Dopo il suo intervento al programma Italia di Michele Santoro andato in onda su Rai 2 il 5 ottobre e il confronto con l’imprenditore Flavio Briatore, Tomaso Montanari ci racconta quella che è la realtà italiana e la situazione politica attuale. La cultura nelle mani delle mondo del lusso, il modello televisivo applicato al patrimonio culturale, la storia dell’arte per la nascita di personalità critiche. Il ruolo della formazione e l’idea di un patrimonio artistico aperto ai cittadini.
Una volta ha dichiarato che “La storia dell’arte serve a rimanere umani”. In una società che è sempre più rivolta al concetto di specializzazione e che sembra contestare il lato umanistico del lavoro, quanto crede nel futuro delle professioni nel mondo dell’arte?
La storia dell’arte non avvia ad una professione, non è per questo che in un Paese come l’Italia la storia dell’arte deve essere insegnata. Dovrebbe essere elevata allo stesso rango dello studio della lingua italiana affinché l’arte possa aiutare a decifrare e leggere il palinsesto artistico in cui ci muoviamo ogni giorno. Si tratta di avere gli occhi e si dovrebbe imparare a tenerli aperti. Leggere il territorio e il patrimonio artistico significa avere coscienza di se stessi ed essere parte viva di una comunità. Roberto Longhi diceva: “Gli italiani parlino la storia dell’arte come una lingua viva per avere coscienza della propria nazione”. La storia dell’arte è anche una professione ma bisogna intendersi. Esistono consulenti ed esperti, ma in realtà sei uno storico dell’arte se sei un ricercatore attivo. Dobbiamo chiederci in realtà se abbiamo bisogno di storici dell’arte e ricercatori o no. Questo è il punto.
Interessante è stato il dibattito instauratosi in seguito al suo intervento nel programma di Santoro. Sembra quasi che la posizione di Briatore, che si rivolge alla nuova generazione considerandola solo come forza lavoro, contestando chi sceglie di studiare, sembra che attiri maggiormente l’attenzione.
Sono certo che il mio intero guardaroba costasse meno del minimo accessorio di Briatore, che guardava le mie scarpe con una certa diffidenza. Il modello di Briatore è un modello alienante in sé in quanto modello irraggiungibile. La massa viene evocata a fare da spettatore plaudente a distanza e quindi quello che si avverte è un sentimento di frustrazione a ripetizione. È un prototipo alienante in quanto sposta fuori dal sé l’obiettivo da raggiungere. Quello umanistico invece è alla portata di tutti. Chiunque può costruire se stesso attraverso la conoscenza. Naturalmente per questo serve un modello scolastico democratico che sostenga chi non ha risorse. Un modello che restituisca ad ognuno la propria umanità, il proprio senso critico, la sovranità su se stessi. Quello di Briatore è modello spossessante in cui siamo condannati all’infelicità. È il modello della lotteria. Rimarrò sempre quello che ha comprato il biglietto e basta.
Nella pratica cosa si dovrebbe fare affinchè il patrimonio artistico non sia solo offerto alle categorie del lusso?
Io credo che il patrimonio culturale debba essere mantenuto con i soldi pubblici. In Italia ci sono circa 150 miliardi di euro di evasione fiscale annua. Se fossimo un Paese civile basterebbe una percentuale minima di quell’evasione fiscale per finanziare il patrimonio culturale con i soldi pubblici. Per quanto riguarda l’aspetto culturale, la politica del governo Renzi vuole mettere il Paese al servizio del lusso. Allo stesso tempo, intende trasformare il patrimonio culturale in una grande location di spettacoli in cui i cittadini sono spettatori. Ad esempio, il Colosseo si trasforma in location e Pompei ospita concerti da 350 euro a biglietto. Questa è un’idea che accoglie pochissimi grandi ricchi per un uso esclusivo delle cose più belle mentre tutti gli altri, diventano una plebe e non più in cittadini, che deve applaudire allo spettacolo del principe. Si tratta di un modello televisivo applicato al patrimonio. Se quest’ultimo dovrebbe essere mezzo della conoscenza, con queste scelte politiche, avviene esattamente il contrario. Questo governo investe sul rimbecillimento collettivo.
Le nuove generazioni che vogliono entrare nel mondo del lavoro nel settore dell’arte, come possono inserirsi in una società sempre più povera di cultura?
Credo che sia terribilmente sbagliata l’alternanza scuola-lavoro. Vi è l’idea che la scuola non debba formare le persone ma la manovalanza per il mercato globale. L’università per colpa nostra, dei docenti, si è completamente prostrata a questo modello. L’invenzione dei corsi in beni culturali è stato un cambiamento radicale. Si è formata l’idea che non si potesse essere più umanisti pensanti ma strumenti di una macchina di uso commerciale del patrimonio. Noi dovremmo formare gli operatori dei beni culturali: categoria inesistente che ricorda – anche nelle certezze occupazionali –gli addetti al call center.
