Riparare i viventi, nelle sale italiane il film di Katell Quillévéré
Dopo la tappa alla 73° Mostra Internazionale del Cinema di Venezia, dallo scorso 26 gennaio Academy Two ha portato nei cinema italiani il dramma Riparare i Viventi, secondo lungometraggio della regista francese Katell Quillévéré (Suzanne) e tratto dal bestseller di Malys de Kerangal, edito in Italia da Feltrinelli, con la sceneggiatura e i dialoghi realizzati dalla stessa Katell Quillévéré con Gilles Taurand.
Notte a Le Havre, un ragazzo lascia il letto della sua fidanzata e con gli amici si dirige verso il canale della Manica per surfare nell’Oceano Atlantico. Al ritorno un terribile incidente ne causa la morte celebrale e la sopravvivenza del suo corpo è legata alle macchine che mantengono in funzione i suoi organi.
Nel frattempo, a Parigi, una donna aspetta il trapianto provvidenziale che potrà cambiarle la vita. Si potrebbe quasi parlare di cinema del realismo da quanto Katell Quillévéré si impegna a documentare ogni transizione della storia in atto, se non fosse per l’incredibile sequenza iniziale, sospesa tra lirismo e realtà (sfiorando una certa magniloquenza), preludio dell’evoluzione dell’opera filmica.
Simon – anima vagante tra le acque dell’Oceano Atlantico, le onde ed il loro fragore – la tenerezza e lo struggimento dei ricordi trasmettono sentimenti di libertà e di unione con la natura.
Dopo questa fase Riparare i Viventi assume invece un tono dal taglio quasi documentaristico, dove il realismo è trafittivo. Eppure la regista francese riesce spesso a virare dal pragmatismo più brutale, feroce ed esplicito verso la lettura poetica, soffice, a momenti addirittura visionaria e fantasmatica. E raccontano il tema della morte e del suo oltre incrociando le vite di ciascuno, uomini, donne, infermieri, medici, mescolandole in una cifra di intimità profonda.
Come lo strazio di una madre e i tormenti di un padre, due persone che, nel dolore, arrivano perfino a ritrovare intese perdute, sfiorando il mistero e la commozione nel passaggio dalla famiglia di Simon a quella di Claire, dalla casa del lutto a quella della rinascita.
Ma forse la vera impresa della regista francese, e la stessa bellezza dell’opera in sé, si trova nell’aver diretto un film nel quale tematiche così complicate da narrare sono trattare con una delicatezza sublime, come se la stessa telecamera fosse rispettosa del dolore dei suoi protagonisti.
Un tracciato dove anche le musiche occupano uno spazio influente: quelle originali firmate dal celebratissimo Alexandre Desplat -vero riferimento per le colonne sonore del cinema- e quelle dei due brani d’apertura e di chiusura, rispettivamente Paint Me Colors delle Girlpool e la gloriosa Five Years di David Bowie; punk anomalo e losangelino delle prime e il rock leggendario dell’epopea (The Rise and Fall of) Ziggy Stadust and the Spiders From Mars, per il quale vale davvero la pena restar seduti in platea a vedere scorrere i titoli di coda.
>> Cast di all stars del cinema d’autore francese, dove in particolare ritroviamo una splendida Anne Dorval (Mommy) di nuovo nel ruolo di madre e un sofferto Tahar Rahim (Il Profeta) e una Emmanuelle Seigner in grande forma.