblaggio, tecnica mista;
Courtesy Crocker Art Museum

Il culto del residuo, probabilmente lo deve alla visione delle Watts Towers di Simon Rodia (torri realizzate secondo un processo casuale e con i materiali più disparati) situate nel quartiere periferico di Los Angeles, quando lei era poco più che una bambina, ed ai suoi occhi curiosi, esse apparivano davvero come delle architetture fantastiche. Crescendo, intuisce dunque le potenzialità insite nei materiali di scarto, il loro valore nascosto, prende coscienza del fatto che possono essere recuperati. La costruzione delle torri, si è protratta per circa 33 anni, e ancora oggi costituiscono una delle principali attrazioni della città.

La sua arte attraversa però anche componenti storiche, ideologiche, politiche. Utilizza immagini fotografiche, ma anche assemblaggi di più oggetti contenuti all’interno di gabbiette di metallo, per ricordare vicende negate o distorte della razza afro-americana, la condizione di schiavitù e il servilismo al quale era relegata; l’artista, guidata da un forte spirito di protesta, porta avanti da sempre una critica sociale nei confronti degli stereotipi razziali e sessisti.

Betye Saar Smiles We Left Behind, 1976 Assemblaggio, tecnica mista Courtesy Roberts and Tilton Foto Robert Wedemeyer
Betye Saar
Smiles We Left Behind, 1976
Assemblaggio, tecnica mista
Courtesy Roberts and Tilton
Foto Robert Wedemeyer

I suoi mirabilia hanno “più a che fare con l’evoluzione che non con la rivoluzione, con la trasformazione delle coscienze e del modo di vedere i neri, non più attraverso immagini caricaturali o negative, ma come esseri umani’’. Protesta vera iniziata con una delle sue opere ormai più famose: The liberation of aunt Jemima (1972). Immagine svilente e caricaturale della donna di colore grassa, dai grandi labbroni carnosi, fazzoletto annodato in testa e un finto sorriso, usato sin dalla fine dell’Ottocento da una nota marca di prodotti per la colazione americana, come i pancakes. L’opera voleva allora renderla libera Jemima, libera da quella visione negativa e darle finalmente potere.

Anche The Alpha and the Omega (2013-2016), ha con sé il ricordo della schiavitù, c’è quella barca appesa al soffitto di questa siderale stanza azzurra, a sottolineare il ricordo della migrazione, del passaggio da un continente all’altro. Un viaggio che può ridefinirsi anche sotto un aspetto più universale, alludere ad un viaggio iniziatico e all’esperienza della vita umana, che ha un principio ed una fine.

Betye Saar è l’artista che cavalca tra ritualità e misticismo, storie quotidiane e immaginarie, denuncia sociale e condizione autobiografica. La tecnica dell’assemblaggio viene usata dunque come ponte stesso, che abbraccia religioni e tradizioni cultuali più differenti, ma in definitiva la vita stessa, l’individuo, la famiglia, la società.

Betye Saar Mystic Window for Leo, 1966 Disegno e incisione, finestra Courtesy Scottsdale Museum of Art Foto Tim Lanterman
Betye Saar
Mystic Window for Leo, 1966
Disegno e incisione, finestra
Courtesy Scottsdale Museum of Art
Foto Tim Lanterman
Betye Saar A Call to Arms, 1997 Asse d'epoca per bucato, orologio, proiettili, spazzola
Betye Saar
A Call to Arms, 1997
Asse d’epoca per bucato, orologio, proiettili, spazzola

Informazioni utili

BETYE SAAR: UNEASY DANCER

15 settembre 2016 – 7 gennaio 2017

Fondazione Prada Milano

Largo Isarco 2

20139 Milano

Betye Saar Train to Paris, 1979 Tecnica mista su sciarpa di seta Courtesy Roberts and Tilton Foto Robert Wedemeyer
Betye Saar
Train to Paris, 1979
Tecnica mista su sciarpa di seta
Courtesy Roberts and Tilton
Foto Robert Wedemeyer

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