Elizabeth Aro ci racconta l’idea di arte che elabora nelle installazioni. Nella personale Los Otros di Torino nel 2016, il filo spinato di velluto si trasformava in un elegante e raffinato oggetto che diventava attraversabile e rimandava al sogno di confini superabili. I tessuti, tra cui il velluto, richiamano un mondo elastico e malleabile di cui l’artista ne è interprete
Tra gli artisti che partecipano alla mostra collettiva “Chronos. L’arte contemporanea e il suo tempo” (dal 21 aprile 2017 al 20 maggio 2017 – sedi varie nel bergamasco) sarà presente anche Elizabeth Aro l’installazione di una rete di velluto, Red Net, di 10 metri per 5 a Palazzo Vezzoli a Calcio.
“Lavorare con il tessuto per me è utilizzare il materiale più delicato per affacciarmi a un mondo più flessibile, più onirico, elastico, malleabile. Dei tessuti mi piace la sensazione che contengono un ritmo proprio di cui l’artista ne è solo l’interprete. Mi interessano i materiali nobili e i tessuti elaborati. L’Italia è talmente ricca in questo che essermi trasferita qui ha influenzato il mio lavoro”.
Elizabeth Aro è argentina e ha stabilito a Milano la sua residenza. Utilizza vari linguaggi e materiali per realizzare le sue installazioni. Molto spesso frutto di una interazione tra scultura e fotografia, le opere che crea hanno una forte impronta concettuale. “Credo che ogni idea tenga un suo modo di esprimersi concreto che si traduce nella fisicità dell’opera d’arte – spiega l’artista -. Lavoro contemporaneamente a vari progetti e il tempo non è importante”.
Le opere della Aro sono improntate ad un’azione lenta che rimanda al mondo femminile e al contempo alla rappresentazione del “noi” e alle radici. “Non posso immaginare un’arte che non abbia niente da dire – chiosa Elizabeth Aro -, noi artisti costruiamo un mondo proprio. Mi piace pensare che ognuno di noi fa una ricerca di un universo parallelo del quale vediamo solo la punta del iceberg in una mostra. Entrare nel mondo di un artista è in qualche modo seguire le sue regole. Le mie sono mantenere un silenzio e un’armonia che stanno alla base di tutti i miei lavori. Il lavoro con il tessuto, nel mio caso, è lento perché è l’opera stessa a decidere cosa devo fare”.
E continua “Ho sempre pensato all’arte come a qualcosa che induce a riflettere, un luogo in cui tutte le discipline si incontrano e in cui ha molta importanza il processo creativo dove il concetto è essenziale tanto quanto la produzione. Io produco oggetti pensanti, che rispondono a domande e si interrogano, che si svegliano quando posiamo lo sguardo su loro e ci fanno attivare le diverse aree del cervello per evocare, ricordare, riconoscere e ricostruire il proprio io in un modo diverso. Nessuna opera che vediamo è innocua, tutte hanno un messaggio che ci fa stare attenti a noi stessi anche solo in forma inconscia. E, in tutto questo, la bellezza resta una forza elegante che voglio tradurre in immagine”.
Elizabeth Aro riconosce le influenze nell’elaborazione del suo modo di fare arte. “All’inizio della mia carriera – racconta -, quando facevo pittura, sia il rigore dei minimalisti sia Joaquin Torres Garcia mi avevano suggestionata notevolmente. Cesar Paternosto, nonostante viva a New York, è sempre stato il mio mentor con le sue opere di visione obliqua. Dopo hanno impresso la loro impronta Eva Hesse e Ana Mendieta, negli anni ’90 Rosmarie Trockel e più di recente Kiki Smith. Mi piace seguire tutta la loro opera, e il rapporto tra lavoro e vita quotidiana. Trovo ingiusto, però, che ancora oggi l’arte delle donne è l’arte delle donne mentre l’arte degli uomini è semplicemente arte”.
L’arte di Elizabeth Aro segue svariati orientamenti e sviluppi. “Ci sono due linee fondamentali nel mio lavoro – esplica -. Una è nell’equilibrio sinuoso delle forme che creo mediante una ridefinizione del concetto di bellezza e focalizzando l’attenzione su dettagli inaspettati, memorie quotidiane ed esperienze personali. Trasformo le dimensioni emotive e mentali della condizione umana in opere dove si mescolano fotografia, disegno, stoffa e filo. L’esistenza appare smaterializzata in visioni parziali ed evocative, dotate, però, di grande fisicità.
