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Emilia. Una telenovela in forma teatrale

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Emilia, in scena al Teatro Argentina di Roma fino al 23 aprile

Sin dal 2014 Antonio Calbi, direttore del Teatro di Roma, è alla ricerca del testo giusto per rendere omaggio alla lunghissima carriera di Giulia Lazzarini – una delle più importanti attrici che il nostro Paese possa vantare – portandolo in scena con lei come protagonista. È la stessa Lazzarini a suggerire lo spettacolo Emilia, dopo averne visto l’edizione argentina al Piccolo Teatro di Milano.

L’opera è firmata da Claudio Tolcachir, autore e regista che vive e opera principalmente a Buenos Aires: Calbi, con la scusa di un viaggio in Argentina, riesce a visitarne la Capitale e assiste a un paio dei suoi spettacoli, tra cui anche Emilia. Convintosi a sua volta delle potenzialità di una versione italiana, incontra Tolcachir e lo mette a parte del suo progetto, spiegandogli chi è Giulia Lazzarini: ne rievoca la carriera e gli mostra i filmati che la vedono alle prese con La Tempesta di Shakespeare e Mia Madre di Nanni Moretti. Il regista ne rimane così colpito da accettare immediatamente l’invito del direttore a venire a Roma, in modo da curare personalmente la messa in scena della propria opera.
Arriviamo, così, alla prima nazionale di Emilia presso il Teatro Argentina.

Lo spettacolo è un ritratto di famiglia disfunzionale dalla trama abbastanza semplice: Walter (Sergio Romano), ormai cresciuto, incontra per caso Emilia (Giulia Lazzarini), un tempo la sua bambinaia. Ansioso di farle vedere cosa è riuscito a costruirsi e la casa dove si è appena trasferito, decide di presentarla a sua moglie Carolina (Pia Lanciotti) e al giovane figliastro Leo (Josafat Vagni), frutto della precedente relazione della donna con Gabriel (Paolo Mazzarelli). Ma che ci sia qualcosa che non va lo si intuisce immediatamente dal prologo recitato dalla sola Emilia, durante il quale vengono fatti alcuni oscuri riferimenti al carcere e a certi gesti estremi che l’amore spinge a compiere. Del resto, anche il modo in cui è rappresentata la casa di Walter rimanda a un luogo dal quale non si può uscire, quasi ci si trovi in una prigione costellata da casse da svuotare, oggetti che non si trovano e pile di coperte, come se il cuore di chi vi abita avesse sempre bisogno di essere scaldato, inutilmente.

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Emilia è lì solo per una breve visita ma, servendosi di vari escamotage, Walter e la sua famiglia riescono sempre a convincerla a rimanere– per cena, per un giorno in più, per un altro po’ – quasi vivano nel terrore di rimanere soli: come se quel pallido straccio di equilibrio residuo sia possibile solo grazie a una presenza esterna. Qualcuno capace di sorvegliare, dosare e tenere a bada le tensioni sotterranee che paiono spuntare a ogni pausa tra una parola e l’altra. Un tentativo inutile, perché gli aneddoti rievocati dall’anziana donna e i sentimenti ad essi collegati, insieme all’improvviso ritorno di Gabriel, slatentizzeranno tutto il non detto o mai ammesso dei protagonisti, spingendo Emilia alla più alta e disturbata prova d’amore.

Nelle intenzioni di Claudio Tolchier, il suo dramma vuole riassumere tutte quelle forme di affetto sbilanciate. Il testo nasce da un suo ricordo personale: in occasione del quarantesimo compleanno del fratello, incontra la tata che lo ha cresciuto e non vedeva da anni. Rimane colpito dalla quantità di particolari che la donna riesce a ricordare, mentre lui non è in grado di fare lo stesso, e questo lo porta a riflettere sulla disparità di certi scambi. Oltre a spingerlo a interrogarsi sulla condizione di tutte quelle persone che, per lavoro, passano la vita a prendersi cura degli altri: cosa accade loro quando non se ne ha più bisogno? Emilia è, però, anche un’analisi dell’insanabile separazione tra realtà vissuta e filtro della memoria, che la verità tenta pericolosamente di porre in relazione finendo per distruggere una delle due parti.

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Purtroppo, però, il tutto risente della passione del regista per i generi televisivi ultrapopolari come la telenovela e la commedia sudamericana: i tratti psicologici dei personaggi sono ingiustificatamente stereotipati, monodimensionali, abbastanza prevedibili nella loro improbabilità.

Si va dal marito geloso, così insicuro da rendersi economicamente indispensabile per la stabilità di chi ama, all’adolescente asociale sessualmente disturbato che, perciò, tradisce le aspettative paterne, passando per la moglie atavicamente inquieta, vittima volontaria di un amore fallito che non vede l’ora di trionfare di nuovo.

Tra loro si muove pateticamente il personaggio che dà il titolo allo spettacolo: un lavoro in gran parte salvato dalla straordinaria bravura degli attori in scena. Infatti, nonostante il testo non brilli per situazioni e dialoghi, a cui va ad aggiungersi un passaggio non sempre ben risolto dai flashback alla narrazione in prima persona, quasi tutto il cast riesce a dare una prova eccellente: Giulia Lazzarini dimostra cosa voglia dire essere una attrice già solo per come, con brevi sussurri e gesti misurati da scricciolo, riesce a creare un’atmosfera di fragile e posticcio equilibrio intorno a sé. Sergio Romano e Pia Lanciotti sono ottimi nel trasmettere tutte le sfumature di una emotività malata, a stento trattenuta dal naufragare nei gorghi più oscuri della propria interiorità.

La vera sorpresa è, però, Josafat Vagni: ficcato a forza nei panni di un giovanissimo – inutile il tentativo di diminuirne l’autentica età esteriore attraverso un paio di pantaloncini e di sneakers – regala una prova di grandiosa intensità, riuscendo a rendere credibile e immensamente umano il suo personaggio anche quando costretto a pronunciare e inscenare le cose più inverosimili.

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Convince meno Paolo Mazzarelli, la cui incombente presenza iniziale – ambientata in una specie di non ben identificato limbo – è appesantita da una recitazione manierata, che stona ancor di più se paragonata alla gradevole naturalezza dei colleghi.

Emilia, insomma, è un piacere da guardare per chi ama l’atto del recitare. Per quanto riguarda la storia, invece, non c’è nulla che non si sia già visto in Anche I Ricchi Piangono, Topazio, Rosa Selvaggia e altre amenità simili. Ruolo della vecchia balia compreso.

EMILIA

26 marzo – 23 aprile 2017
Teatro Argentina, Produzione Teatro di Roma

scritto e diretto da Claudio Tolcachir
traduzione Cecilia Ligorio
con Giulia Lazzarini, Sergio Romano
Pia Lanciotti, Josafat Vagni, Paolo Mazzarelli
scene Paola Castrignanò
costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi
regista collaboratrice Cecilia Ligorio

orari spettacolo
prima ore 21.00
martedì e venerdì ore 21.00
mercoledì e sabato ore 19.00
giovedì e domenica ore 17.00
lunedì riposo
dal 14 al 18 aprile riposo
durata 1 ora e 45 minuti senza intervallo

Teatro Argentina
Largo di Torre Argentina, 52
00186 – Roma
Tel. 06 684 00 03 11 / 14
www.teatrodiroma.net

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