Fino al 11 febbraio 2017 alla Galleria Tega di Milano è in corso la personale di Giovanni Anceschi, un percorso tra le sue opere “liquide” a partire dal 1959 fino ai giorni nostri. Giovanni Anceschi è stato il fondatore del GRUPPO T con Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi. Ma Giovanni Anceschi non è solo un artista, è anche un visual designer, un critico, saggista, uno storico e un teorico, oltre che filosofo, ultimamente ha anche inventato un’applicazione per Iphone. Un personaggio poliedrico ed eclettico, una fonte inesauribile di idee e ricordi.
Artista, visual designer, docente universitario, critico, storico, teorico e poi che altro? Chi è Giovanni Anceschi?
E’ certo che io non sono una figura non semplificata e questo nella cultura italiana non è ben visto. Si preferiscono le figure stereotipate. Ma io ho scelto la strada della molteplicità: i francesi dicono tout se tien, [tutto è collegato], e per me tutto ha un senso. Sono manifestazioni di un unico sistema di interessi. Il design che ho fatto ha a che vedere con l’arte che ho praticato e pratico tuttora.
Forse la cosa più insolita nel mio caso è la presenza forte della teoria. Sono sfaccettature dello stesso pensiero. Questa variabilità e metamorfosi è intrinseca del mio fare arte.
Sei andato a ULM in Germania per studiare e insegnare, e da lì in Algeria. Come mai hai lasciato l’Italia negli anni che il Gruppo T era in piena attività?
Gillo Dorfles, carissimo amico di mio padre Luciano Anceschi, era anche amico di Tomàs Maldonado, allora rettore della scuola, convinse mio padre a mandarmi alla Hochschule für Gestaltung di Ulm, dove trovai una dimensione estremamente differente da quella italiana. Mi sono laureato in visual designer con la tesi sull’illustrazione scientifica, dal titolo “Rappresentazione schematica per mostre didattiche”.
Andai poi in Algeria per il mio impegno politico terzomondista e insieme per motivi professionali: ho disegnato l’immagine della Sonatrach – Società Nazionale del Petrolio Algerino.
Ma tornavo periodicamente in Italia continuando a lavorare con il Gruppo T.
In Italia hai collaborato come saggista e pubblicista con numerose riviste di grafica e design, come designer di sistemi informatici e comunicazione hai lavorato per gli enti pubblici come la Provincia autonoma di Bolzano e la città di Arezzo, per industrie private come la Radiomarelli e l’Olivetti. Con Umberto Eco hai fatto l’immagine coordinata del Nono centenario dell’Università di Bologna. Hai insegnato a Roma, a Venezia e a Bologna presso l’Istituto della comunicazione dell’Università diretta appunto da Eco. Hai scritto e pubblicato saggi. Ultimamente hai inventato un’applicazione per IPhone. Una vita dedicata alla ricerca e alla sperimentazione. Dimentico qualcosa?
Ho veramente fatto tutto questo?! (ride). Sì ho scritto e pubblicato un numero considerevole di libri, testi e saggi. Rientrato in Italia, nei primi anni ’70, mi trasferisco a Roma e grazie al mio caro amico Nanni Balestrini incontro quelli di Potere Operaio per i quali ho disegnato la testata del giornale.
Tornato al nord divento professore universitario, grazie al consiglio di un grande urbanista anarchico: Carlo Doglio, una figura molto importante. Mi indicò una nuova facoltà urbanistica a Venezia: cercavano qualcuno che ne sapesse di comunicazione visiva, allora presentai la domanda con la mia laurea tedesca in Visuelle Kommunikation, e con mia meraviglia mi presero.
Poi il DAMS di Bologna con il caro amico Umberto Eco. In proposito c’è un aneddoto importante legato a Eco: nel 1961 stava appunto preparando l’edizione dell’Almanacco Bompiani, una produzione straordinaria, aspettata da tutti gli artisti e intellettuali, per l’anno 1962. Questo Almanacco proponeva un tema legato all’informatica e alla cibernetica, anche se erano termini che allora non esistevano ancora. Umberto Eco era molto competente nel campo della musica, elettronica, aleatoria, ecc., e quindi per quel comparto aveva già provveduto, per la poesia c’era Nanni Balestrini con Tape Mark One, un poema combinatorio fatto con i megacoputer di allora e le carte perforate, mentre per l’arte fummo coinvolti noi del Gruppo T. Fu
Umberto Eco che ci esortò a proseguire con le opere fatte con criteri cibernetici. Sentire un personaggio come lui che ci confermava che la strada che avevamo intrapreso era quella giusta e condivisibile, fu una grande soddisfazione. Su quell’edizione c’erano pubblicati dei lavori molto, e sottolineo, molto anticipatori, ricordo ancora l’opera di Davide Boriani che prese un’immagine rinascimentale e la suddivise in tabelle numeriche che variava e dava delle immagini derivate, ossia una frammentazione di immagine: un’opera anticipatrice dei pixel e dell’image processing. Per quanto riguarda me, qualche anno fa, insieme a dei giovani collaboratori, abbiamo editato un applicazione per IPhone 4 (ahimè ormai anch’essa oggi già superata dall’instabilità informatica). Era la fedele realizzazione informatica di un progetto di grafica programmata pubblicato anch’esso sull’Almanacco Bompiani. In nove tempi è un’applicazione dove, scuotendo il cellullare, il programma varia continuamente l’immagine, una mutazione perpetua, una generazione randomica di sequenze. Va detto però che allora, (eravamo prima di Silicon Valley), era stata realizzata come rappresentazione grafica disegnata con le chine, la riga e la squadra. Ci sono voluti cinquant’anni perché la tecnologia che la facesse a raggiungerci.