Crede che si possa formare ancora uno storico dell’arte come ricercatore?
Certo! A condizione che l’università sia libera e che esistano ancora i dottorati di ricerca finanziati. Ci vuole un modello umanistico in cui non vi sia uno storico dell’arte e basta ma una persona formata a tutto tondo. Io ad esempio mi sono laureato in lettere e come tutti gli storici dell’arte della mia generazione. Vi è stata un involuzione della formazione accademica e dell’idea stessa. L’università italiana e gli umanisti in particolare, devono cominciare a chiedersi a che cosa serve l’università italiana. Questa domanda viene sostanzialmente elusa ed è evidentemente una perdita della missione.
Da un punto di vista della formazione in Italia sono diverse le università valide. Sembra quasi che ci siano università dirette maggiormente verso una formazione umanistica e altre che si concentrano sull’aspetto economico. Cosa ne pensa di questi due poli specialistici così lontani? Quanto è importante questa distinzione per la formazione di una figura completa?
Io credo che un umanista vero abbia tutta la duttilità di fare qualsiasi cosa. Ciampi è stato il migliore Presidente della Repubblica Italiana. Era laureato in filologia greca ed è stato governatore della Banca d’Italia. Quando un umanista è veramente un umanista, non ha nessun problema a fare altre cose. Penso che si tratti di una qualità formativa che alla base non deve essere snaturata. In seguito si può seguire dei master. Credo però che quei cinque anni di formazione umanistica vera e pura di base, siano essenziali per la definizione delle proprie capacità e del proprio essere. Trovo molto grave che l’università rinunci a questo. Trovo molto grave che l’ateneo in cui insegno, l’Università Federico II di Napoli, abbia fatto un gemellaggio con la Apple che attraverso un bando, accoglie 200 giovani non necessariamente laureati, per divenire sviluppatori di App. Mi sembra un cedimento ad un marchio commerciale e quindi affidare la formazione nelle mani del mercato. È un errore nato da un senso d’inferiorità dell’università che con queste scelte perderà se stessa ed intanto la Apple continuerà a lavorare per conto suo.
Per quanto riguarda l’articolo 9 “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica [cfr. artt. 33, 34]. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”Che sentimento deve essere incoraggiato affinché il patrimonio artistico sia davvero nel ‘cuore’ della Nazione?
Non si deve tenere lontano il cittadino dal patrimonio diffuso. Attualmente questo sta succedendo. Le faccio un esempio, poco fa ho attraversato piazza Santa Maria Novella a Firenze, volevo entrare un attimo in chiesa ma non ho potuto farlo perché devo fare la fila e pagare un biglietto. L’idea che un fiorentino non possa entrare in Santa Maria Novella, ossia l’idea che ci siano delle barriere delle formalità, limita quello che ci deve essere sempre: un dialogo, un colloquio quotidiano con il patrimonio artistico. La National Gallery di Londra è gratuita e non è difficile incontrare a pranzo gli inglesi che entrano nel museo solo per vedere un quadro. Le strutture artistiche devono essere luoghi in cui il rapporto è colloquiale, familiare e informale. Questi luoghi devono essere considerati come una piazza, un luogo in cui si entra.
Tomaso Montanari è professore ordinario di Storia dell’arte moderna presso il Dipartimento di Studi Umanistici dell’Università degli studi di Napoli Federico II, sezione di Storia del patrimonio culturale. Nato a Firenze il 15 ottobre 1971, ha conseguito la maturità classica presso il Liceo Dante, a Firenze, nel 1989. Vinto il concorso d’accesso alla Scuola Normale Superiore di Pisa (1989), ha lì condotto i suoi studi sotto la guida di Paola Barocchi, fino al conseguimento del diploma interno (1994). Nel giugno del 1994 ha discusso presso l’Università degli Studi di Pisa (relatore Antonio Pinelli) una tesi dal titolo: “Le collezioni romane di Cristina di Svezia e del cardinal Decio Azzolino”, conseguendo, con lode, la laurea in Lettere moderne. Si è sempre occupato della storia dell’arte romana del XVII secolo, cercando di rispondere alle domande poste dalle opere d’arte con tutti gli strumenti sviluppati nella storia della disciplina: dalla filologia attributiva alla ricerca documentaria, dalla critica delle fonti testuali all’analisi dei significati, ad una interpretazione storico-sociale. Nell’agosto del 2013 è stato nominato dal ministro Massimo Bray nella Commissione per la riforma del Ministero per i Beni Culturali. Scrive su “la Repubblica”.