E’ un lavoro quasi monumentale, questo «Caravaggio, genio d’Europa», pubblicato da Utet Grandi Opere nella Collana «Visioni impossibili», e dedicato a un Maestro controverso della nostra storia dell’arte, personaggio dall’animo particolarmente inquieto, protagonista di gravi vicissitudini, assunto a forma universale solo nel Ventesimo secolo, dopo un lungo periodo d’oblio.
A dispetto del suo destino difficile, il suo talento è oggi riconosciuto in maniera così vasta e importante, che quest’opera ne rappresenta alla fine quasi un giusto suggello. Si tratta di un volume di 298 pagine e 125 immagini in altissima definizione per ripercorrerne la storia artistica, in tiratura limitata di 975 esemplari contraddistinti in numeri arabi più altri 25 in numeri romani e 10 contrassegnati dalla lettera A alla L, da destinare ai rappresentanti delle istituzioni e agli autori. I testi sono stati scritti dalla storica dell’arte Rossella Vodret, già Soprintendente Speciale per il Patrimonio Storico Artistico e per il polo museale della città di Roma. Il volume nasce con l’ambizioso obiettivo di diventare l’opera di riferimento per la conoscenza dell’arte di Michelangelo Merisi.
Non è un compito facile. Se è vero che i suoi dipinti, che combinano un’analisi dello stato umano fisico ed emotivo con uno scenografico uso della luce, hanno avuto un’impronta quasi rivoluzionaria nella nostra storia dell’arte, è altresì certo che tutta la sua esistenza assieme al suo lavoro pittorico siano stati contrassegnati da forti passioni, amore e odio, al punto da venire persino dimenticato o sottovalutato in certi periodi dei secoli seguenti.
Caravaggio non ha avuto una vita lunga, e neppure facile, pur essendo nato in una famiglia benestante: vede la luce nel 1671 a Milano e muore nel 1610 a Porto Ercole, mentre aspettava di poter rientrare finalmente a Roma, da dove era dovuto scappare in seguito a una condanna a morte per omicidio. E’ del 29 settembre 1571 l’atto di battesimo, come risulta dal documento del giorno dopo: «Adì 30 fu btz Michel angelo f de d Fermo Merixio e Lutia de Oratoribus». I genitori erano nati a Caravaggio, Bergamo. Suo padre, Fermo Merisi, era magister, uno dei maestri architetti addetti ai cantieri delle Chiese milanesi. Nel ‘77 per sfuggire alla peste, avevano lasciato Milano per tornare a Caravaggio, dove però morì Fermo. Nel 1584, Michelangelo tornò a Milano, a bottega da Simone Peterzano, esponente del manierismo lombardo che si professava allievo di Tiziano: aveva un contratto da 40 scudi d’oro. E abitò a casa del maestro per 4 anni. Nel 1592 lasciò Milano, e secondo alcune voci dovette in realtà fuggire dopo un omicidio in seguito a una rissa. Voce abbastanza attendibile: di risse diventò un esperto. Di omicidio, ne compì di sicuro un altro, che segnò la sua vita.
A Roma, nel 1594 era opsite di Monsignor Pandolfo Pucci da Recanati, soprannominato da lui Monsignor Insalata, perché era l’unica cosa che gli dava da mangiare. Grazie a lui però conobbe gente importante e tre anni dopo cominciò a frequentare Francesco Maria del Monte, grandissimo uomo di cultura e appassionato d’arte, che incantato dalla sua pittura gli acquistò alcuni quadri, fra cui il famosissimo «I bari», che doveva essere in qualche modo un ritratto pure in certo qual modo autobiografico, vista la sua passione per il gioco e forse anche per le cattive compagnie. Nel 1599 ebbe la sua prima Commissione pubblica per la chiesa di San Luigi dei Francesi. Il marchese Giustiniani fu suo protettore.
Nel frattempo lui non stava con le mani in mano, e non si dava da fare solo dipingendo splendidi quadri. Il 28 novembre 1600 malmenò a bastonate Girolamo Stampa da Montepulciano, senza dimenticare di partecipare a qualche zuffa e a numerose risse abbastanza pericolose. Nel 1604 fu arrestato. Nel 1605 scappò a Genova dopo aver ferito un notaio a causa di una donna. L’episodio più grave avvenne il 28 maggio 1606 durante una partita di pallacorda: la discussione, sempre a causa di una donna ma anche per debiti di gioco non pagati da Caravaggio, degenerò brutalmente. Il pittore fu ferito e uccise Ramuccio Tomassoni da Terni. Fu condannato alla decapitazione che poteva essere eseguita da chiunque lo avesse incontrato per strada. Scappò a Napoli, in Sicilia e di nuovo a Napoli, fino a quando nel 1610 lo informarono che forse avrebbe potuto rientrare a Roma, perché il Papa stava per cancellare la sua condanna. Sulla via del ritorno, abbastanza accidentato, morì a Porto Ercole.
Ai posteri ha lasciato capolavori unici, che non delimitano solo un personaggio così controverso, ma ne caratterizzano il genio raro e molto personale. I suoi quadri hanno avuto forte influenza sulla pittura barocca, ma non solo secondo il grande storico d’arte Giulio Carlo Argan la sua pittura si distingue soprattutto per un realismo drammatico. Aggiunge Argan che in lui «il motivo religioso è anche sociale: il divino si rivela negli ultimi».
Il fatto è che Caravaggio rivoluziona gli schemi non solo nel tratto di pennello: punta sul vero rinunciando al bello, e rinuncia anche all’invenzione per privilegiare i fatti. Così, la rivoluzione pittorica di questo immenso artista sta nel naturalismo, espresso nei soggetti e nelle atmosfere, dove una particolare illumnazione sottolinea i volumi dei corpi che escono inmprovvisamente dalla scena: «lo sfondo passa in secondo piano rispetto ai soggetti, soli protagonisti della sua opera». In questi forti contrasti di luci e ombre, le figure vengono plasmate determinandone gli ambienti, con gesti che fissano l’intensità drammatica delle sue opere.
Questo volume della Utet, oltre ad analizzarne criticamente le opere, ha il potere di consegnarci immagini in altissima definizione, con anche 10 tavole applicate manualmente, stampate con tecnica Giclée Fine Art in 10 colori, dalla stamperia d’arte di Luigi Berardinelli, di Verona. In fondo, è quasi come entrare in un museo, dedicato al più folle dei pittori.