Quindi sei anche un po’ scienziato e un po’ filosofo?
Sì senz’altro. Nel quadro delle attività del gruppo T l’Ambiente Per un Test di Estetica Sperimentale, creato da me e Davide Boriani è un lavoro veramente scientifico. Filosofo anche, sia perché prima di studiare a Brera dove ho incontrato i colleghi del Gruppo T, ho studiato filosofia e in particolare la fenomenologia, alla Università Statale, sia perché (mio padre era un filosofo, saggista e critico letterario) inevitabilmente l’ambiente famigliare mi ha influenzato.
15 ottobre 1959 quattro amici di Accademia: tu, Davide Boriani, Gianni Colombo e Gabriele De Vecchi, fondano il Gruppo T e sottoscrivono la dichiarazione Miriorama 1. Più tardi si unì Grazia Varisco. Come nasce l’idea?
Come ti dicevo frequentavo Filosofia alla Statale di Milano, sono stato allievo di Enzo Paci e Cesare Musatti, per questo ero considerato un po’ il teorico del gruppo ma anche Davide Boriani lo era, anzi ciascuno di noi lo era. Frequentavo i corsi di Achille Funi all’Accademia di Brera è li che ci conoscemmo. Tutto nacque dalla prima mostra alla galleria Pater: opere ancora con un marcato carattere informale, e inaspettatamente vendiamo tutto. Pater, tutto speranzoso, ci propone per l’anno successivo un ciclo di quattro mostre personali. E noi, invece che consolidare commercialmente la nostra affermata produzione informale, ci presentiamo con il manifesto del gruppo T (Miriorama 1) e successivamente con le quattro Miriorama personali. Con una massiccia produzione di “improbabili” opere in movimento, fatte con i liquidi, le limature di ferro, gli spilli infissi nella gomma ecc.
Non certo l’ideale per il mercato di allora.
Gruppo T come tempo?
Sì tempo. Per noi l’arte doveva rispecchiare la realtà, ma non intesa come il riprodurre, il raffigurare la realtà, ma in quello di rispecchiare nelle opere gli stessi meccanismi della realtà. La tematica della casualità nel tempo è il fulcro centrale del nostro operare. Noi proseguivamo molto il progetto dei futuristi e dei cubisti: le teorie di Bergson con l’Evolution crèatrice. Se ben ricordi i futuristi affermavano di mettere lo spettatore al centro del quadro, ebbene noi, con gli ambienti, mettevano veramente lo spettatore al centro dell’opera, coinvolgendo interattivamente il pubblico. Per noi la parola chiave era – il tempo realmente percepito -. Il mio quadro Clessidra, opera presentata a Miriorama 5, ne è un esempio.
Come reagì il collezionismo?
Il collezionismo non ci considerava minimamente. L’unico che era sempre disponibile ad acquistare le nostre opere era Lucio Fontana: per ogni mostra personale Miriorama comprò un’opera.
C’è un aneddoto secondo me molto divertente che riguarda Miriorama 5, la mia personale: Fontana comprò una mia opera delle serie Tavole di possibilità liquide… anni dopo Teresita (moglie di Lucio Fontana) mi fermò e mi disse: – Anceschi il tuo quadro ha fatto “pipì”-: per intenderci la colla con il tempo si era seccata e il liquido colorato era colato sulla parete. Erano opere difficili per i tempi, anche oggi lo sono ma molto meno. Sono “macchinette” e possono comunque rompersi.
Possono rompersi o possono rompere?
Che rompano quello è il mestiere delle avanguardie. Come ci definì Lea Vergine: siamo l’ultima avanguardia. Che si rompessero allora era inevitabile, devi pensare che usavamo materiali poverissimi a confronto con la maturità tecnologica di oggi.
E la critica?
Argan e Gillo Dorfles ci osservavano, ci appoggiavano, ci difendevano ma l’unico che aveva veramente gli strumenti intellettuali per accompagnare il nostro lavoro era Umberto Eco. Naturalmente Bruno Munari era il nostro grande faro.
È sbagliato pensare che eravate mossi da una buona componente ludica?
E’ assolutamente giusto io lo dico sempre: sono giocattoli per adulti. E per questo spesso esponiamo il cartello “si prega di toccare”.
Veniamo alla mostra alla Galleria Tega – Possibilità Liquide – che opere comprende?
Alla Galleria Tega ci sono esposte una serie di opere storiche, dal 1959 in poi: Percorsi fluidi, Quadri-Clessidra, Tavole di possibilità liquide. Alcune già esposte nella mia personale Miriorama 5 del 1960 alla Galleria Pater. Le opere sono fatte con liquidi viscosi colorati contenuti fra due fogli di plastica trasparente, alcune sono fissate alla parete tramite un dispositivo che ruota su un piano parallelo ad essa. Si assiste alla continua mutazione dell’opera, perché il movimento produce forme e immagini sempre diverse. Sono soprattutto opere interattive. E’ richiesto l’intervento, la partecipazione, del visitatore e una buona dose di volontà di gioco.
Lo spettatore diventa un co-autore e danza con l’opera come in un tango.
GIOVANNI ANCESCHI – POSSIBILITÀ LIQUIDE
13/12/2016 – 18/02/2017
Lunedì / Sabato 10-13 15-19
Via Senato, 20
20121 Milano – Italia
tel. +39 02 76006473
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