L’altra linea – continua la Aro -, estremamente legata alla prima, è la presenza dell’altro. Un tema l’Altro presente nella nostra contemporaneità. Un tema filosofico che ha interessato profondamente lo scrittore argentino Jorge Luis Borges che ammiro moltissimo, che in realtà si rispecchia nella concreta vita quotidiana. Altro da chi? Diverso in che senso? Chi è l’altro? Il diverso? Siamo anche noi, diversi da loro? Da quale punto di vista diciamo Altro? Iniziando dalla mia propria storia io vivo come altro da 25 anni in Europa. Così ho realizzato una serie di fotografie di formato più grande della misura umana (340 x 170 cm). Sono ritratti di migranti arrivati a Madrid da diversi punti del pianeta. A questi ho aggiunto l’opera filo spinato un’installazione in velluto per la mostra di Torino nel 2016 dove il materiale si converte in un oggetto delicato ed elegante che non separa più. In questa installazione infatti il visitatore può attraversare i fili. Mi piace che rimandi all’idea di oltrepassare i confini.
Infine la riattivazione della memoria si impone come tema che sottende al mio lavoro. Estudio sobre nubes è basato su un poema di Jorge Luis Borges in cui si parla del cambiamento delle cose nel tempo. Nel poema si dice che non ci sarà una sola cosa che non sia una nuvola. Le nuvole diventano metafora del pensiero che vuole raggiungere un desiderio. E questo s’interseca con l’interesse a riflettere sullo stato interiore dei sentimenti: i nostri sentimenti cambiano costantemente. Le nuvole rispecchiano questa condizione: si intrecciano come un telaio e dilapidano il loro contenuto etereo tra il cielo e la terra. La poesia finisce dicendo Sei nuvola. Sei mare, sei oblio. Sei anche quello che hai già perduto”.
Una personale alla Nuova Galleria Morone di Milano in calendario entro il 2017 e a maggio una mostra su un lavoro di ceramica e seta alla Galleria Canepaneri di Milano sono le ulteriori tappe che attendono l’artista.
Elizabeth Aro ha frequentato la Escuela Nacional de Artes Plásticas en Buenos Aires e immediatamente dopo ha viaggiato per tutto il sudamerica documentandosi sui segni e simboli della America indigena. Dall’87 partecipa a mostre collettive quali: VII Biennal Iberoamericana de Arte al Museo, II Bienal de Cuenca, Ecuador e Ideas e imagenes de Argentina nel Bronx Museo de New York.
Nel 1990 si trasferisce a Madrid e partecipa a mostre in Europa. In questo periodo entra in contatto con una vasta gamma di artisti che lavorano con formati non tradizionali, come Pello Irazu, Miraslow Balka, Perejaume e Mabel Palacin.
Nel 2005, dopo la mostra personale al Museo d’Arte Reina Sofia, si trasferisce in Italia, paese in cui vive. Partecipa a molti progetti artistici e culturali con l’associazione Big Bang Project. Del 2009 la residenza a Kaus Australis a Rotterdam. Partecipa ad una residenza artistica prima al Cairo, come artista italiana in un progetto dove si utilizza il cotone egiziano, e poi a Istanbul a cui segue una personale a Pasajist. Nel 2015 durante l’Expo espone nella chiesa di San Carpoforo a Brera e realizza una installazione nella chiesa sconsacrata di Augsburg, Moritzkirche. Da qui ancora in residenza artistica a Essaouria in Marrocco per la Biennale di Casablanca e recentemente in Francia allo Chateau La Napoule di Cannes.
Me causa una gran fascinación ver las nuevas posibilidades del tejido en las manos de Elizabeth Aro. Este antiguo material que se desenvuelve como el tiempo en el vasto universo, como la vida misma en constante cambio y evolución. Los indígenas de nuestra montaña sagrada en Colombia, tejen sus mochilas (bags) imitando el tejido de la propia existencia o el tejido que hace el sol sobre la tierra entre equinoccio y equinoccio. El hilo de la vida se muestra más vivo en las manos de Elizabeth nueva Penélope tejiendo y deshaciendo los hilos de los otros como recreando un lenguaje tan antiguo que habíamos todos olvidado. Gracias por recordarnos la trama de los otros y de nosotros.